Scalia-Falcone: quando   erano d’accordo

Personaggio indubbiamente interessante e contraddittorio Antonin “Nino” Scalia, il decano dei giudici della Corte Suprema statunitense recentemente scomparso; interessante proprio per la sua contraddittorietà. Italo-americano di Trenton nel New Jersey, Scalia è “americano” dall’alluce alla cima dei capelli, come “americano” sa essere solo chi è orgoglioso della sua origine, e ha duramente conquistato con fatica e sudore; uno “spirito” forse difficile da capire (e condividere) in Europa; e in Italia, in particolare. Perché interessante e contraddittorio: rigoroso cattolico, Scalia frequenta la Xavier High School di Manhattan: formazione gesuita. Si laurea primo nella sua classe Cum Laude presso la Georgetown University. Parallelamente frequenta corsi all'Università di Friburgo in Svizzera, e perfeziona gli studi in legge presso la Law School della Harvard University. Si laurea, sempre cum laude, nel 1960, e diventa Sheldon Fellow Harvard. Sempre quell’anno si sposa con Maureen McCarthy, da quell’unione vengono nove figli: fervente, rigoroso cattolico, appunto.

Sicuramente conservatore, Scalia è convinto che la Costituzione americana non si interpreta né si “evolve”, ma va letteralmente applicata; in lui però convive anche l’idea che i conservatori devono rivedere il loro punto di vista pregiudizialmente ostile al potere nazionale. È curioso che a nominarlo giudice della Corte Suprema sia proprio quel Ronald Reagan di cui tutti ricordiamo la celebre frase pronunciata il 20 gennaio del 1981 in occasione del suo discorso d’insediamento: “Nella crisi presente, il governo non è la soluzione al nostro problema, il governo è il problema”.

Interessante perché riesce a essere contemporaneamente contrario all’aborto, al matrimonio tra omosessuali, contro la regolamentazione dell’uso delle armi, favorevole alla pena di morte. Difesa del feto e per la soppressione di alcune fattispecie di viventi: lo avrà pure spiegato mille volte, come le due cose possono convivere, resta comunque, una contraddizione. Se qualcosa è “sacro” non lo è solo nei giorni dispari. Al di là delle opinioni, unanime è il giudizio (e il riconoscimento) sulle sue qualità di giurista. Lui e il diritto erano un tutt’uno, lo riconosce anche il suo più acerrimo avversario. Non per nulla la sua nomina alla Corte Suprema viene ratificata dal Congresso all’unanimità. E qui viene il bello (o il brutto), il “qualcosa” che non casualmente nessuno ricorda. Anni fa, in occasione di una sua vacanza in Sicilia, a Scalia scappa detto: “Sarei molto preoccupato se dovessi essere processato da un sistema giudiziario come quello italiano. Considero una pessima idea la mancata separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. In America un sistema giudiziario come il vostro sarebbe assolutamente inaccettabile. Nel nostro Paese una lunga, radicata tradizione impone la separazione completa tra il ruolo del Pubblico ministero e quello del giudice. Il Pm rappresenta l’esecutivo, il giudice in genere è un avvocato che per gran parte della sua vita ha sostenuto le ragioni dei privati contro lo Stato, per esempio come difensore nei processi penali o nelle vertenze fiscali. Il popolo americano rifiuterebbe un giudice uscito dai ranghi della magistratura inquirente, con una mentalità da inquisitore e troppi amici nell’ufficio del Pubblico ministero. Un sistema in cui giudice e accusatore sono intercambiabili mi pare una ricetta per l’ingiustizia”.

Era quello che, parola più parola meno, diceva anche Giovanni Falcone: “…Ora sul piano del concreto svolgersi dell’attività del Pm, non può non riconoscersi che i confini fra obbligatorietà e discrezionalità sono assolutamente labili e, soprattutto, che la discrezionalità è, in una certa misura, un dato fisiologico e, quindi, ineliminabile nell’attività dl Pm. Ed allora, se vogliamo realisticamente affrontare i problemi, evitando di rifugiarsi nel comodo ossequio formale dei principi, dobbiamo riconoscere che il vero problema è quello del controllo e della responsabilità del Pm per l’esercizio delle sue funzioni… Mi sembra giunto, quindi, il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del Pm finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività…”.

Per queste sue opinioni e prese di posizione Falcone patisce più di un ostracismo e boicottaggio da parte dei suoi colleghi. Davvero curiose convergenze, queste, tra un giudice dichiaratamente conservatore, e un magistrato simbolo della lotta antimafia e “liberal”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02