Il Commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, ha avuto il merito di rendere nota la situazione scandalosa degli affitti degli immobili comunali. Una trasparenza che difficilmente avremmo avuto con al governo della città i partiti che, stando alle informazioni pubblicate, godono da tempo di una situazione di favore che va al di là di ogni immaginazione. Sapere che vi sono cittadini e associazioni con affitti a prezzi stracciati per edifici siti nei luoghi prestigiosi del centro storico di Roma, scoprire che vi sono organizzazioni politiche addirittura in condizioni di morosità – si pensi alla sede del Partito Democratico di via dei Giubbonari o a quella storica della destra a Colle Oppio – fa sicuramente rabbia. Una rabbia ancora più dolorosa in un periodo di crisi economica come quello attuale.
“Affittopoli” è la dimostrazione che non è marcia solo la politica, ma anche la società civile. C’è una parte consistente di cittadini connivente con gli intrallazzi della cosa pubblica, che lucra sulle spalle degli altri. C’è un sistema di corruzione nel nostro Paese talmente radicato da caratterizzarsi come un “prodotto tipico” del made in Italy, magari da brevettare.
Battuta amara a parte, sbaglia chi pensa che il cancro di Affittopoli riguardi solo la Capitale. Se si andasse a fondo con uno studio di interesse almeno dei grandi comuni, si scoprirebbe qualcosa di spiacevole e un male comune che di sicuro non induce al mezzo gaudio. La questione riguarda sostanzialmente il cosiddetto “patrimonio disponibile”, ossia quei beni non demaniali posseduti da un ente pubblico, in questo caso il Comune, che, non configurandosi, ai sensi del Codice civile, come “indisponibili”, possono essere utilizzati come se fossero beni privati. L’ente pubblico, quindi, può deciderne la destinazione, commercializzarli, locarli o venderli, trattandosi di immobili e terreni non destinati a un pubblico servizio. La domanda che ci si pone è la seguente: con quali criteri il Comune decide la destinazione del bene disponibile? Quale norma locale ne fissa i parametri e ne regolamenta le procedure, affinché il bene sia locato o venduto a condizioni vantaggiose per l’ente pubblico?
A queste domande nessun amministratore o dirigente locale, salvo, speriamo, qualche eccezione, sarà propenso a rispondere, perché mancano deliberazioni di disciplina della materia. Ciò significa che, a suo tempo, quando si decise per la locazione, ad esempio, di un appartamento, si sarebbe intavolata una trattativa privata, tra ente e interessato, che evidentemente ha visto il primo soccombere e piegarsi alle volontà del secondo. In conclusione, il prezzo lo ha fatto il privato e l’amministrazione pubblica ha svalutato un bene, magari di pregio, sito in una zona prestigiosa, incassando negli anni cifre risibili a danno del proprio bilancio.
Fa piacere che Roma Capitale abbia attivato due task-force per le operazioni di verifica delle “posizioni anomale sia da un punto di vista documentale che fattuale”, affiancandosi “alla Segreteria Tecnica che già da tempo è dedicata all’analisi del patrimonio immobiliare capitolino”. Dal comunicato del Campidoglio si intuisce che la situazione complessiva non è ancora chiara ed è chiaramente complicata. Se bisogna rafforzare le strutture per capire, in primis, le anomalie “dal punto di vista documentale”, significa che, prima ancora di scoprire se l’inquilino paga l’affitto e a quale cifra irrisoria, bisogna trovare le carte e verificare la loro correttezza. Siamo, dunque, in alto mare. Il problema vero starà, comunque, nella soluzione. Una volta terminato lo studio, che anche gli altri Comuni italiani dovrebbero effettuare, cosa deciderà di fare il Commissario straordinario o, ancor meglio, il prossimo sindaco di Roma? Come risolvere il problema?
Nella Capitale, come si è detto, si è venuta a creare questa situazione scandalosa perché manca una precisa e chiara regolamentazione. Non c’è una deliberazione né di Giunta né di Consiglio comunale che fissi i criteri per la valutazione di un bene disponibile e che sia di riferimento per la determinazione del canone di locazione. Mancando le regole, il tutto è rimesso alla volontà dei singoli. Trattandosi, poi, di immobili affittati decine di anni fa, sarà veramente arduo risalire alla ratio della contrattazione fatta a suo tempo. Pertanto, sarà fondamentale che il Comune emani un regolamento sulla materia con una deliberazione che dovrà essere di Consiglio comunale, ossia del potere legislativo a livello locale, contenente, da un lato, un capo dedicato alla soluzione del pregresso e, dall’altro, alla fissazione di regole chiare e logiche per il futuro.
Partendo da un concetto base: chi non è in grado di sostenere il giusto affitto, che deve essere adeguato al livello dell’immobile e della zona urbanistica della città, può cercarsi casa altrove. Stessa sorte per quei partiti che, in tutti questi anni, hanno sfruttato la situazione, predicando bene e, come si è scoperto, razzolando malissimo. Roma Capitale avrebbe l’occasione, dopo tanto tempo, di dare il buon esempio, nella speranza che il coperchio di uno scandalo tipicamente italiano venga alzato anche in merito agli altri enti locali.
(*) Consigliere nazionale Pli - Vicesegretario Pli per il Lazio
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54