Girasole e Provenzano, giustizia miope e presbite

Immaginate che un giorno siate accusati di aver avuto voti procurati da una cosca della ’ndràngheta, un sostegno dato perché poi voi ricambiate con ritorni economici sotto forma di licenze accomodate e di favore; immaginate che vi arrestino e che tutti i giornali vi dedichino articoli e titoli, perché voi vi siete battuti contro la mafia, e con la mafia risultate collusi. Immaginate che tutto questo vi capiti due anni fa; e immaginate che trascorsi i due anni vi dicano che tutto quello di cui eravate accusati non esiste: il fatto non sussiste. Accusa infondata, accusato innocente. Tutto questo capita a Carolina Girasole, ex sindaco di Isola di Capo Rizzuto. Viene fuori che le intercettazioni sono inattendibili, lacunose, parziali. Viene fuori, come abbiamo detto, che “il fatto non sussiste”. Non sussiste il fatto, ma l’arresto e tutto il resto sussiste, eccome...

Soprattutto quello che sussiste è che per accertare se un’amministratrice impegnata contro la mafia calabrese da quella stessa mafia è sostenuta o meno sono dovuti trascorrere due anni. Irragionevole durata dei processi, ma irragionevole durata anche delle indagini. Ed è questo il punto, la carne del problema. I due anni attesi sulla graticola.

Altra storia riguarda Bernardo Provenzano. Feroce boss di Cosa Nostra, autore e mandante di feroci delitti, sul suo conto si può dire tutto, e quel tutto è ancora poco. Anche se da tempo Provenzano è una sorta di vegetale, incapace di intendere e di volere, si trova ristretto al regime del 41 bis. Che le sue condizioni siano “gravi” non lo dicono i suoi parenti, i suoi avvocati, ma gli stessi magistrati; che hanno da tempo rinunciato a chiamarlo in aula, sapendo bene in che condizioni psicofisiche si trova. Che le condizioni di Provenzano siano “gravi” lo dice la stessa Corte di Cassazione; che recentemente si è occupato di lui, e ne è venuta fuori una sentenza a dir poco curiosa: il boss sta davvero male, ma per il suo bene è bene che resti ristretto in quel regime che è causa del suo male. Cercate di seguirci: se lasciasse il ricovero in regime di 41 bis, presso l’ospedale San Paolo di Milano in camera di sicurezza, per andare in un reparto ospedaliero comune, sarebbe a “rischio sopravvivenza”, per la “promiscuità” e le cure meno dedicate.

La Cassazione riconosce che le patologie di cui soffre Provenzano sono “plurime e gravi di tipo invalidante”; la Cassazione poi fa cenno al grave decadimento cognitivo, a problemi dei movimenti involontari, all’ipertensione arteriosa, ad una infezione cronica del fegato, oltre alle conseguenze degli interventi subiti per lo svuotamento di un ematoma da trauma cranico, per l’asportazione della tiroide e per il tumore alla prostata. Per questo motivo i familiari di Provenzano chiedono che il boss, che giace sempre “allettato”, sia spostato ai domiciliari in un reparto di lungodegenza del San Paolo, dove c’è un settore per curare i detenuti “ordinari”. La Suprema Corte trova che Provenzano “risponde alle terapie”, il che significa che il “peculiare regime” detentivo è compatibile “con le pur gravi condizioni di salute accertate”; e conclude sostenendo che il regime del 41 bis per Provenzano non appare più motivata in considerazione della sua pericolosità, né del rischio che possa mandare “messaggi” all’esterno; è piuttosto una modalità necessaria per curarlo meglio.

Nessuno ha trovato nulla da ridire, anzi, no: due sì: Rita Bernardini e Marco Pannella. E anche questo è pur di qualche significato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37