Corpi, anticorpi e... cazzate

Ci mancava anche questa. Da piccolo ne sentivo parlare e ne leggevo in altisonanti proclamazioni del Duce e dei suoi imitatori. La “Capitale morale”: Milano dove era stato fondato il fascismo etc. etc.

Adesso la “Capitale morale”, in un senso in verità un pochino diverso, cioè in contrapposizione alla “Capitale immorale”, Roma, è evocata nientemeno dal Garante (!??! ah! ah! ah!) dell’Anticorruzione. Da questa Autorità, (anzi, scusate, credo si debba dire Authority, se no c’è rischio di autoritarismo) sento parlare, di “Capitale morale”, ora che sono vecchio.

Non ho mai capito bene quale siano i compiti di queste Autorità-Authority, che dovrebbero occuparsi di cose fuori di ogni controllo, come la privacy (che nel nostro Paese d’intercettatori ed intercettati non esiste più da tempo) e di corruzione, che, secondo la gente d’Italia, è quella cosa che nessuno che abbia qualche potere è così fesso da non praticare a più non posso.

In Sicilia, dove la Regione si preoccupa di fare leggi ed istituzioni che sembrano la versione in chiave satirica di quelle nazionali, ho visto una sorta di regolamento dell’Anticorruzione siciliana (ah! ah! ah!) nel quale è inserita la prescrizione ai portieri dei palazzi sedi di uffici pubblici, di prender nota e riferire di eccessivamente frequenti visite di persone che non abbiano una “giustificazione”. Manco lo spionaggio cui erano tenuti i portieri al tempo del fascismo e dell’Ovra. Chissà se i portieri del Tribunale di Palermo avranno fatto rapporto su certe persone versate particolarmente in amministrazione di beni confiscati che dovevano frequentare assiduamente quelli del Palazzo.

Ora il Garante dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, che, manco a dirlo, è un magistrato “fuori ruolo”, ma forse non fuori dal comune, sfodera quella che è l’immancabile propensione dei titolari di uffici e funzioni inutili o di difficile comprensione di quale ne sia l’utilità, per le chiacchiere e la retorica ha tirato fuori quella giaculatoria fascista di “Milano Capitale 2 morale”. Con l’aggiunta di una spiegazione di carattere fisio-patologico. “Milano ha gli anticorpi, Roma no”. Non si capisce bene che cosa intenda per “anticorpi”. Speriamo che non sia una traduzione pseudo-scientifica e di una espressione volgarotta che si usa al Sud per sottolineare carattere e capacità virili.

Dico subito che, se questa gara, questo confronto Milano-Roma avesse senso almeno un po’ diverso da quello delle discussioni da caserma delle reclute (di una volta) provenienti da diversi Distretti, sarei persino disposto a fornire a Cantone (che ho l’impressione che poco ne mastichi) argomenti storici e supporto di opinioni di uomini di culture di varie epoche, in favore di Milano. Questo per dire che, se amo Roma, pur non essendovi nato, divenuta però la mia città, non è di questi paragoni da caserma che è nutrito questo mio sentirmi romano. Roma l’amo, tra l’altro, perché adoro il suo poeta Gioachino Belli, che della corruzione che è nel Dna della Città dei Preti, fece oltre ad un quadro d’alto valore letterario, un’analisi che nessuna autorità o autority è riuscita ad eguagliare.

E potrei ricordare, anzi, informare Cantone che un altro mio grande amore letterario, Leonardo Sciascia, amava Milano non Roma. Al pari di Stendhal. Milano dove una volta c’era la buona amministrazione austriaca e non il governo dei preti. Cose che lasciano tracce.

Ma non è con il supporto di questi “pareri” che la cazzata di Cantone diventa una cosa seria. La storia degli “anticorpi” oltre ad essere criptica, è sicuramente un po’ stupida, specie se sostenuta da lui, che dovrebbe garantirci dalla corruzione e ha sede, “anticorpo” per eccellenza, proprio a Roma, con la sua baracca anticorruttiva che macina milioni nell’esercizio di un piacevole quanto inconcludente parassitismo anticorruttivo.

Così anche molte mie convinzioni circa l’esistenza in Roma (anche in Roma e forse assai più che altrove) di forniti e cattedre di corruzione passano in seconda linea, di fronte a questa esposizione della solita retorica dei personaggi inutili, di cui oggi Cantone ci dà la prova. Una retorica che è, lo dico e lo ripeto, espressione tipica del vuoto di questa velleitaria e poco chiara Autority (di cui so solo che quanti vi sono addetti macinano milioni tra stipendi e “premi” per non si sa quali successi). Non so neppure se la “metafora siciliana” abbia comportato che all’orecchio di Cantone 3 debbano essere riportate le notazioni dei sospetti di quei tali portieri dei “palazzi del potere” di Roma.

Aggiungo che quanto sopra non significa affatto che la Roma del Sindaco Rubagalline, della sua “badante”, dei provvedimenti di Alfano che ha “inchiodato la mafia sul bagnasciuga” di mussoliniana memoria, non sia una delle più miserevoli espressioni dell’Italia del renzismo. Ma non è questione di mancanza di anticorpi. È questione di presenza di ladroni d’ogni genere, autoctoni ed arrivati qui da tutta Italia. Ed anche da Milano, s’intende.

P.S. - A conferma del fatto che non intendo affatto assumere la difesa d’ufficio della mia Città di adozione (che è poi, piaccia o non piaccia, la Città del sindaco Rubagalline) aggiungo che c’è un brutto precedente che mi induce a scaramantica prudenza. Alla fine del Cinquecento, così credo, un avvocato mio omonimo partecipò ad un “certame oratorio” in Campidoglio in un simulato processo in cui la difesa dell’alma Roma fu assunta, appunto, dal giovane rampante avvocato Mellini (mi pare Pietro) di nobile famiglia (io sono un Mellini irrimediabilmente plebeo) che vinse, manco a dirlo, la causa. Coronato di alloro, volle andar subito a darne notizie alla famiglia, che dimorava in un castello dalle parti di Fregene. Non trovando un destriero, non esitò ad inforcare un asino e, sotto una pioggia della malora, intraprese il periglioso viaggio. Giunto là dove ora c’è il quartiere Portuense, spronò l’asino per attraversare un torrente che vi scorreva. Ma la piena travolse avvocato ed asino. Da allora il torrente fu chiamato “Fosso Affogalasino” in ricordo della vittima innocente (e principale) della sciagura, il povero asino. Ora quel torrente è ricoperto, ed al suo posto c’è una strada intitolata anch’essa non “Affoga l’avvocato” ma Affogalasino. Sono vecchio e tutt’altro che rampante e non andrei mai su un somaro a dar conto ad una famiglia che più non ho dell’esito di una causa. Ma è meglio comunque non ricalcare neppure a parole precedenti così luttuosi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29