
Deponete le armi e non solo i kalashnikov ak 47, ma anche quelle della parola, a volte più pericolose, perché dopo le parole vengono le decisioni. Il giorno dopo il massacro di Parigi, prima della conta ufficiale dei morti e delle lacrime di parenti ed amici, in Italia è andato in scena il solito défilé mortuario, le solite facce di commentatori, di esperti, di rappresentanti del popolo e delle istituzioni che hanno stancamente alimentato il c.d. confronto di idee e posizioni, con i soliti espedienti dialettici riferiti alla politica interna italiana privi di senso, un eterno tentativo di opaco ricorso alla ragione che non c’è.
Posizioni personali indimostrate prive di qualsiasi esame dei fenomeni, in assenza di dati empirici e soprattutto non avendo la responsabilità del governare e, quindi, di agire con tutte le conseguenze relative. Un vago chiacchiericcio fatto di apparizioni audio video, stando alla finestra, di fronte alla tragedia del terrorismo globale ed al dolore. Se avessero osservato non un minuto di silenzio, ma qualche giorno avrebbero evitato di aggiungere alla tristezza del momento una ulteriore dose di pericolo, considerando che sentendo tutte quelle ovvietà, il timore dei cittadini si è innalzato con progressione geometrica. Non sono stati esenti neppure i conduttori per non parlare dei noti opinionisti che da 20 anni ci tediano con le loro approssimazioni e le loro previsioni puntualmente errate.
L’argomento della paura è stato il più gettonato e sul tema quelli del posto fisso in video hanno toccato vette insperate di banalità e inettitudine. Mi hanno ricordato un caso giudiziario di una madre e suo figlio minorenne torturati, sistematicamente aggrediti, perseguitati e vessati dal solito ex marito e padre potenzialmente femminicida, che sono stati obbligati dal Giudice a sottoporsi a terapia psicologica e privazioni per liberarsi della paura ed accettare di essere torturati ed avere nei confronti dell’aggressore una predisposizione accogliente. Forse siamo stati fortunati, forse le nostre forze dell’ordine sono più brave di quelle degli altri Paesi, forse la politica italiana tanto criticata è stata illuminata e lungimirante nell’essere equilibrata nei confronti dei belligeranti in medio oriente o forse è stato l’insieme di questi fattori a consentire di non essere stati sfregiati dal terrorismo fondamentalista. Ma quale che sia la scelta strategica, di difficile elaborazione, per contrastare il terrorismo internazionale, come si può affrontarlo con la nostra pubblica amministrazione e con la nostra amministrazione della Giustizia?
I due strumenti operativi necessari per adottare qualsiasi tipo di politica estera ed interna. Non funziona nulla neppure per le piccole esigenze e necessità. Non è difficile da capire che l’inefficienza genera malessere e rabbia ed alla lunga le reazioni possono superare i limiti delle umana convivenza. Nel mezzo della strada dove abito da giorni c’è una bombola (almeno sembra) del gas abbandonata. Una zelante signora ha prima chiamato i vigili del fuoco, ma non è di loro competenza, poi ha chiamato la polizia municipale, ma non è di loro competenza, poi ha chiamato l’AMA, ma non è di loro competenza. Sembra sia un rifiuto speciale. La competenza dovrebbe essere della signora che ha chiamato! Se Voi che ci rappresentate, compresi opinionisti e commentatori vi volete interessare concretamente del problema terrorismo fondamentalista deponete le armi e imitate i missionari. Andate a predicare nei luoghi del martirio, rischiando la vita senza avere paura.
Qualcuno morirà, ma qualcuno verrà ascoltato e così la politica, quella con la P maiuscola, potrà ottenere qualcosa, perché coloro che oggi uccidono posso convertirsi al bene, così come si sono convertiti al male, ed intraprendere il cammino della misericordia. Quelli che non hanno tanto coraggio e restano in Patria possono dedicarsi a riformare la pubblica amministrazione allargata (se ne discetta da 60 anni) e soprattutto l’amministrazione della Giustizia italiana, senza quelle inutili polemiche, che sono utili al dominio sull’altro da te per far emergere la pochezza del proprio io. Non è poca cosa. Ricordate i magistrati che difendevano la giudice Forleo vittima della "denigrazione di alte cariche politiche". Forse avevano ragione: il rifiuto dell'equazione guerriglia-terrorismo.
In altre parole la giudice Forleo, “esercitando le prerogative di indipendenza e imparzialità che dovrebbero essere più che normali, doverose per qualsiasi magistrato, si è giustamente rifiutata di avallare servilmente l'equazione guerriglia uguale terrorismo che gli imperialisti e guerrafondai e i loro pennivendoli, nonché i P.M. con l'elmetto alla Stefano D'Ambruoso, vorrebbero si applicasse alle lotte di liberazione”. “E ha stabilito che per sostenere l'accusa di terrorismo occorre provare questa specifica finalità, e cioè "azioni di terrore indiscriminato verso la popolazione civile" come sancisce l'art. 18/2 della convenzione Onu, altrimenti si ricade nel legittimo esercizio della guerriglia come prevede la convenzione stessa.
Fuori da questo quadro legale, infatti, "porterebbe inevitabilmente a un'ingiustificata presa di posizione per una delle forze in campo", puntualizza Forleo, tanto più che "nel conflitto in questione strumenti di altissima potenzialità offensiva sono stati innescati da tutte le forze in campo". Inoltre per la Gup Forleo non risulta nemmeno provata l'appartenenza degli imputati all'organizzazione di Al Zarqawi, e neanche "legami penalmente rilevanti" con "responsabili di attacchi di pacifica natura terroristica". E per di più risultano inutilizzabili anche i dati forniti dai servizi segreti stranieri, perché affetti da "inutilizzabilità patologica". Ossia, sembra di capire, privi di valore legale in quanto puramente arbitrari e senza sostegno di prove documentate: magari "validi" per la legislazione americana basata sul semplice sospetto, ma non (ancora) per quella italiana formalmente ancorata allo Stato di diritto. Lascio a chi legge il commento.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:00