
Suggerisce uno tra i maggiori sociologi del Novecento, Max Weber, che ogni generalizzazione è una vittoria precaria nell’infinita complessità dei fatti. Il sociologo non si propone di formulare leggi universalmente valide di dinamica sociale, né tanto meno di una teoria della storia e della civiltà di natura evoluzionistica, si limita a ricercare con prudenza metodologica e atteggiamento laico i rapporti di reciproco condizionamento e la rete di correlazioni, congruenze e compatibilità, tra le credenze religiose, risultati della scienza, etica sociale, organizzazione sociale e l’agire concreto degli individui.
Il dominio dell’informazione sul tema delle adozioni omosessuali ha già causato danni irreparabili sulla possibilità di conoscenza dell’opinione pubblica su un problema così complesso e fondante che riguarda l’intera umanità, non solo quella italiana. Infatti, tutti gli incipit lanciano il messaggio: unioni civili, che sembra nessuno contesti. Diversamente, cosiddetta la Legge Cirinnà riguarda le adozioni omosessuali, problema diverso dalle unioni civili, vale a dire unioni di fatto tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso. Ed allora ab imis, le prime domande alle quali rispondere sono: il feto sente le carezze di mamma e papà al pancione dopo la ventesima settimana? Attorno alla ventiseiesima inizia a percepire la luce fuori dal pancione? Verso la trentesima può sentire la voce dei genitori ed è meglio non esporlo a rumori troppo forti? Suoni, odori, sapori, ma anche le carezze sul pancione o la luce che proviene dall’esterno: il feto li percepisce? E come reagisce ai vari stimoli?
Il processo dello sviluppo dei vari organi di senso è graduale, ma si può dire che nel corso del secondo trimestre le sensazioni diventano sempre meno confuse e più raffinate. La conferma viene dai prematuri, che mostrano di reagire agli stimoli tattili già in epoche precoci. Il feto percepisce sensazioni e stimoli sin dalle prime settimane di gravidanza, un universo di percezioni che diventa via via sempre meno confuso con l’avanzare della gravidanza e con lo sviluppo del sistema nervoso. Si sostiene che il bambino ha il diritto di essere ascoltato, capito, accettato e amato così com’è, ricevendo adeguati feedback ai suoi messaggi, sostegno e apprezzamento positivo nelle sue iniziative; quindi anche il bambino prenatale ha diritto ad essere ascoltato, capito, accettato e amato così com’è, ricevendo adeguati feedback ai suoi messaggi, sostegno e apprezzamento positivo nelle sue iniziative. La partecipazione prenatale risulta nativa per una buona relazione nella triade (mamma, papà, bimbo) in formazione. Madre e padre trasmettono le loro emozioni al loro piccolo bimbo, che si metterà in relazione con loro per vivere la propria esistenza fisica e psichica. Quando si concepisce un figlio esiste un figlio desiderato, poi nasce quello reale e se non conforme alle aspettative sarà vissuto con lo stesso amore di quello immaginato, perché la nascita è l’evento più importante di ogni altro, che genera un’emozione unica e irripetibile. Guerre, distruzioni, sofferenze, povertà, ricchezza; sconfitte, vittorie, malattie, buona salute non possono essere paragonate all’evento della nascita di un nuovo essere, figlio dell’intera umanità, nella sua sacralità scritta nella religiosità universale dell’uomo, oltre ogni singola religione nelle proprie liturgie, nei suoi dettati dei libri sacri.
Ogni gravidanza è unica, imparagonabile, come lo è ogni bambino. È ormai certo che ogni essere umano vive nell’ambiente intrauterino il periodo della sua prima e più delicata formazione, ha connotazioni fortemente sonore: suoni che per la loro ritmicità e costanza costituiscono punti di riferimento per il feto (battito cardiaco, voce materna), suoni improvvisi o di una certa durata provenienti dall’esterno del corpo materno, suoni più forti o più deboli, musiche che possono risultare gradevoli o sgradevoli. La percezione dei suoni, per via tattile e uditiva, è uno dei veicoli privilegiati per lo sviluppo di processi di orientamento, conoscenza e interazione da parte del piccolo nei confronti del mondo esterno. Attraverso i suoni, specie quelli della voce materna, infatti, il feto inizia a percepire i significati degli stati d’animo che quei suoni veicolano, e ad essi egli risponde con mutamenti del suo battito cardiaco e/o del suo stato (movimenti di vario tipo o stati di quiete). Il suono ha altresì la possibilità di tonificare il nascituro e di fargli percepire in modo “amplificato” le emozioni materne creando le basi per la consapevolezza della propria alterità. Il gioco di cantare o parlare al proprio figlio e di ascoltarlo nelle sue espressioni motorie o a livello più sottile può sollecitare, nel feto, la percezione di essere “colui che riceve” e “colui che offre”, in un reciproco scambio madre-figlio, in cui si pongono le basi di un modello di comunicazione.
Il bimbo prenatale è continuamente stimolato da suoni, rumori, voci, odori provenienti dalla cavità endouterina o dall’ambiente esterno. È stato dimostrato che il feto “memorizza” il ritmo cardiaco materno che, se registrato e riproposto dopo la nascita, ha una funzione rilassante. I bambini hanno una predisposizione fisiologica ad apprendere il linguaggio, un processo molto complesso che si verifica nel corso dei primi tre anni di vita, un sistema percettivo che sembra nascere già nella fase prenatale. I primi suoni che il neonato produce sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini, ecc.), o associati al pianto. Il bebè piange quando ha fame, sete, freddo, sonno, perché vuole cambiare posizione o per qualsiasi disagio fisico. Fin dalla nascita, il pianto del lattante sollecita la tempestiva risposta istintuale dei genitori, la madre e il padre, ai suoi bisogni e diviene la principale e più efficace forma di linguaggio. Dalla nascita a sei settimane le vocalizzazioni del bebè sono effetto di riflessi innati che appartengono al bagaglio genetico della specie: lamenti di dolore o disgusto, gridolini di gioia, sospiri, starnuti e suoni gutturali diversi.
Altri studi, compresi nella locuzione eugenetica, hanno riguardato i metodi volti al perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali operate mediante l’individuazione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi, o eugenici (eugenetica positiva), e la rimozione di quelli negativi, o disgenici (eugenetica negativa), attraverso selezione o modifica delle linee germinali, secondo le tradizionali tecniche adottate nell’allevamento animale e in agricoltura basate sulla genetica mendeliana, e quelle rese attualmente o potenzialmente disponibili dalle biotecnologie moderne. Il termine eugenetica è stato utilizzato per etichettare in modo negativo anche le tecniche di diagnosi preimpianto dell’embrione nei casi di fecondazione assistita.
La legge 40/2004 consente “la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative” (articolo 13, comma 2). “Sono, comunque, vietati... ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo” (articolo 13, comma 3b). Nella stessa ottica, la legge n. 40 del 2004, articolo 1 e articolo 4 (comma 1), vieta il ricorso alla fecondazione assistita ai portatori di malattie genetiche. La fecondazione è ammessa nei soli casi di sterilità e infertilità di uno dei partner. È stato anche sostenuto che lo sviluppo delle tecniche di fecondazione artificiale e di ingegneria genetica è legato all’ambizione maschile di avere un pieno e autonomo controllo sul concepimento e sulla riproduzione: una capacità che è invece esclusivamente femminile.
Le più recenti scoperte sulla struttura del Dna in relazione alla nostra origine evolutiva (mappatura del genoma umano) hanno dimostrato che il Dna femminile o mitocondriale (cromosoma X) risale ad oltre 143mila anni fa ed è di circa centomila anni più vecchio di quello maschile (cromosoma Y), comparso sul nostro pianeta “appena” 59mila anni fa. Dunque la più antica, e per molto tempo unica, forma di riproduzione sulla terra è stata quella partenogenetica. La formazione del cromosoma Y, responsabile della nascita di esseri umani maschili, è probabilmente frutto di una mutazione genetica. Questo cromosoma, che viene rappresentato uguale per dimensioni al cromosoma X, è in realtà molto più piccolo (ha circa un quinto della sua grandezza) e osservato al microscopio appare piuttosto come una piccola “v”, ovvero una X monca di due filamenti: quelli che controbilanciano eventuali difetti e predisposizioni deleteri per la salute. È il motivo per cui “nel complesso gli uomini hanno una salute molto più cagionevole delle donne” e una vita meno lunga già a cominciare dalla condizione prenatale, visto che gli aborti spontanei sono più frequenti nei feti maschili.
Sarà il lettore a trarre le conclusioni, ricordando le parole di Goethe (“Faust” vv. 1-6) “Avvicinatevi ancora, ondeggianti figure apparse in gioventù allo sguardo offuscato. Tenterò questa volta di non farvi svanire? Sento ancora il mio cuore incline a quegli errori? Voi m’incalzate! E sia, vi lascerò salire accanto a me dal velo di nebbia e di vapori”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:51