UniEuropa a Roma

Dopo il congresso di Uni Europa Icts torna a Roma dal 14 al 16 marzo 2016 allo Sheraton il sindacato dei servizi europeo stavolta nella plenaria dei settori. Uni Europa comprende 7 milioni di lavoratori dei servizi, 272 sindacati nazionali in 50 Paesi e copre settori come Tecnologie dell’Informazione e della comunicazione, media, arte ed intrattenimento, sport professionistico ed amatoriale, gioco e grafica, corrispondenti a quelli della UilCom. È parte anche di altri settori fondamentali come commercio, Logistica, assistenza privata, servizi immobiliari, estetica e acconciatura con la presenza di UilTucs; dei servizi finanziari con UilCa; dei servizi postali con UilPoste e delle agenzie interinali e professionisti con UilTemp. Segue anche le alte professionalità.

Lavori, ambienti e contesti molto diversi secondo l’accezione multiforme dei servizi che oggi rappresentano l’80 per cento dell’economia. Il punto di raccordo non poteva non essere altrettanto multiforme. Infatti UniEuropa è guidata da un sindacalista dall’esperienza anglo-tedesca. Oliver Roethig, classe 1965, è un figlio d’arte. Suo padre era responsabile per quadri e impiegati nel sindacato tedesco Dgb. Oliver però ha cominciato con il sindacato inglese Tuc, per i quale dal 1997 seguiva le politiche regionali europee a Bruxelles. Funzionario dal 2002 di Euro-Fiet, come si chiamava allora UniEuropa, è divenuto segretario di Uni Finance nel 2003 fino all’elezione nel 2011 per tutto il sindacato dei servizi. Come spesso è tipico, una carriera tutta interna alle strutture sindacali internazionali ed all’Europa per la quale Oliver ha seguito tutto il tema dell’allargamento. Gli ultimi anni hanno riservato al sindacato europeo cocenti delusioni nella chiusura del dialogo della Commissione rispetto alla fase ascendente degli anni Novanta.

Il numero delle organizzazioni aderenti è anche sceso sotto la soglia delle trecento. I problemi intrinseci alla costruzione europea si riflettono anche sulla collaborazione tra i sindacati che sia per aree regionali continentali che all’interno dei singoli paesi non hanno sempre obiettivi comuni. Il sostegno dato in passato da UniEuropa alla sola Cgil non ha compreso le posizioni della Uil e degli altri sindacati italiani. Gli scioperi euopei non sono stati sostenuti dovunque con lo stesso vigore. Lo slogan della conferenza Cambiamo Insieme l’Europa si coniuga su tre interrogativi: come rafforzare i sindacati, elevarne il potere di contrattazione e migliorare la qualità del lavoro. È giusto sottolineare i rapidi cambiamenti del vecchio continente; illusorio invece credere che una maggiore sindacalizzazione dipenda strettamente solo da questioni organizzative. È facile ottenere unità su temi indirettamente connessi al lavoro, come il clima o i diritti umani. Anche se il secondo tema è stato acceso nei confronti di alcuni paesi e non di altri come la Cina.

Più difficile risolvere l’intreccio delle politiche economiche nazionali a sostegno dei propri settori come nel caso dell’acciaio. È ormai chiaro che la semplice richiesta di un ruolo più attivo nelle istituzioni europee non lo fa ottenere di per sé. Il potere di contrattazione resiste dove le condizioni economiche nazionali sono buone o in uscita dalla crisi. Le diverse strutture istituzionali, dal Cese, al Tuac al dialogo sociale agli accordi con le multinazionali, sono gestite da parte sindacale come luoghi separati poco comunicanti. Simbolo ne è per esempio l’accordo quadro con Carrefour vigente mentre il colosso francese non riconosce il recente rinnovo del contratto del commercio italiano. UniEuropa si chiede come invertire il trend che indebolisce il potere contrattuale dei sindacati.

Difficile rispondere se non si affronta l’aspetto disruptive che l’evoluzione digitale sta ponendo sulle modalità produttive e distributive. Finora i sindacati tutti e soprattutto quello internazionale hanno usato molto poco le potenzialità della collaborazione e cooperazione digitale, non fosse che per superare le barriere linguistiche. Fintanto che i settori internazionali sindacali cederanno alla tentazione di interpretarsi come un livello diplomatico, tutto interno all’apice delle organizzazioni confederali, ben difficilmente giungerà agli iscritti, attivisti e lavoratori una conoscenza sistematica delle loro attività. Per non parlare dell’auspicato “approccio che parta dal basso”. Spesso, non solo in UniEuropa, lo stesso sforzo di sindacalizzazione è rimasto poi frustrato dal minore peso che ha il numero di iscritti rispetto alle possibilità economiche delle diverse organizzazioni.

Discorso che si ripropone per esempio tra le diverse possibilità oggettive sostenibili da bancari o quadri da un lato e operatori della grande distribuzione dall’altro lato. Sul settore dei call center, cui è dedicato da anni un mese di mobilitazione a livello europeo, si è assistito ad un totale flop mentre 10mila operatori in Italia hanno perso il lavoro o hanno dovuto ricorrere al sostegno sociale. Le attività europee messe in piedi non sono state in grado di costruire una risposta comune rispetto alle politiche delle grandi imprese, delle multinazionali e della Pubblica amministrazione. Si è finito per mitizzare la normativa inglese Tupe che introdotta un decennio fa dai governi Blair non è stata affatto in grado di mantenere l’occupazione iniziale ai cambi di appalti per nuovi bandi. Soprattutto, mentre la timida ripresa già volge al termine, resta poco comprensibile l’insistenza sull’importanza dei lavori altamente qualificati, che per loro natura restano minoritari.

L’idea che il lavoro stesse diventando migliore per tutti si scontra con la realtà, proprio descritta da UniEuropa, caratterizzata da digitale, precarietà, invecchiamento demografico. Un busillis che forse in futuro richiederà un nuovo diritto d’autore per i lavoratori. Che valga loro una quota (oltre la normale paga) negli anni dei risultati economici ottenuti dalle imprese, soprattutto nel caso che i nuovi prodotti e servizi abbiano l’effetto strutturale di abbattere occupazione e costo del lavoro. Il sindacato europeo dovrà dare prova di creatività a Roma per uscire da una situazione bloccata.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:27