
Corpi di bambini esplosi, donne e uomini trucidati dall’azione di terroristi, rapine con morti per pochi euro, carcere per quei pochi che si difendono, corruzione negli appalti, sottrazione illecita del denaro dei contribuenti, truffe nelle negoziazioni e nei mercati, banche sotto inchieste giudiziarie, risorse pubbliche utilizzate per cene con gli amici, acquisto di abbigliamenti intimi con i soldi pubblici per attività politica, feste e vacanze con la famiglia o con conoscenti particolari, scontrini falsi e dichiarazioni mendaci. Inviti alla ricerca del bene comune, alla Stato di diritto, alla legalità.
Appelli altisonanti alla discontinuità, al nuovo rigore, alla difesa degli ultimi. Esempi di azioni eroiche di anonimi cittadini che sono l’orgoglio del Paese. Ogni 60 secondi muore un bambino per la malaria, altri per fame e per sete. Le guerre dilagano in molti luoghi della Terra. Si contano centinaia di migliaia di morti, ogni giorno si aprono nuovi fronti di lotta armata. Ma le morti non sono tutte uguali e la mano dell’assassino può trovare una colpevole impunità da parte di chi avrebbe potuto evitare. Le morti per femminicidio non fanno più notizia, l’imperativo dell’informazione poggia sul criterio della novità del messaggio, della attualità del tema, della selezione dell’evento. Ma la lunga striscia di sangue delle donne sul fronte dell’odio segnala un aspetto sottaciuto dal mondo dell’informazione, forse per un celato timore nei confronti dei magistrati.
Il macrabo rituale dell’odio dell’ex, la tortura dettata dal pressappoco di esperti e consulenti, il defilè cimiteriale di procedimenti, procedure, imprecisate competenze, fantasiose interpretazioni delle norme sul principio che la legge è uguale per tutti è un dejà vu tanto ricorrente da non destare più interesse se non fosse che quotidianamente le cronache giudiziarie lanciano nel web il bollettino di guerra dei cruenti decessi per femminicidio e dal mondo terracqueo giungono a getto continuo le notizie delle efferate torture del popolo delle donne di ogni etnia e Paese, che nonostante il copioso elenco di leggi e raccomandazioni internazionali continuano a versare sangue innocente sul fronte dell’uguaglianza e del diritto a vivere. La responsabilità da parte di alcuni magistrati – pubblici ministeri- sono inescusabili ed ingiustificabili. Non solo sono responsabili per insipienza e inqualificabile sottovalutazione delle denunce-querele presentate dalle vittime del femminicidio, ma concorrono con la loro inettitudine, le loro imperdonabili negligenze alla continuità ed alla moltiplicazione dei decessi di ex mogli, ex fidanzate, ex compagne ed anche madri di minori, che cadono sotto i colpi dell’odio, della efferata ferocia di uomini probi, di bravi ragazzi, educati e riservati, che covano la vendetta per aver perso il dominio sulla loro proprietà, il possesso di colei un tempo sottomessa al volere del padrone.
Ed allora se gli omicidi non hanno la valenza della guerra, del conflitto tra etnie, tra fedeli di altre religioni, non sono causati da atti di terrorismo, non vengono decisi dall’impeto del delinquente abituale, dal malavitoso, dalla azione di colui che deliberatamente viola le norme penali, sapendo di compiere un reato per prezzo, prodotto, o profitto, la responsabilità del magistrato inquirente, sollecitato da denunce, querele, esposti, informative delle forze dell’ordine sulla pericolosità dello stalker, dell’oppressore, del violento molestatore, dell’irriducibile maltrattatore dovrebbero invitare ad assumere una punizione esemplare o il licenziamento verso il magistrato che ha disatteso il suo dovere. Anche perché le norme per intervenire, prevenire sono imperative e nette e consentono al magistrato inquirente competente del caso di assumere provvedimenti cautelari e non soltanto aprire un fascicolo e dimenticarlo nel cassetto.
L’agire sicuramente avrebbe un effetto deterrente, anche se limitato, ma un decesso in più o in memo non è piccola cosa. Quei, forse pochi, sultani che amministrano la giustizia in Italia sembra godano di preventiva amnistia, le loro insufficienze, le loro inosservanze di norme e la loro inettitudine ad un lavoro così delicato ed importante sembra godere di condoni precostituiti, in quanto garantiti 1 da impunità per il ruolo e la funzione. Le vittime gridano la loro rabbia mortifera, i parenti piangono il loro disprezzo e la loro disaffezione verso quei servitori dello Stato che non compiono il loro dovere. Segue le reiterata litania dei benpensanti: non deve più accadere, deve servire da monito per evitare altre violente esecuzioni, la comunità deve reagire, le istituzioni sono più forti. E non si tratta di spiacevoli errori, di difficoltà burocratico- procedurali, dovute alla complessità ed al volume dei fascicoli in carico al singolo magistrato inquirente, agli ostacoli di norme contraddittorie. Le disposizioni sono puntuali ed il magistrato ha l’obbligo di concludere le indagini in un tempo breve, esiste una corsia preferenziale di indagine in favore delle donne maltrattate e le misure cautelari sono previste e sono efficaci. Si tratta di omicidi bianchi dovuti a superficialità, inettitudine, imperdonabile leggerezza.
Qualche illustre commentatore potrebbe sostenere che viene delegittimata la magistratura, contribuendo ad alimentare lo stupidario nazionale. La responsabilità è personale, riguarda il singolo non travolge né la categoria di appartenenza né tanto meno l’istituzione preposta. L’uomo (le donne e gli uomini) tenta di superare le vicende del quotidiano, cercando di comprendere il misterioso disegno del deus abscunditus, quella legge che stabilisce il bene e il male e il destino stesso, alla quale legge è impossibile accedere, ma alla quale l’uomo aspira fidando nella benevolenza di Dio, nella Sua Grazia. L’alienazione dell’uomo persiste anche nelle relazioni sociali e familiari e quando capita di incontrarsi con la Giustizia trova il magistrato, un funzionario inavvicinabile, un dio al di là del tramonto.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:25