Class action contro il cattocomunismo

Certo che parlare di fiscalità, debito pubblico, deficit di bilancio e soprattutto Legge di Stabilità, quando solo nelle ultime giornate a ripetizione sono stati arrestati o indagati personaggi che ricoprono o hanno ricoperto posizioni super apicali nell’apparato statale, viene a dir poco un conato gastrico. Ancora di più se andando a spulciare i ruoli specifici di alcuni di questi signori ci si accorge della beffa ché proprio i loro incarichi avrebbero dovuto essere una garanzia a tutela di tutti, magistratura compresa. Altro che lotta all’evasione nei confronti dei poveri cristi che per sopravvivere devono scegliere se pagare tasse o stipendi, bollette o imposte, addizionali o spese di casa.

La vera ragione per cui il Paese cola a picco è soprattutto questa, una classe dirigente che per decenni ha fatto e ancora fa imbrogli, ruberie, malaffare, tutto sulla testa degli italiani e dei loro sacrifici, insomma il marcio non muore mai. La si smetta poi di prenderci in giro con la scusa che la responsabilità penale è personale, certo che sì, conosciamo le leggi, ma da sempre e parliamo di lustri, quelli che sono andati a ricoprire alcune posizioni l’hanno potuto fare per volontà di alcuni partiti o dei leader di partito. Per questo c’è una responsabilità politica che, se possibile, è ancora maggiore in termini civili, sociali e morali di quella personale. Che poi l’immortale ipocrisia dei politicanti quasi sempre abbia scaricato tutto addosso ai singoli peccatori, è un’altra vergogna del nostro Paese, da noi chi sbaglia in conto terzi viene immancabilmente lasciato solo. La realtà è che, da tempo immemore, la classe dirigente ha scambiato l’Italia per un immenso “monopoli” con cui operare per affarismo, per interesse personale, elettorale oppure dello sponsor di riferimento da ricompensare. Per questo sono stati creati carrozzoni di Stato ad hoc, per questo lo Stato si è infilato ovunque, per questo sono state fatte nomine e candidature.

Si è pensato per decenni a permeare la struttura di comando al solo fine politico del controllo dei flussi di investimento, delle assunzioni, dei favori da fare a questo o quello, della capacità di ottenere ritorni in senso elettorale e in modo viziato. Insomma, tutto si è pensato fuorché agli interessi collettivi e del sistema paese, della giustizia sociale e civile, della crescita e dello sviluppo, della sostenibilità dei conti, del rispetto della cosa pubblica. Uno sfascio indegno che, come abbiamo visto e vediamo, è diventato così pervasivo da interessare tutta la filiera di comando, dai capi fino a giungere ai più semplici funzionari o impiegati di questo o quell’ente, azienda o organismo pubblico o municipalizzato che sia. Del resto se così non fosse non saremmo quotidianamente bombardati da notizie di blitz giudiziari a tutti i livelli, da Nord a Sud, uno schifo spalmato ovunque. Al netto di questa squallida caratteristica antica, che da sempre si accompagna con l’ipocrisia, la disonestà, l’inaffidabilità, la demagogia, di quale svolta dell’Italia vogliamo parlare? Di quale inversione di marcia? Di quale sensazionale novità?

Nessuna, infatti, a leggere e studiare bene atti e provvedimenti, finanziaria compresa, non c’è alcuna svolta da festeggiare, anzi, c’è da segnalare le solite promesse rimangiate e smentite, le solite sparate rivedute e corrette, la solita mancanza di sincerità accompagnata dall’utilizzo di partite di giro e di ulteriore debito. Servirebbe una Class Action di tutti gli italiani contro la politica, la classe dirigente, contro chi comanda, servirebbe un’azione plenaria e referendaria contro i signori del potere per chiedere i rimborsi morali, civili ed economici di quanto è stato sottratto in decenni di sprechi, scandali e privilegi distribuiti ad hoc, da una politica che fra DC e PCI in un modo o nell’altro si è sempre spartita tutto quello che c’era da spartire. Bene, quest’opportunità per tutti arriverà al momento del voto e non bisognerà sprecarla per nessuna ragione. L’Italia è cresciuta storta, da noi non c’è mai stato né il laburismo blairiano né il conservatorismo thatcheriano, ne si è mai fatta sviluppare un’opzione einaudiana, liberale, democratica e laica.

Da noi dall’inizio della Repubblica, l’ipocrisia cattocomunista è stata padrona del campo con le conseguenze che vediamo. Da noi questa specie di gramigna ha poi assunto toni diversi nel corso dei tempi e ha saputo camaleonticamente spostarsi tra centro e sinistra a seconda dei risultati elettorali e del vento che tirava, ma solo e sempre allo scopo di mantenere i gangli del potere. Ha diabolicamente blandito, condizionato e circondato anche quei premier che in alcune fasi cercarono di spezzarla, Craxi prima e Berlusconi poi, anche se per dirla tutta quei tentativi fallirono e furono viziati da una moltitudine di errori imperdonabili degli stessi primi ministri. Va da se, infatti, che specialmente il Cavaliere con la forza elettorale e carismatica di cui disponeva, se avesse davvero voluto sradicarla ci sarebbe riuscito e forse in quel caso le sue vicende personali sarebbero andate diversamente, ma anche lui alla fine si è colpevolmente arreso al “virus” cattocomunista. Ma soprattutto ed è quello che più ci preme, sarebbe andata diversamente l’Italia si sarebbe così formata una nuova classe dirigente dentro un modello liberale e una moderna cultura di progresso laico, repubblicano e democratico che avrebbe estirpato, statalismo, assistenzialismo, socialismo reale e falsità ideologica.

La meritocrazia avrebbe prevalso sulle baronie e il Paese avrebbe potuto liberarsi delle mille zavorre improduttive, inutili, clientelari, insomma un nuovo progetto culturale avrebbe soffocato così quello vecchio. Perché, sia chiaro, il cattocomunismo partendo dall’ipocrisia è stato ed è un vero progetto culturale, ideale politico, di governo, di gestione del paese, un progetto così forte da arrivare ai giorni nostri più vivo e vegeto che mai. Del resto l’attuale maggioranza parlamentate e la classe dirigente che conta ne sono la plastica testimonianza, a partire dalle modifiche costituzionali proposte e da quello che sta accadendo sulla riforma della RAI, tutta rivolta alla spartizione ed alla concentrazione del potere politico anziché al miglioramento del pluralismo e dell’offerta culturale della Tv pubblica.

Per questo non se ne esce, per questo siamo ridotti così, per questo l’Italia arranca obbligando la parte che produce a mantenere sprechi, ruberie, privilegi, a suon di tasse, persecuzioni fiscali e saccheggi ideologici e patrimoniali così forti da sfiorare l’esproprio. O si cambia modello oppure mettiamocelo in testa saremo sempre sudditi, limoni da spremere, soldatini da comandare, in cambio di un Paese, che, oggi e purtroppo domani, offre ed offrirà poco o niente se non la sottile imposizione di una archetipo costituzionale che spaccia per libertà democratica il plagio cattocomunista.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24