
Ogni tanto, nell’atmosfera carica di pressappochismo e di equivoci vecchi e nuovi di questa nostra Italia dell’Era (toccando ferro: diciamo dei giorni) di Matteo Renzi e del suo partito monocratico, vengono fuori di prepotenza, accanto alle baggianate disinvolte ed alle polemiche inconcludenti, questioni di autentica, fondamentale importanza. Che, in genere, il nostro campione della “democrazia del gradimento” ignora o salta a piedi pari.
La “Legge di stabilità”, cioè il bilancio dello Stato così cialtronescamente oggi denominato (e come dire: la legge di pareggio del bilancio, una denominazione abusivamente ottimistica) presentata al Quirinale prima, ed ora al Parlamento, (meglio questo che la presentazione in anteprima ai sindacati in uso in epoca Dc!) è caratterizzata da un forte taglio dei trasferimenti di fondi alla Regione. Una misura diretta a far confondere nel pasticcio dei rapporti finanziari del balordo sistema regionale il “rosso” del bilancio statale. Sarebbe un’occasione di riflessione per menti pensose (che purtroppo non ci sono) questo ripiegarsi su se stessi in un circolo vizioso del sistema delle autonomie regionali che è andato avanti e si è consolidato proprio nella continua lotta per “ottenere i fondi da Roma”. Una concezione, sarebbe il caso di dire, carnevalesca dell’autonomismo regionale, che è invece, sbandierato proprio dagli oltranzisti di questo preteso autonomismo.
Ora Renzi si avvale del sistema per rifilarci la sua “stabilità” ed anche per poter ritirar fuori la minestra riscaldata dell’abolizione (sì, quasi, ma non tutta, però in gran parte…) delle tasse sulla casa. Il sistema gli consente (o è lui che consente al sistema) di trasferire il deficit sulle Regioni. O, cosa che è anche peggio, trasferire il taglio dei servizi: e comunque la passività. Il sistema non è nuovo. Quintino Sella, che non era un boy-scout né un cattocomunista divenuto di destra (fu lui, ministro del Governo Sella ad imporre di rompere gli indugi ed “andare a Roma” nel settembre del 1870, ma che è più noto come il ministro della “tassa sul macinato”, il balzello 2 sul pane, cibo della povera gente), arrivò all’agognato pareggio del bilancio trasferendo a Comuni e Province spese per servizi indiscutibilmente dello Stato.
Ci siamo portati dietro certe complicate assurdità fino ai giorni nostri: le spese per le caserme dei carabinieri a carico delle Province. Quelle per le sedi e dei bidelli di scuole medie statali a carico di Comuni o Province e così via. Con questo non voglio paragonare Renzi a Quintino Sella, ci mancherebbe altro. Sentir soltanto parlare di quello statista e della possibilità di un accostamento alla sua persona, come niente Renzi, abolendo l’Imu, ci rifilerebbe la tassa sul macinato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:23