Roger Scruton è un uomo fuori dal tempo. Compirà 72 anni tra poco e solo qualche giorno fa il Weekly Standard lo ha definito come “il conservatore inglese più significativo dai tempi di Edmund Burke”. Lui fa di tutto per non smentire l’onorificenza e nel suo ultimo libro Fools, Frauds and Firebrands: Thinkers of the New Left (“Sciocchi, imbroglioni ed estremisti: i pensatori della Nuova Sinistra”) - espansione e aggiornamento di un suo controverso lavoro del 1985 - disegna una sorta di crudele “bestiario” dell’intellighènzia globale sinistrorsa dal Dopoguerra a oggi.
Scritto con il disincanto di chi si ricorda di essere figlio di una famiglia laburista, il libro mette a nudo tutti i limiti del pensiero progressista, affrontando mostri sacri come Habermas, Lukacs, Sartre, Galbraith e Derrida. Scruton è uno di quelli che ha scelto di non piegarsi al politically correct dominante e che continua a ritenere che la nostra civiltà sia minacciata più dall’estremismo islamico che da qualche opinione un po’ sbilenca rispetto ai rigidi confini tracciati dai guru del progressismo. In un delizioso dialogo con il giornalista Mike Hume, pubblicato questo mese dal periodico inglese Spiked!, Scruton argomenta con grande lucidità le ragioni del suo ultimo lavoro e spiega il senso di voler dedicare un intero libro alla demolizione intellettuale di pensatori a volte ignoti al grande pubblico. Anche se “all’uomo della strada questi nomi dicono poco” e le loro biografie sono particolarmente datate, gli effetti devastanti del loro pensiero debole rischiano di essere letali per l’Occidente. Soprattutto oggi che le minacce alla nostra libertà sono diventate terribilmente serie. Lo slogan della rivoluzione francese è rimasto, appunto, “solo uno slogan”.
Liberté, égalité, fraternité: tutti valori per cui, spiega Scruton, “moltissima gente ha combattuto e ha perso la vita, sono stati completamente trasformati da un approccio burocratico”. Così oggi siamo pieni di leggi e provvedimenti statali orientati a garantire che nessuno venga discriminato, con il risultato che si impedisce a chiunque di emergere appena un po’ più degli altri. Anche la libertà è stata codificata come un diritto concesso generosamente dallo Stato: non la libertà delle persone di vivere la propria vita al meglio e di realizzarsi ma un beneficio, magari “concesso sotto forma di voucher” per chi è gay, donna o minoranza etnica. Così facendo, secondo Scruton, “questi ideali hanno smesso di essere tali e sono diventati una proprietà che lo Stato distribuisce alle persone secondo la moda del momento”. Ma è sul conflitto esistente tra la civiltà occidentale e l’estremismo islamico che la questione diventa cruciale. “Per 30 anni - spiega il filosofo inglese - mi sono battuto perché l’integrazione delle comunità di immigrati nella nostra società fosse un tema centrale”. La verità è che nessuno ci ha mai provato davvero, perché “se parlavi di integrazione la sinistra ti accusava di razzismo”. Nessuno ha mai avuto la forza di opporsi all’apologia continua del multiculturalismo. E quando Scruton pubblicò sul giornale da lui diretto (The Salisbury Review) un saggio che spiegava come “il fatto di non obbligare i ragazzi a parlare inglese nelle scuole rischiasse di danneggiare i bambini di tutte le comunità”, la sua carriera accademica andò letteralmente in pezzi. Scruton, però, continua “a credere nel concetto di integrazione”, anche se le sue idee in merito sono quanto di più lontano possa esistere da una generica affermazione di buoni principi. “I Musulmani - racconta a Spiked! - devono essere messi davanti al fatto che in Occidente ci si comporta in un certo modo: non si trattano le donne come avviene spesso nella loro cultura e non ci si copre il volto in pubblico”. Per Scruton, infatti, la nostra è una società che definisce i rapporti e le relazioni tra persone anche e soprattutto guardandosi in faccia e negli occhi.
Sono affermazioni come questa che gli hanno garantito in passato e gli garantiranno in futuro l’ostracismo della sinistra progressista e di larga parte dei media occidentali, tutti allineati al dogma del politically correct. Non si tratta solo “di difendere solo il diritto di manifestare il proprio pensiero, anche se scorretto, ma soprattutto di rivendicare quanto abbiamo ereditato dall’Illuminismo e dal Cristianesimo”. “Se - incalza Scruton - non siamo disposti a difendere la cultura che ha prodotto Beethoven, Eliot e Tolstoj, che cosa mai dovremo difendere?”.
© “Il Giornale” del 18 gennaio 2016
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:35