
I due primi discorsi di Papa Francesco in terra americana (quelli, cioè, che ho potuto ascoltare fino ad oggi ma che credo abbiano già sufficientemente espresso il senso del suo viaggio oltreatlantico) sono stati carichi di significati inequivocabilmente politici. Non si fraintenda: Papa Francesco non ha – credo si possa dire – infranto i dogmi, o le ragioni della separazione tra sfera religiosa e sfera politica. I due discorsi sono pienamente incentrati sul piano e nei confini di una rigida sensibilità religiosa, cattolica ma anche aperta verso la Bibbia dei protestanti e di Mosè, archetipo di un ebraismo dalle radici profonde. Neppure è possibile rilevare, nelle parole pronunciate nelle due singolari occasioni - parlare alla Casa Bianca e al Congresso Usa! - alcuna deriva “progressista”: sui temi dell’aborto come della famiglia, pur non cedendo alla tentazione di una (attesa?) condanna, Francesco si è tenuto ben dentro i limiti di una interpretazione rigida dell’insegnamento tradizionale della Chiesa. In troppi sono caduti nell’illusione che un Papa romano possa deflettere dalla difesa del dogma o dell’insegnamento ex-cathedra dei suoi predecessori o dei suoi teologi. Costoro resteranno delusi, e finiranno col rifugiarsi anche loro nella comoda, ma acida lettura - offerta anche da autorevoli testate giornalistiche internazionali - che presenta Francesco come “un papa per tutte le stagioni”, una figura capace di offrire un volto diverso a seconda dell’interlocutore. Costoro (ma non solo loro) dimenticano che Francesco è un gesuita, vale a dire un “lòico” raffinato e duttile nel presentare all’interlocutore il proprio inattaccabile e inamovibile pensiero nella maniera più accattivante e dialogica possibile.
E tuttavia, attraverso la rigidità delle posizioni di fondo, i due interventi di Francesco offrono aperture di incredibile spessore. Ci dicono - soprattutto - che Francesco ha una nozione adeguata e lucida dei tempi e dei problemi di fondo della nostra epoca. Francesco dice con maggiore forza e autorevolezza quanto altri hanno pur intuito senza avere le sue stesse possibilità di intervento e sollecitazione: il mondo sta attraversando un momento di spessore “epocale”. Per motivi che forse non sono ancora ben conosciuti e quindi non sono pienamente apprezzabili e valutabili, milioni di persone si sono messi in movimento, caoticamente e disperatamente, staccandosi dalle loro terre per cercare paesi nuovi e più solidi dove costruire la loro vita. Per questo obiettivo sono disposte ad affrontare ogni rischio, fino alla morte. Tentare di frenare, ritardare, bloccare questo esodo di massa, questa apocalittica migrazione, credo sia impossibile. I piccoli escamotage escogitati dalle cancellerie europee per porre argini sono non dico insufficienti, ma del tutto ridicoli. Nell’Ottocento americano, nelle pianure dell’ovest, gli allevatori di bestiame conoscevano bene come fosse impossibile fermare la carica delle mandrie impazzite, lo “stampede” di cui abbiamo molte volte visto la rappresentazione in tanti film. In quelle stesse terre, la carica delle mandrie di migliaia di bisonti impauriti era un fenomeno ben noto e terrorizzante. Quelle cariche, o stampede, travolgevano al loro passaggio tutto e tutti, uomini e cose. I fenomeni migratori cui stiamo assistendo hanno la stessa portata. Si potrà (e si dovrà) regolarli, ma non penso che li si potrà eliminare, frenare o bloccare. Negli ambienti autorevoli della Difesa americana si è convinti che queste migrazioni dureranno almeno un altro lustro, o pressappòco.
Papa Francesco tutto questo lo ha capito. E ha fatto capire anche, con grande chiarezza - soprattutto in questi interventi americani - che egli intende porsi alla testa del fenomeno, per cercare di organizzarlo, farlo diventare il meno traumatico, il più umano possibile. Bergoglio è argentino. Viene cioè da un (sub)continente che ha sempre subìto, piaccia o no, l’egemonia del quasi (sub)continente americano anglofono, accreditato di maggiori capacità, gli Stati Uniti. Il (sub)continente latinoamericano sta scuotendosi dal giogo di una supremazia maltollerata. Anche questi sudamericani entrano nel quadro dei “migranti” provenienti dal Medio Oriente, dall’asia del sud o dall’Africa. È il Sud del mondo che chiede, con prepotenza e attraverso varie strade, di dire la sua sulle sorti del mondo. Fino ad oggi, il capitalismo è stato la “cultura” soprattutto del Nord del mondo. Ha dettato le sue leggi al mondo intero, la globalizzazione è sua figlia diretta, lo dicono i suoi fautori come gli avversari. Può darsi che le sue leggi economiche siano corrette. Ma il Sud del mondo chiede di poter partecipare alla loro stesura con la sua voce, la voce delle esigenze dei suoi popoli. Gli “emergenti” hanno fretta, chiedono una diversa spartizione dei beni comuni, una diversa logica della crescita economica. Per molti di quei popoli l’attesa è finita, e i migliori di loro, i più adatti alla lotta per la sopravvivenza, si sono messi comunque in marcia, per andare a soddisfare le loro esigenze nei luoghi dove questo sembra più possibile.
Francesco vuole essere il paladino di questo rovesciamento di prospettive. Ed è andato ad annunciare tale sua intenzione, arrivando a Washington per la via di Cuba. Sono gesti pieni di significato. Probabilmente sono stati già decifrati. Vedremo come reagiranno i diversi soggetti di questa vicenda, che di soggetti ne ha davvero molti.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29