Legge Pinto: Consulta   boccia le modifiche

Sono incostituzionali le furbette modifiche dei criteri temporali della Legge Pinto volute dal decreto “Salva Italia” del Governo Monti. Con esse nel marzo 2012 si erano alzati i parametri temporali a sei anni (tre se si trattava di una decisione andata definitiva dopo un solo grado di giudizio) prima di avere diritto a chiedere i risarcimenti previsti dalla legge n. 89 del 2001 per la lentezza dei processi. Ma ieri la Consulta, con la sentenza n. 36 redatta dal giudice Giorgio Lattanzi, ha ribadito che i criteri Cedu di due anni per la definizione di un procedimento tra primo e secondo grado sono quelli giusti. E che nessuna furbata legislativa italiana può modificarli.

Un campanello d’allarme anche per l’attuale esecutivo di Matteo Renzi che nella legge di stabilità aveva ribadito la cosa e aveva anche abbassato le soglie di risarcimento annuo da duemila euro a settecento. Questa cosa riaprirà presto tutto il contenzioso sulla legge voluta dal governo Amato nel 2001 per nascondere la mondezza sotto il tappeto e non disturbare più l’Europa letteralmente subissata dai ricorsi dei cittadini italiani.

La ratio della sentenza è presto spiegata: “La questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-bis, nella parte in cui determina in tre anni la ragionevole durata del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 nel primo e unico grado di merito, è fondata, in riferimento all’articolo 111, secondo comma, e all’articolo 117, primo comma, Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Cedu. Dalla giurisprudenza europea consolidata si evince (sentenza n. 49 del 2015) il principio di diritto, secondo cui lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse, e che, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia”.

“Ne consegue - spiega Lattanzi - che l’articolo 6 della Cedu, il cui significato si forma attraverso il reiterato ed uniforme esercizio della giurisprudenza europea sui casi di specie (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007), preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anziché modellarla sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale”.

Più chiaro di così si muore, al netto del linguaggio giuridichese, per il governo si prospettano migliaia di ricorsi contro sentenze di non accoglimento dei risarcimenti emanate sulla base del “Salva Italia” di Mario Monti. Morale? Inutile piangere sul latte versato se si fanno leggi con i piedi e con intenti nocivi ai diritti del cittadino.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04