Ci risiamo: Silvio (ri)scende in campo

La notizia è di quelle sconvolgenti e soprattutto nuove di zecca: Berlusconi scende per l’ennesima volta in campo. Di solito Silvio lo fa ogni domenica e l’annuncio generalmente arriva via telefono in collegamento con qualche kermesse forzista in giro per l’Italia. Ormai l’uditorio si finge stupito perché non gli costa niente apparire sorpreso mentre i cosiddetti giornali d’area amplificano la cosa per colmare il vuoto di novità provenienti dal centrodestra vincendo il rigor mortis politico con qualcosa che dia una parvenza di vitalità.

Dopo “l’annuncio bomba” solitamente il collegamento telefonico è tutto uno snocciolare i soliti cavalli di battaglia: dopo i buoni propositi sul futuro ricco di consensi che attendono i moderati grazie alla sua riririridiscesa in campo, si parte con la ricostruzione del golpe del 2011 ad opera dei congiurati quirinalizi ed internazionali che hanno impalcato ben tre governi non eletti dal popolo. Piacerebbe chiedere a Berlusconi come mai in quell’occasione ebbe a farsi da parte con cristiana rassegnazione e senza colpo ferire favorendo la rielezione di Napolitano, salutato come Padre della Patria, ed appoggiando addirittura prima Monti e dopo Letta con quello che gli statisti chiamano senso di responsabilità. Solo a scoppio ritardato gridò all’usurpazione del verdetto elettorale ed alla cospirazione ad opera delle potenze straniere e di frange domestiche infedeli agli interessi della Nazione.

Noi, in verità, siamo portati ad avallare una simile teoria ma - a meno che non vi siano state indebite pressioni, promesse o qualcosa di inconfessabile - molto non torna nell’atteggiamento di un disarcionato che inizia a lamentarsi a due anni di distanza. Poi la scaletta berlusconiana di solito prevede il momento “renzi-fobico” con la descrizione di una emergenza democratica sulla scorta della quale un unico soggetto (il Presidente del Consiglio) impone legge elettorale e riforme costituzionali costruite ad arte al fine di creare le condizioni per una dittatura di stampo sudamericano. Peccato che su quelle riforme Silvio si sia impegnato con il Patto del Nazareno onde poi cambiare idea in corso d’opera in segno di ripicca verso la scelta renziana di eleggere Mattarella al Quirinale senza consultarlo. Adesso gridare alla deriva autoritaria è veramente troppo e mina la credibilità di un’area politica - quella di centrodestra - ormai gravemente compromessa.

Il tutto termina con il solito pistolotto sulla giustizia politicizzata che, per carità, ci trova perfettamente allineati con le tesi forziste. Il recente proscioglimento di Erri De Luca dimostra chiaramente che c’è chi può incitare a sabotare la Tav mentre c’è chi (come Francesco Storace) viene condannato per aver solo accostato il termine “indegno” alla persona di Napolitano. Viviamo in un Paese nel quale ci sono alcuni giornali zeppi di trascrizioni di intercettazioni mentre, se certi altri quotidiani riportano il famosissimo dialogo in cui quel tale dice a quell’altro “abbiamo una banca!”, rischiano di incappare in guai serissimi.

Tutto vero ma come mai non si è posto argine a questo stato di cose durante gli anni di Governo? Mistero non liquidabile con un semplicistico “non ci hanno fatto lavorare”. Allora adesso basta ad abusare della riconoscenza che il popolo del centrodestra nutre verso un gigante della politica che andrebbe santificato per il sol fatto di aver purgato per oltre venti anni la sinistra alle elezioni. Gli siamo tutti grati per ciò che ha fatto in politica estera, per averci indicato la strada (il programma del 1994) e per aver fatto squadra praticamente da solo per tantissimi anni. Adesso però il centrodestra è praticamente  sparito dalle carte geografiche ed il ballottaggio tra il Pd ed il movimento Cinquestelle è praticamente nella natura delle cose per Ko tecnico del fu Pdl. E non bastano gli annunci, le amazzoni, i cooptati, i casting, le minestre riscaldate ed i tormentoni domenicali. Urge fare sul serio. Astenersi perditempo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30