
La felice espressione del nostro direttore a proposito del bagaglio riformistico renziano appellato, sic et simpliciter, “riforme accroccate” suggerisce qualche paio di aggiunte, forse perché la generosità del giornale si è trattenuta dalla aggiunta di sovraccarico sul già citato bagaglio. Sì, perché se per accroccati intendiamo proprio quegli aggettivi riassumibili in squilibrati, confusi, contraddittori, scombiccherrati, soccorrono a tal proposito le riflessioni, sempre sul numero di ieri, a proposito delle mancette elettorali e delle occasioni mancate nel ddl del processo penale.
Aggiungeremmo, e qui affaccio un’ulteriore nota a proposito di quel bagaglio riformistico, le precipue responsabilità - oltre a quelle del Premier che tuttavia può dire, come fa sempre, che lui è uno che fa cose e gli altri solo chiacchiere - non dell’opposizione politica che fa il suo mestiere,ma di quella che viene chiamata “minoranza del Pd”. Non solo o non soltanto perché ha contribuito alla ulteriore crescita dell’accrocco, che di per sé è uno sbaglio da chi esercita il ruolo di opposizione interna,ma perché ha compiuto un’esercitazione che definire a vuoto è un eufemismo.
In realtà la minoranza composta di nomi illustri, a cominciare da Pier Luigi Bersani, ha creato nell’opinione pubblica un senso di incomprensione,di smarrimento e infine di pressoché totale disinteresse. Di noia,di insopportabile girare a vuoto con, in più e in peggio, il sospetto che quel giochino fosse una sorta di cover up per mascherare una trattativa al rialzo tutta interna, senza un serio apporto al miglioramento della riforma senatoriale della ministra Maria Elena Boschi. Tanto era inane, vorrei dire risibile, la tesi dell’elettività di un Senato che lo scorso anno un Matteo, sempre lo stesso, con le mani in tasca aveva licenziato sui due piedi con l’annuncio, peraltro approvato, di una seconda Camera originata dalle istituzioni territoriali e non quindi non eletta dal popolo, da rendere ancora più stucchevole l’alzata di scudi dell’opposizione interna partita con la lancia in resta e finita con le pive nel sacco. E magari senza neppure qualche vantaggio nascosto dal cover up...
Certamente, nessun vantaggio per la riforma in sé e, altrettanto certamente, nessun contributo a rendere omaggio ad una diversa politica, ad uno stile nuovo, ad una svolta che dia il segnale di una classe dirigente all’altezza della situazione emergenziale in cui viviamo. Al contrario, la politica è di nuovo sull’orlo del suo rovescio, l’antipolitica, il populismo becero, consolandosi con la sconclusionata, ripetitiva, quotidiana, ossessiva kermesse televisiva a base di urla e insulti che il vero dominus di tutti noi, il sacro telecomando, ha condannato al massimo della pena: a rivedere per la centesima volta “Rambo”. E mi dicono che sia già pronto “Terminator”, un fortunato serial che la dice lunga, nomen omen, su quello che ci aspetta. Colpa della gente? Colpa della tivù? Colpa della politica. Ma, soprattutto, di chi si ammanta del termine aulico e giustificativo di opposizione interna. Combattiva. Pugnace. Appunto, dalla pugna alle pugnette.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30