Renzi non fa politica  economica di destra

Tutti a sculettare intorno a Renzi ed alla sua ganzissima manovra da 27 o 30 miliardi di euro che comporta l’abolizione delle Tasi sulla prima casa, terreni agricoli e macchinari, il super ammortamento del 140% sugli investimenti in beni strumentali (una mini Legge Tremonti), l’abolizione delle clausole di salvaguardia contratte con l’UE e qualche cosetta su tasse e contributi. Il tutto, tra sgravi e mancati aumenti, dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) portare la pressione fiscale giù di quasi un punto percentuale.

Sul versante delle coperture il grosso è realizzato attraverso la speranza che l’Unione Europea conceda la tanto agognata elasticità di bilancio per poter finanziare qualche mancetta clientelare a colpi di deficit. Residualmente c’è una pallida spending review da 6 miliardi, altri 3 miliardi di non meglio identificati efficientamenti ed il resto delle coperture da derubricare alla sezione “varie ed eventuali”. Bisognerà capire quanto inciderà sulla pressione fiscale complessiva il solito giochetto di ridurre le tasse a livello nazionale scaricando sugli enti locali l’onere della maggiore imposizione, per avere la cifra precisa su dove finisca il tweet e cominci la politica economica renziana vera e propria.

Ma, se sulla Manovra ognuno è libero di pensare che si tratti di una porcheria immonda o di un capolavoro di ingegneria finanziaria, dispiace fino ai limiti dell’incazzatura che qualcuno definisca la politica economica di Renzi “Liberale” o ispirata a quella che comunemente viene definita ricetta economica di Destra. E dispiace ancor di più che anche da Destra qualcuno accetti di buon grado che passi questo messaggio tacendo tra l’imbarazzo e l’ammirazione di fronte ai fuochi pirotecnici del Bomba di Firenze che di destra non è tanto quanto chi sta a destra non sapendo bene cosa significhi. Renzi non fa una politica economica di destra anzitutto perché ciò che promette lo fa in deficit. La Signora Thatcher non ha mai finanziato le proprie ricette economiche (tranne forse gli investimenti in campo militare ed in piena guerra fredda) a colpi di spesa pubblica o di maggiori entrate.

Renzi non fa una politica economica di destra perché inietta keynesianamente contributi e mancette nella speranza che ciò droghi i dati sui consumi applicando una ricetta statalista superata anche a sinistra. Renzi non fa una politica economica di destra perché altrimenti avvierebbe una vasta politica di spending review moralizzando la spesa, avviando un opportuno dimagrimento della macchina pubblica e riducendo l’invasività (soprattutto fiscale) dello Stato. Renzi non fa una politica economica di destra perché altrimenti metterebbe il Cittadino e lo Stato sullo stesso piano e si domanderebbe anzitutto come lo Stato spenda i soldi della collettività prima di chiedersi come i cittadini assolvano agli obblighi nei confronti della comunità. Renzi non fa una politica economica di destra perché altrimenti si adopererebbe per liberare dall’oppressione cittadini ed imprese che donano graziosamente metà del loro reddito alla Patria in cambio di nulla.

Infatti la decontribuzione sul lavoro, che adesso il Premier ha intenzione di ridurre drasticamente, è l’unico provvedimento vagamente liberale che ha infatti sortito i propri effetti. Renzi non fa una politica economica di destra perché si impegna nel sostegno della povertà e non nella creazione di nuova ricchezza. Renzi non fa una politica economica di destra perché altrimenti riformerebbe lo Stato pensando ad una macchina burocratica che si occupi di pochi e circoscritti temi lasciando alla privata iniziativa la facoltà di muoversi liberamente in un sistema improntato alla maggiore concorrenza possibile (senza il sistema cooperativo, senza entrate a gamba tesa dello Stato in economia e con poche regole in un sistema sostanzialmente libero). Qualcuno potrà non volere una società cosi strutturata ma almeno nessuno confonda Statalisti e Liberisti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28