Siamo bastian contrari: tre distinguo

Suvvia, ammettiamolo: siamo spesso dei “bastian contrari”, scriviamo cose in controtendenza, stiamo il più possibile alla larga dal mainstream. È un bene o un male? A quanto pare, ascoltando i lettori, è un bene. Del resto, scrivere e pensare non contaminati dal pensiero unico non soltanto migliora la qualità della vita (nostra) ma, quel che più conta, è il pegno positivo da pagare alla dialettica e, in fondo, alla politica, la cui latitanza dà a volte un capogiro.

Per esempio, e per chi scrive, almeno tre sono gli argomenti che sollecitano risposte e riflessioni quasi diametralmente opposte alla dittatura del luogocomunismo imperante, malattia più sottile ma a volte più insidiosa dello stalinismo. La prima riflessione in controtendenza riguarda i bombardamenti contro l’Isis, in Siria e dintorni. Non servono, dicono in molti, sono anche dannosi, colpiscono case indiscriminatamente sacrificando innocenti, ecc. ecc.. Persino un lucido analista come Edward Luttwak, storico di vaglia e collaboratore dei governi repubblicani Usa, l’altra sera ha ribadito - con fantastiche calzette a mezzo polpaccio - il suo giudizio negativo di bombardare la cosiddetta capitale in mano all’Isis, pur definendola città abusiva, un ammasso informe di abitazioni. Dove, però, è praticamente impossibile individuare covi, caserme, luoghi di lancio di missili e così via. Ma le cose stanno davvero così? Non lo crediamo. Infatti, a sentire i commenti della Bbc e della Cnn, oltre che di France 24 e del New York Times, è appunto in seguito a questi bombardamenti che l’Isis è stata fortemente indebolita, sì da costringere il suo capo dei capi, una specie di Totò Riina all’ennesima potenza, di nome al-Baghdadi, di dirigersi in Libia da dove la sua banda di assassini di massa insedierebbe una cittadella ad hoc per colpire ancora più facilmente sia il vicino Egitto che la non molto lontana Italia, e la Francia, si capisce.

Ma i bombardamenti russi e francesi, e anche un po’ americani, condannabili quando uccidono innocenti, sembrano più indirizzati a colpire i pozzi di petrolio da cui trae milioni di dollari al giorno la mafia del Daesh, oltre che le migliaia di camion che lo trasportano. Ci sono immagini, sequenze, filmati e interviste, anche delle nostre tivù, dalla Rai a La7, che mostrano queste vicende, anche se i filmati sui pozzi di petrolio bombardati sono abbastanza scarsi, ma non necessariamente inventati e, soprattutto, inutili. Sono utili, eccome, quelle bombe che distruggono la primaria fonte di arricchimento Isis da distribuire, in parte, ai criminali foreign fighters.

La seconda nostra obiezione contrastante luoghi comuni non isolati riguarda la situazione in Francia dopo la vittoria di Le Pen. Che sia un vittoria, e sonante, non si discute, soprattutto con quel 40 per cento regionale. Che, attenzione, diventa meno del 30 per cento a livello nazionale, non molto distante dal risultato di Sarkozy. Anche su questo non si discute. Invece sì, invece si dipinge il successo lepenista come uno tsunami immane, come un evento che ha stroncato repubblicani e socialisti e che inevitabilmente aprirà le porte dell’Eliseo al neofascismo, xenofobo e militarista delle Le Pen, come un nero annuncio di guerra civile. Errore! Tant’è vero che nel ballottaggio di domenica prossima qualcuno dà in vantaggio nei sondaggi quel Sarkozy che per molti sarebbe stato stroncato dalla Le Pen. Un match tutto da seguire e senza paraocchi.

Il nostro Matteo Salvini ne ha approfittato, un tantinello sopra le righe, saltando subito sul carro vittorioso della Marina d’Oltralpe, definita amica, sodale, quasi iscritta alla Lega Nord. Quando, semmai, è Salvini che ha infranto la linea secessionista della Lega avvicinandosi al nazionalismo della Le Pen, che resta comunque ben distinta e distante, a tutti i livelli, dal salvinismo populista, utile al suo leader quando si sta all’opposizione, ma del tutto inane e fuorviante quando si accede al governo.

Qualcosa da dire al proposito l’avrebbe Bobo Maroni, che fu un buon ministro degli Interni negli anni in cui Umberto Bossi strapazzava il Tricolore. Ed è su Maroni, oggi governatore, che indirizziamo la terza riflessione da bastian contrari, senza paraocchi. Riguarda la criticata (dalla gauche e persino dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando) decisione presa dalla giunta lombarda di impedire burka, veli che nascondono il viso e simili mascheramenti nei luoghi pubblici. Saranno anche pochine le donne in giro col burka e sarà anche vagamente pro-Lega la decisione del governatore lombardo, ma liquidarla come hanno fatto il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle in malo modo come una mossa esclusivamente propagandistica, di parte, lepenista, inutile e antislamica, è uno sbaglio politico. Che mostra un approccio, questo sì di parte, superficiale e, quel che è peggio, distante anni luce dal comune sentire di tantissimi italiani. È uno dei non pochi, classici errori della sinistra. Che spiega, tra l’altro, la fuga a destra dell’elettorato, a cominciare dalla Francia. Per ora.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30