
Colgo l'occasione dell'apertura del Salone dello Studente che si tiene in questi giorni, dal 28 al 30 ottobre, e successivamente del congresso del Forum dei Giovani, che si terrà verso la metà di Novembre, occasioni foriere di dibattiti ed in cui si parlerà anche di giovani e detenzione, per stimolare una riflessione, alla luce di alcuni preoccupanti dati che sono stati evidenziati nel corso dell'ultimo mese e che mostrano lampanti criticità attraverso cui si sviluppa, durante il loro percorso di crescita nelle scuole, la loro opinione sulla pena di morte e la loro visione dei diritti fondamentali e civili. In questi mesi di grande dibattito sull'abolizione della pena capitale, grazie ai discorsi di Papa Francesco, alla storica prima visita di un Presidente Usa in un penitenziario, ed all'intensificarsi del cammino per l'affermazione della nuova Moratoria Onu del 2016, è stato effettuato un sondaggio, promosso dal sito Skuola.net, per la Giornata mondiale contro la pena di morte, che riprende il sentiment degli studenti italiani sull'argomento e che merita una riflessione più approfondita. L'accettazione della morte come pena da infliggere, infatti, sembra essersi sedimentata come opinione comune tra i nostri studenti ponendoci dinanzi ad alcuni punti interrogativi su cui urge dare risposta. C'è da chiedersi come mai una percentuale tanto alta di studenti, circa il 50 per cento, risulti vicina ad assumere un'opinione favorevole alla pena di morte. C'è da chiedersi quali rischi si celano dietro l'evidente assenza di dibattito sui diritti che dovrebbe essere generato dalla discussione sul tema.
C'è da chiedersi quali siano le conseguenze per un paese che si sviluppa nella convinzione che tale pena sia giusta. Il 64,18% del campione intervistato non ha mai parlato di pena di morte con i propri insegnanti, l'83,49% chiede di parlarne. Cifre che dimostrano, la quasi totale assenza di dibattito e la superficialità con cui la tematica è trattata. Che si tratti di un argomento spinoso non c'è ombra di dubbio; ma: esistono scuse a cui appellarsi quando se ne scavalca la trattazione? Nemmeno il fatto che tale pena in Italia non c'è per Costituzione. Intavolare una discussione sulla pena di morte, come anche su quelle pene che, come l'ergastolo, tanto più se aggravato dall’esclusione da qualsiasi beneficio penitenziario (ergastolo ostativo) e dal regime di detenzione del 41 Bis, rappresentano una reale morte civile e sociale per il detenuto, equivale a sviscerare sino alla radice quei valori primari che chiamiamo Diritti e che permettono al giovane di crescere sviluppando principi di civiltà: fondamentali per la comprensione del senso di cittadinanza e del significato di Democrazia. La portata, in termini d'importanza, dell'abolizione di queste sanzioni, infatti, è tale da permetterci di affermare con certezza, e per diritto, il superamento della legge del più forte sul più debole in favore di un significato più alto di Giustizia che contiene in se anche il principio del diritto alla riabilitazione.
È bene ricordare che, diversamente dai sistemi monarchici e dittatoriali in cui il Re, ancora oggi, si fa Stato dimostrando tramite l'esemplarità della pena il suo potere sui sudditi (vedi Arabia Saudita ed Iran), nei regimi democratici in cui vige la pena di morte l'individuo demanda allo Stato, suo sostituto, un omicidio istituzionalizzandolo per legge e tramite sentenze. Eppure l'esistenza stessa della società accade per limitare le pulsioni umane più violente, come la vendetta, sostituendo ad esse il senso di una Giustizia che, per quanto possa talvolta risultare sorda ai richiami della misericordia, non può essere cieca dinanzi alle evidenze come alla possibilità dell'errore. È ciò che avviene in questi giorni in USA e che ci è chiaro osservandone gli eventi: l'esecuzione di Kelly Renee Gissendaner, la sospensione dell'esecuzione di Richard Glossip e la Moratoria sulla pena di morte in Ohio derivante dalla discussione sul reperimento e l'utilizzo di farmaci sbagliati per l'iniezione letale. È compito civico dell'educatore promuovere la discussione su di un paradigma fatto di violenza, orgoglio e sottomissione che non può fare altro che allontanarli dalla, pur faticosa, ricerca di maggiore armonia nella convivenza civile. Loro stessi dimostrano già l'assuefazione alla morte tipica degli anziani e la percezione dell'assenza delle istituzioni a tal punto da considerare un omicidio per mafia (3% di risposte alla domanda “Per quale tra questi reati applicheresti la pena di morte?”), che intacca il tessuto democratico del nostro paese ogni volta che accade, di una normalità tale da risultare meno importante di un omicidio comune (5%). Nonostante ciò i nostri studenti, che, come me, non conoscono il dolore della tortura per mano dello Stato e della condanna ad vitam, condannerebbero, anche con morte civile e sociale, proprio quei reati, il pluriomicidio (29%), l'omicidio per scopi terroristici (15%) e l'infanticidio (12%), che intaccano, con la paura e la negazione dello sviluppo per le generazioni future, la crescita della società e l'autodeterminazione dei suoi individui, a dimostrazione di intelligenza contro un nemico sociale che, il più delle volte, sappiamo assumere i connotati del pericolo fantasma più che del pericolo reale.
Per l'Italia, però, è necessario che si sviluppi in essi, oltre a questa capacità, anche il senso di superiorità civile necessario per affermare e poi tutelare quei diritti fondamentali e civili che permettono di scardinare meccanismi di prevaricazione e che permettono al Paese di reggersi come Stato Democratico per Diritto come da Costituzione. Nessuno tocchi Caino è, quindi, oltre che una questione morale, un imperativo, non uccidere, perchè non riguarda esclusivamente i convincimenti di natura individuale o religiosa ma la giustezza dell'atto sociale. È necessario, per questo, ristabilire il giusto dibattito pubblico, e non solo durante le ore di lezione, sull'esigenza dell'affermazione civile dei diritti perchè possano divenire spina dorsale, radice, della cultura e dell'educazione del nostro paese. Non si dimentichi che oggi l'Italia si candida ad affermare un ruolo di leadership per la conduzione della battaglia in favore della nuova Moratoria ONU 2016 contro la pena di morte ed a far parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È necessario dimostrare di possedere la consapevolezza necessaria per guidare questo processo. Ed essa si forma tenendo presente che la leadership politica assume più forza se supportata da una coscienza civica che sostiene un senso di cittadinanza con rinnovato e maggiore impegno individuale e collettivo; tenendo presente che, come l'affermazione di un diritto vive nell'istante in cui accade, la sua tutela vive proiettata al futuro già dall'istante successivo ed è compito, come sempre, tanto delle generazioni presenti quanto di quelle future.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30