
In questi giorni l’elettorato medio si domanda se i figli sapessero dei rapporti tra i rispettivi genitori e Hervé Daniel Marcel Falciani (si legge Falcianì perché s’è naturalizzato francese). Andiamo con ordine. Il dubbio che alle spalle dei giovani rottamatori potessero esserci dei grandi vecchi in salsa toscana ha sfiorato un po’ tutti, quando sulle cronache è stata divulgata la notizia del cosiddetto “dossier Falcianì”: dal nome dello spallone pentito italo- francese che un bel giorno ha deciso di divulgare tutte le notizie bancarie riservate in suo possesso. Davvero tante, se dal 2009 collabora con diversi Paesi dell’Ue, vendendo alle autorità giudiziarie informazioni riservate su oltre 130mila titolari di conti correnti svizzeri: tutti presunti evasori fiscali, nel novero parenti ed affini di attuali esponenti di governo. Avevano aperto conti in Svizzera, presso la filiale della banca britannica Hsbc.
In Francia la lista Falciani viene appellata “lista Lagarde”, perché l’attuale direttore generale del Fmi è stata la prima a venirne in possesso quando era ministro francese delle Finanze, poi ne ha inviato copia ai governi europei. Nel novembre 2014 la Francia ha accusato la Hsbc di “riciclaggio di danaro”: oggi in troppi si domandano dove siano finiti i soldi trafugati dalle casse delle banche italiane. Il Governo Renzi non risponde, si difende, ma le tracce bancarie parlano di una plusvalenza da 10 milioni di euro, di movimenti finanziari che hanno favorito gli intermediari della black list Falciani. A finire nel mirino degli inquirenti è la Popolare dell’Etruria e del Lazio, con vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena (ministro delle Riforme e persona troppo vicina a Renzi). La vicenda assume subito le tinte della classica consorteria toscana che, in gran segreto, prima bada al malloppo e poi arraffa il potere: infatti nel “dossier Fancianì” oltre al padre della Boschi compare anche il deputato Davide Serra (Pd), amico dei Renzi (padre e figlio). Eppure già si poteva sapere tutto, scongiurando per tempo che la banda Renzi prendesse il potere, perché alle passate politiche un’inchiesta del “Consortium of investigative journalists” (consorzio europeo tra giornalisti d’inchiesta) aveva già diffuso la notizia dei renziani coinvolti nel Falciani.
Molto pragmatica questa banda toscana, avevano compreso prima di altri che per mettere le mani sul potere politico necessitava (ed ormai da tempo) avere saldamente le mani nelle banche. Ora è chiaro a tutti che alle spalle dei figlioli rottamatori (una parte in commedia) vi fossero i vecchi satrapi delle banche. La credibilità del duo Renzi-Boschi è venuta meno perché tra genitori affaristi e Pd renziano non sussiste un argine netto, una paratia stagna: il connubio tra le colpe dei padri ed il successo dei figli emerge grazie a Falcianì, perché uno degli ufficiali di collegamento tra il mondo sommerso e quello dei rottamatori è Davide Serra, il cui nome emerge nelle compravendite sospette delle banche popolari. Serra ha fondato il fondo d’intermediazione Algebris, ed ha finanziato l’ascesa di Matteo perché legato al padre Tiziano Renzi ed a Pier Luigi Boschi (padre della ministra Maria Elena). Piccolo particolare che ancora condisce la grande saga familiare toscana: Emanuele Boschi (figlio di Pierluigi e fratello di Maria Elena) è stato funzionario della stessa Banca Etruria, come responsabile cost management, dal 2007 al marzo del 2015: gestendo tutta la stagione sin dall’inizio della crisi causata dai titoli spazzatura. Se Matteo Renzi non può dirsi un nuovo della politica (a seguito di queste storie va rottamato, e non per questioni anagrafiche), nemmeno la Boschi è roba di primo pelo: nel 2009 era stata inserita dal padre nel Cda di Publiacqua (giusto per farsi le ossa), incarico che ha lasciato a giugno del 2013 dopo la nomina a deputato. Non si esagera nel sostenere che, dietro la cosiddetta “nuova classe dirigente italiana” (quella partorita dalla Leopolda) vi sia lo zampino dei grandi vecchi (padre Boschi e frate Renzi): ad andare in avanscoperta era sempre il visino candido della Maria Elena, nell’ottobre del 2013 conduttrice della Leopolda e l’anno successivo organizzatrice. Ve la ricordate “dalla Leopolda daremo all’Italia la nuova classe dirigente, soprattutto rottameremo la vecchia”: sorge il dubbio per sostituirla con certa dirigenza bancaria toscana. Chissà se Matteo e Maria Elena possano aver ricevuto consigli anche per la riforma elettorale, il famigerato “Italicum”? “Suvvia cari figlioli - potrebbe aver detto loro un grande vecchio con accento toscano - qui urge una legge che v’attacchi per sempre alle poltrona”.
Buon sangue non mente. Matteo è pur sempre il figlio di Tiziano, artista per certi versi come il suo omonimo. Che quadro a pittura: negli anni Ottanta Tiziano Renzi era uno dei tantissimi consiglieri comunali della Dc (lo faceva a Rignano sull’Arno) e per tenersi a galla si dimenava tra congressi e correnti (che erano tante e burrascose): non pago cercava di salire di grado in una potentissima loggia fiorentina. Quante bisogna farne per la famiglia. E si può considerare uomo di successo, perché oltre al figlio Matteo presidente è riuscito a mettere in politica anche la figliola Benedetta. Tiziano ha quattro figli e tanta fantasia politico-bancaria. Come sarebbero mai potuti crescere certi Boschi e Renzi senza padri così amorosi?
Il padre lo instrada come la chioccia col pulcino: nel 1996 si mette a capo dei Comitati Prodi, nel 1999 segretario provinciale del Ppi, quindi nel 2001 confluisce nella Margherita e nel 2003 assurge a segretario provinciale. Non muove un passo senza il padre Tiziano, a cui deve tutto, ed ecco che i risultati arrivano: a Firenze lo appellano “Million dollar baby” (parafrasando il film di Clint Eastwood) quando nel 2004 diventa presidente della Provincia di Firenze. La porta è spalancata, a giugno del 2009 è sindaco di Firenze. Le ombre sui pasticci personali e familiari iniziano ad allungarsi nel 2012, quando la Corte dei conti inizia ad indagare sulle spese di rappresentanza della Provincia durante il mandato di Renzi, e salta fuori la storiella della Florence Multimedia, una società in house a cui venivano affidati tanti (troppi) servizi. Che il rottamatore celi vizi da vecchio rottamato? Bando alle ciance, il 29 agosto del 2010 lancia l’idea della “rottamazione senza incentivi” dei dirigenti di lungo corso del Partito Democratico: ha il vento in poppa e ne approfitta. Ma le ombre restano tutte: l’8 ottobre del 2012, Alessandro Maiorano (dipendente del Comune di Firenze) ha presentato un esposto alla Guardia di finanza per denunciare che il presidente della Provincia e poi sindaco Matteo Renzi usufruirebbe di contributi pensionistici dirigenziali, risultando in aspettativa dall’azienda di famiglia (la Chil srl amministrata da Tiziano) in cui era stato assunto come dirigente 8 mesi prima di essere messo in aspettativa per l'elezione a presidente della Provincia: una trovata da vecchio arnese, diciamo che ci ha provato anche lui. Resta il fatto che Renzi non avrebbe mai offerto la restituzione dei contributi figurativi versati da Provincia e Comune all’ente previdenziale: s’è fatto fare la pensione da dirigente a spese del contribuente? Nel marzo del 2014 la Procura di Firenze ha aperto un’inchiesta per fare chiarezza sulla casa di Firenze dove Renzi soggiornava (per brevi periodi), l’affitto veniva pagato dall’imprenditore Marco Carrai che ha ottenuto svariati incarichi e appalti nelle società controllate dal Comune di Firenze. Marco Carrai, Tiziano Renzi, Davide Serra, Pier Luigi Boschi... la lista dell’affarismo toscano s’allunga di giorno in giorno. Ciliegina sulla torta si dimostra la bancarotta “Chil Post”, che vede indagato il padre del Premier con l’ipotesi di aver sottratto 1,3 milioni di euro alla società Chil per farla fallire (la stessa che ha elevato a dirigente Matteo). Così l’indagine della Procura di Genova sul padre di Renzi s’allarga ad altri due supporter Mariano Massone e Antonello Gabelli (entrambi del cerchio magico renziano). Secondo il Pm Marco Airoldi nel 2010 sarebbe avvenuta una “distrazione di capitali dalla società”.
Alla luce di tutto questo pasticcio potremmo mai fidarci d’una commissione d’inchiesta sulle banche gestita da mani renziane? Ci sono tutti gli ingredienti per l’impeachment. Soprattutto, dopo tutto il fango gettato da questa gente sulla vecchia politica, su Craxi, su Berlusconi, su Alemanno... e poi su chiunque fa politica a destra, sarebbe il caso di far scegliere al popolo. Il romanzo del giovane vecchio potrebbe essere all’epilogo, dei moralisti l’Italia che soffre e lavora ne ha le tasche piene.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28