
La battaglia per la verità della famiglia Cucchi (ed in particolare della sorella Ilaria) per sapere in modo certo e definitivo chi ha provocato la morte del loro Stefano è, al tempo stesso, encomiabile e dovrebbe anche essere da esempio in tanti casi irrisolti che purtroppo macchiano le vicende giudiziarie italiane. Che sono altresì macchiate - è giusto ricordarlo, almeno per onestà intellettuale - da premature sentenze di condanna vox populi contro soggetti assolti poi nei tre gradi ordinari di giudizio.
Però poi, come oramai noto ai più, Ilaria Cucchi ha travalicato i confini della battaglia per una giustizia giusta ed ha sconfinato nel terreno del “colpevole prima del processo”. La sorella di Stefano ha infatti pubblicato sul proprio profilo Facebook la foto di uno dei carabinieri (in tutto sono cinque, tre per il pestaggio e due per falsa testimonianza) attualmente indagati per la morte del ragazzo. “Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso” ha scritto la Cucchi commettendo, a nostro giudizio, un duplice errore. Il primo: ha colpito uno solo di quei “coloro” ai quali fa riferimento. Il secondo: quel carabiniere è attualmente indagato ed a stabilire se abbia o meno partecipato o meno all’uccisione del fratello di Ilaria non può essere la sorella di quest’ultimo ma a stabilirlo saranno i tre gradi di giudizio. La giustizia è quella che si fa nei tribunali, non quella dei social network.
L’infausta scelta di Ilaria Cucchi ha invece avuto delle conseguenze “collaterali” che proviamo in questa sede a sintetizzare, la prima delle quali è rappresentata dai commenti postati da quei frequentatori dei social che non vedono l’ora di avere uno spunto per prendersela (con frasi oltraggiose e minatorie, al limite del penalmente rilevante) con le Forze dell’Ordine in toto. E tardiva ci è sembrata la raccomandazione della Cucchi (“Non rispondiamo alla violenza con la violenza”): sarebbe stato forse più opportuno non scatenare un ‘prematuro’ odio contro un soggetto ancora indagato e quindi al momento non colpevole. Ed era quindi inevitabile - seconda conseguenza dell’infelice scelta - che il difensore del carabiniere annunciasse una denuncia per diffamazione contro la Cucchi. La quale - ma questo non lo sappiamo e quindi chiediamo preventivamente scusa - avrà sicuramente a sua volta denunciato per diffamazione un altro dei militari indagati secondo il quale “i carabinieri hanno fatto il loro dovere, hanno arrestato un grande spacciatore che spacciava fuori dalle scuole in un parco di Roma dopo l’esposto di alcune mamme e genitori preoccupati. Questo hanno fatto e basta, tutto il resto è speculazione politica per soldi e per arrivare in Parlamento”. Perché, in questo caso, una mancanza di denuncia per diffamazione confermerebbe che davvero su quella sera del 22 ottobre del 2009 ci sono ancora diverse verità da scoprire.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00