Il Giubileo di Papa   “El Che” Bergoglio

Alcuni miei amici, di altre città, sapendo che abito a poca distanza dal “Cupolone”, mi domandano come me la cavo con il Giubileo, pensando che, non essendo nelle condizioni per fruire dei vantaggi spirituali del non più secolare evento (… “basta nun esse giacubbino o abbreo – o de l’antra gentaccia che je pesa, – er Papa j’arigala er giubbileo”) e sia invece esposto ai fastidi ed agli inconvenienti dei grandi ingorghi di folle, oltre quelle sportive (giacché non abito neppure lontano dallo Stadio Olimpico). Anche quelle dei penitenti accorsi per guadagnare indulgenze.

Oramai, però, non si stupiscono più quando rispondo che del Giubileo nessuno qui a Roma se ne accorge. Ci sono le solite adunate domenicali, le solite allocuzioni del Papa dalla solita finestra dei Palazzi Pontifici. Le solite esortazioni all’“accoglienza”. Quelli che assai meglio di me sono in grado di “sentire il polso” della situazione mi dicono che anche l’afflusso “più propriamente turistico” non è affatto aumentato, ma, semmai, un pochino diminuito, né è “compensato” da un aumento del movimento più propriamente relativo a “pellegrini” e “pellegrinaggi” (data per ammessa una differenza sostanziale con l’altro).

Dopo le preoccupazioni per l’organizzazione affrettata dell’apparato dei servizi, per la sicurezza e per la mancanza di una “normalità” amministrativa della Città Eterna, proprio in coincidenza con l’evento che si definiva ottimisticamente “grandioso” (improvvisazione che però ci ha messo al riparo dal compimento, come in passato, delle solite opere più devastanti che efficienti) è subentrato il disagio per il venir meno di un’altra “spinta”, più o meno fantasiosa, cui affidare le solite “previsioni di ripresa”. Che ne è dunque del Giubileo bandito con fulminea e poco chiara decisione del Papa gesuita?

Quelli che di certe cose se ne intendono (e che pertanto hanno maggior ricchezza di argomenti per spiegare poi perché le loro previsioni sono risultate sballate) avevano ritenuto che l’improvvisa decisione, presa con tanto poco anticipo, rappresentava una risposta del Papa “innovatore” alle resistenze ostinate ed alla diffusa ostilità della Curia ai suoi provvedimenti ed al suo stile. Una sorta di “provocatio ad popolum” (veramente l’uso del latino sarebbe improprio), una risposta, con la convocazione di immense folle plaudenti, alle meschine manovre dei “conservatori” della Curia. Ma, poi, non solo l’accorrere a Roma, in questi mesi, del popolo cristiano ad applaudire la “novità” non c’è stata e non sembra che ci sarà, ma lo stesso Papa Francesco, ricorrendo alla novità (per me, che non me ne intendo, alquanto strana) del Giubileo “decentrato”, ha smentito questa interpretazione della sua decisione o, almeno, ha sancito una retromarcia che esclude il perseguimento di tale finalità.

Le “sue” folle immense Bergoglio è andato a trovarsele in America Latina. Dove, si direbbe che la sua concezione di un cattolicesimo più latino- americano che romano trovi minori ostacoli ed ostilità da superare. Sempre a causa, con ogni probabilità, della mia estraneità al mondo cattolico, mi è sembrato che, specie il viaggio in Messico, del “Che” Bergoglio (“Che” è intercalare degli Argentini che in tutto il Sud America sta, appunto per indicare, un po’ scherzosamente le persone che provengono dall’Argentina, come fu a Cuba per Guevara) più che ad imporre a tutto il cattolicesimo una linea dettata dalle esigenze di quella parte del Terzo Mondo, sia valso più a conferire un ruolo particolare, in un certo senso “autonomo”, ad un cattolicesimo culturalmente legato alla storia precolombiana di quel Continente, che a forgiare nuovi atteggiamenti “universali” della Chiesa. Effetto, forse, delle danze “religiose” al suono di musica folk trasmesse in mondovisione.

Ma torniamo a Roma. Il successo che “El Che Bergoglio” ha ottenuto nella sua America Latina (e forse proprio a causa di ciò) non sembra abbia placato il trasparente disagio che il suo papato sta provocando in alcuni ambienti dello stesso Vaticano, né sembra che le perplessità che esso riscuote siano tutte ascrivibili alla forza di inerzia di vecchie incrostazioni conservatrici e di timore di potenziali destinatari della sua opera moralizzatrice. Come accade a molti alti “riformatori” che si impongono come tali, tanti fatti e circostanze che, comunque, trapelano, fanno sì che si sussurri che “predichi bene e razzoli male”, proverbio che, non a caso, si è creato come occasionale riferimento ad ambienti e comportamenti ecclesiastici. Già diverso tempo fa ci è capitato di scrivere dei numerosi lavoratori, specie del settore più vicino alle attività “turistiche” del Vaticano, in condizioni di precariato (contro cui “El Che Papa” aveva tuonato con la sua autorevolissima condanna). Non solo lavoratori “precari”, ma “in nero”, senza alcuna forma di previdenza (Inps, Inail, ecc.). Era corsa voce che per il Giubileo, per dare alle parole circa il dovere dell’“accoglienza”, un qualche seguito di fatti, il Vaticano avrebbe assunto un buon numero di extracomunitari disoccupati. Altri precari? Certo, ma contemporaneamente, a quanto si diceva, i precari già da tempo (con turni ed intermittenze) assunti, sarebbero stati in qualche modo “stabilizzati”. Il “flop” del risultato turistico del Giubileo ha mandato all’aria queste ottimistiche previsioni. Papa Bergoglio (“El Che”) continua a predicare il dovere dell’accoglienza, ma quello che sembrava dovesse essere il contributo dello Stato Vaticano a tale doverosa funzione pare sia svanito. Ed i precari restano precari. E pare che tutta la baracca amministrativa d’Oltretevere stia attraversando un periodo di gran confusione.

Il successo della Chiesa cattolico-amerinda non sembra ripercuotersi in un miglior andazzo delle cose in Vaticano. Non avremo un altro “periodo avignonese”, una trasmigrazione della Santa Sede, che so, in Messico. Ma, come accade a quelli ai quali il buon lavoro fuori casa non manca, “El Che Bergoglio” non ha molto tempo da dedicare alle cose di casa propria. E quando il gatto (con tutto il rispetto dovuto) non c’è, i sorci ballano. Negli ampi saloni, corridoi e stanze dei Palazzi Vaticani, non occupati da migranti senza tetto, lo spazio ai topi non manca davvero.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54