L’Inpgi da salvare

Terminata l’emergenza al vertice dell’Inpgi, ora c’è da salvare l’istituto di previdenza ed affrontare la grave crisi dell’editoria. I quattro organismi della categoria (Inpgi, Ordine dei giornalisti, Casagit e Fnsi) non possono più andare ognuno per conto proprio. Deve funzionare un coordinamento sulle azioni future.

I giornalisti che si sono recati alle urne per rinnovare i vertici dell’istituto di previdenza hanno confermato la maggioranza della corrente “Inpgi siamo noi”, ancora guidata dal presidente uscente Andrea Camporese nonostante il rinvio a giudizio da parte della magistratura milanese per truffa e corruzione. La battaglia che si è aperta nella categoria dopo questa vicenda, le decisioni del Cda di varare una riforma pensionistica sulla quale hanno espresso delle riserve i ministri vigilanti, i prelievi sugli assegni per via amministrativa considerati illegittimi e il bilancio in rosso hanno acceso i riflettori sulla gestione dell’organismo e sul suo futuro.

L’opposizione alla linea Camporese, costituita principalmente da “Inpgi futuro” e “Inpgi-La Svolta”, ha ottenuto un buon risultato: sono stati eletti nel Consiglio generale (50 membri tra gli attivi più 10 tra i pensionati) 15 consiglieri, di cui 6 tra i pensionati (Mario Antolini primo con 754 voti, Paola Cascella, Alessandra Spitz, Lino Zaccaria, Francesco Ordine, Orlando Perera ai quali si aggiunge l’abruzzese Mimmo Marcozzi della “Lista Corsara di pensionati senza casacca”. Nel collegio dei sindaci il romano Pierluigi Franz (3.144 voti) e il milanese Franco Abruzzo (3.009 voti) sono stati i più votati. Dalle urne non sono mancate le sorprese e qualche polemica per il sistema elettorale in via telematica.

Pur riscontrando un piccolo aumento dei partecipanti al voto, restano le basse percentuali di giornalisti attivi e pensionati che contribuiscono ad eleggere i vertici degli organismi di categoria. Dei 24.477 giornalisti in attività aventi diritto al voto, solo 1.865 si sono recati ai seggi e altri 4.678 hanno utilizzato il voto telematico via web per un totale di 6.543 persone pari al 26,73 per cento. Meglio indubbiamente hanno fatti i pensionati. Dei 6.314 aventi diritto al voto ai seggi, sono andati a votare in 942 mentre i voti web sono stati 1.578, per un totale di 2.520, il 39,91 per cento. Nella votazione congiunta (attivi + pensionati) per il Collegio dei sindaci i votanti sono stati 8.615 pari al 27,98 per cento dei 30.791 aventi diritto. Molto scarsa la partecipazione per il rinnovo del Consiglio di amministrazione della gestione separata (il cosiddetto Inpgi 2). Su 32.846 aventi diritto sono andati ai seggi territoriali 1.246 persone, mentre tramite web hanno votato 4.204 per un totale di 5.450 professionisti pari al 16,59 per cento. Più o meno le stesse percentuali per i sindaci della gestione separata. Il 40 per cento dei pensionati alle urne si spiega con le preoccupazioni per la riforma varata dalla maggioranza Camporese il 27 luglio 2015 e contestata duramente da un gran numero di pensionati che si è sentito preso di mira con prelievi sugli assegni con una soluzione amministrativa bocciata dalla Corte costituzionale e dai due ministri vigilanti (Economia e Lavoro).

Dallo scontro all’interno dei pensionati ne sono usciti sconfitti tre personaggi che da lunghi anni occupano i posti di vertici della corrente di maggioranza. Sono stati bocciati il laziale Guido Bossa (insufficienti i suoi 386 voti), presidente dell’Unione nazionale giornalisti pensionati, il leader milanese di Stampa democratica Giovanni Negri (solo 479 voti) allontanatosi dal sindacalismo di Walter Tobagi, e il leader veneto della sinistra sindacale Enrico Ferri (appena 339 voti). La sconfitta dei tre big sta facendo rumore nel campo del sindacalismo giornalistico come l’avanzata a Roma del fiduciario della Casagit, Mario Antolini, e a Torino di Daniele Cerrato, attuale presidente nazionale della Casagit e in predicato di passare al vertice dell’Inpgi.

Terminato lo scontro elettorale, sul tappeto ci sono i problemi da risolvere a partire da un dato. L’istituto ha dovuto affrontare negli ultimi anni la gravissima crisi dell’editoria che ha comportato il taglio di circa 3mila contribuenti attivi e circa mille tra pensionati e prepensionati derivanti dalle ristrutturazioni aziendali. Nel 2015 i sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e solidarietà sono stati 6.384. Una enormità se rapportata al 2010; un fenomeno che necessita di un diverso intervento del sindacato (presidente Beppe Giulietti) e del servizio ispettivo (su web, uffici stampa pubblici e privati, radio e tv locali) per far aumentare il numero dei contrattualizzati e diminuire le “ristrutturazioni aziendali di comodo”. Va fatta chiarezza sulla questione Sopaf, che vede l’ex presidente Camporese nella veste di imputato nel processo che si aprirà il 21 aprile. Le nuove sfide sono inoltre i problemi della gestione, della riforma dell’istituto e dei meccanismi legati alla parziale dismissione del patrimonio immobiliare stabilita dalla legge.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:14