
È qualche tempo che tra la Camera Penale di Roma ed i giornalisti della Capitale, Ordine compreso, non corre non buon sangue. I primo contrasti si erano manifestati alle battute iniziali del dibattimento del processo chiamato “Mafia Capitale” e, dopo un breve periodo sotto traccia, sono riaffiorati nei giorni scorsi. Occasione di questa nuova (e non ultima) acuzie, secondo quanto si è capito, sono state alcune frasi pronunciate da un difensore nel corso di una discussione in favore di uno degli imputati del processo Mafia Capitale (ma in altra causa) e la pronta reazione di un giornalista, che ha voluto leggervi un intento minatorio. Quello che sta accadendo non è cosa di poco momento e merita un’attenta riflessione.
Intanto, i protagonisti - tutti - si appellano alla rilevanza costituzionale della funzione svolta: il giornalista rivendica il diritto di informare liberamente, mentre l’avvocato si aggrappa alla inviolabilità del diritto di difesa garantito dalla Costituzione. Inviolabilità che - ci vuole poco a capirlo - è tale solo se il difensore ha facoltà di esprimersi con assoluta libertà e in assenza di qualsivoglia condizionamento.
Io sto con l’avvocato e non per partito preso.
Come ho appena detto, il diritto di difesa è inviolabile. La nostra Costituzione utilizza questo aggettivo in pochissime occasioni, riferendosi, guarda caso, ai diritti fondamentali della persona, ma non alla libertà di espressione del pensiero, dalla quale discende la libertà di stampa. Ciò non significa, naturalmente, che il diritto protetto dall’articolo 21 della Carta Fondamentale non concerna interessi primari di un sistema democratico e che possa subire legittime contrazioni. Tutt’altro. Significa, però, che i diritti della persona, libertà, segretezza delle comunicazioni, difesa - per citarne alcuni - valgono di più e, qualora si ponesse l’alternativa, dovrebbero anche (pre)valere.
Non basta. Il giornalista, che svolge una funzione essenziale per gli assetti democratici del Paese, ha il compito di informare correttamente, rispettando, come ogni cittadino, i canoni stabiliti in relazione al diritto di cronaca e di critica. Se viola quei parametri, risponde di diffamazione.
L’avvocato no: può spingersi anche al limite del penalmente rilevante senza subirne le conseguenze, alla sola condizione che le sue affermazioni siano connesse alla difesa della parte che rappresenta. Non occorre molto a capire, dunque, da quale parte sta la ragione e per quale motivo ogni censura alle parole di un avvocato nello svolgimento della sua funzione rappresenta un intollerabile attacco allo stesso diritto di difesa. La Camera Penale di Roma si riunirà nei prossimi giorni per manifestare sostegno al collega e riaffermare quello che ho appena sinteticamente riassunto.
La ragione sta con noi, perché la Costituzione e le Convenzioni internazionali stanno dalla nostra parte. Un processo giusto è tale quando l’avvocato è libero e può dire al giudice quello che ritiene necessario per proteggere il suo assistito, che ha affidato alle sue mani, e non a quelle della stampa, il prezioso bene della libertà. Lunga vita alla Camera penale di Roma.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57