Comunali a Roma:   candidature fragili

A Roma ci sono le Amministrative? Pare proprio di sì, ma che non si parli della precedente Giunta, delle note spese che Ignazio Marino presentava a sua insaputa, delle lunghe vacanze americane fatte proprio mentre nella Capitale scoppiava il finimondo.

È questo l’impegno tacito dei candidati del Partito Democratico: fare tutto come se prima del Commissario Francesco Paolo Tronca non ci fosse stato nulla. Vi racconteranno invece che le Primarie in procinto di essere celebrate nel centrosinistra sono una straordinaria manifestazione di democrazia, ma l’aggettivo “straordinario” a sinistra viene (ab)usato proprio quando si vuole spacciare per grandioso un fatto che è infinitamente più misero di quanto si voglia far credere.

Vincerà sicuramente Roberto Giachetti che è il candidato di Matteo Renzi (appoggiato anche dai Radicali Italiani) e che ha come principale contendente il veltroniano Roberto Morassut, il quale si è subito affrettato a prendere le distanze dalla “Ditta” di Bersani & Company che voleva appoggiarlo per farne un concorrente competitivo. Gli altri contendenti sono solo un riempitivo utlizzato per dare una parvenza di “straordinarietà” e di democrazia: si svaria dall’ex tutto Stefano Pedica (senatore Pd, ex Ccd-Udeur, ex Italia dei Valori) al deputato del Centro Democratico Domenico Rossi, per arrivare a Gianfranco Mascia (Verde ed ex portavoce del Popolo Viola - quelli che avevano come unico scopo l’antiberlusconismo), per poi terminare con la candidatura di testimonianza di Chiara Ferraro, il cui impegno è quello di accendere un faro sulla situazione dei diversamente abili.

Gli slogan sono talmente scontati da far rimpiangere il “daje” di Marino: l’onestà, il rigore, i nuovi trasferimenti da chiedere allo Stato, ascoltare la “gggente”, la trasparenza, la legalità ed il solito pastone sul clima (qualcuno lo dica che ci vogliono almeno vent’anni e tante risorse per creare un sistema di trasporto pubblico che argini il traffico e migliori l’ambiente).

Lo ammettiamo, a noi le Primarie non piacciono per nulla perché sono un modo per dare una parvenza di provenienza dal basso a delle candidature decise in alto ma soprattutto perché - quand’anche non falsate da cinesi o Rom o claque varie - sono la negazione della politica, la quale ha il compito di assumersi la responsabilità di selezionare la classe dirigente da sottoporre al suffragio popolare attraverso regolari elezioni. Se non assolvono nemmeno a questo compito e lo delegano alle Primarie, i partiti che senso hanno? Ecco perché la scelta di Guido Bertolaso come candidato sindaco a Roma da parte del fu Pdl potrebbe andare bene nel metodo anche se nel merito suscita qualche perplessità.

Anzitutto si tratta di una candidatura divisiva visto che, eccettuati coloro che l’hanno fatta (Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi), lascia fuori coalizione una fetta importante del centrodestra come il gagliardo Francesco Storace ed il civismo organizzato di Alfio Marchini. Gli esclusi correranno da soli creando una non trascurabile emorragia di voti al centrodestra: Storace gode di un vasto consenso nella Capitale e con molta probabilità attirerà una cospicua fetta di quel voto identitario di ex An che a Roma ha toccato anche punte del 30 per cento e che non ha bisogno della parola “centro” accostata alla parola “destra” per scusarsi della propria provenienza.

Di per contro Marchini, che da solo alle scorse elezioni comunali ha sfiorato il risultato a due cifre, può contare anche sull’appoggio delle truppe di Raffaele Fitto oltre che su un contributo (con molta probabilità negativo) di Angelino Alfano. In secondo luogo, la scelta del centrodestra nasce azzoppata anche dai processi pendenti sull’ex responsabile della Protezione civile, perché le competizioni elettorali sono un po’ crudeli e gli avversari non metteranno certo in luce i tanti miracoli compiuti da Bertolaso ma proveranno ad infangarlo in ogni modo trovando dei solidi appigli.

Infine, ad oggi, la figura di Bertolaso non è che abbia scaldato proprio i cuori degli elettori e per il futuro sarebbe opportuno evitare di autodefinirsi “un vecchio democristiano” o di dire che i Rom sono una categoria svantaggiata verso cui usare cautela e comprensione, piuttosto che confessare di non aver mai votato per Berlusconi.

Questa convergenza così mansueta di Meloni e Salvini sul nome di Bertolaso puzza tanto di trappola per Berlusconi: il giorno dopo l’eventuale flop elettorale, gli altri due pilastri della coalizione rinfacceranno al Cavaliere la scelta del candidato perdente ed archivieranno così la sua stagione politica, generando il rompete le righe definitivo in Forza Italia. Sullo sfondo ci sono infine le “comunarie” del Movimento Cinque Stelle, che in queste ore sta cercando spasmodicamente di candidare dei perfetti sconosciuti così da non vincere la difficile gestione del Comune di Roma, perpetuando in tal modo la strategia collaudata di stare ostinatamente all’opposizione ed avere le mani pulite per poter criticare gli altri urlando che è tutto sbagliato ed è tutto da rifare.

Dopo il sindaco marziano, l’auspicio era che si potesse assistere ad una campagna elettorale di spessore che portasse ad una guida forte per la città. Le candidature invece appaiono finora fragili e chi ci perde è, molto probabilmente, ancora Roma.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58