
Lo so, è vagamente stucchevole il commento sul ritorno di “Rambo” (numero 2, che è pure bruttino) che batte e ribatte i talk-show. E so, sappiamo anche che le proteste di politici bene identificati di qua e di là sono ripetitive e simmetriche. Non solo o non tanto per la geometrica potenza del mito cinematografico che Sylvester Stallone ha mutuato dal clima reaganiano, ma soprattutto perché la pretesa che un governo, qualsiasi governo intendiamoci, debba lamentarsi di una tivù (praticamente tutta) che rappresenta un Paese sempre in crisi e in lacrime, è sbagliata e innanzitutto inutile e controproducente. Parliamo di potere esecutivo (Governo) e non di parlamentari i quali hanno ovviamente tutti i diritti di criticare lagne e magagne televisive, pubbliche e private. Se la politica è in crisi, non sempre è in crisi il Paese e viceversa.
Ma la televisione non è mai in crisi: la tivù esiste. È la tv, bellezza! Come finiva quello stracitato film a proposito di un potentone smascherato da un’inchiesta giornalistica. Ma tant’è. Forse sarebbe più interessante riflettere sul fenomeno di questo “Rambo redux” che s’impone all’audience, al di là delle intrinseche qualità estetiche. E forse, dico forse, avremmo a che fare con quel quid che si chiama nostalgia, chè il Rambo di Stallone s’ispira alla politica reaganiana che era o appariva vincente. Dentro e soprattutto fuori dagli Usa, benché reduci dalla sconfitta del Vietnam.
L’immagine veicolata dal film, di una superpotenza trionfante con un presidente mediaticamente eccezionale, non può non riaffacciarsi nel ricordo dello spettatore di oggi, sia per la diversa rappresentazione che gli Usa offrono di sé, sia per l’accentuarsi negli anni della memoria di una leadership storica che ha influenzato l’intera politica mondiale. È la nostalgia, bellezza! Tanto più che la presidenza di Reagan ha imposto la prevalenza, ormai pressoché indiscussa del modello di leader rispetto a quello partitico. Ma, come ci capita, siamo ai cosiddetti approfondimenti che non attendono alla logica/filosofia del talk-show. Ai quali, semmai, sarebbe più utile dedicare qualche spazio ad un minimo di ragionamento sul tema dei sondaggi.
Piuttosto che un tema, un problema, almeno per quanto riguarda certe modalità che meritano qualche attenzione. In uno di questi ultimi, su La7 ma non solo, i dati indicavano la prevalenza di Matteo Renzi su Beppe Grillo, per circa cinque punti, se si votasse oggi. Gli altri seguivano, come si dice, a ruota e distanziati. Non solo, ma nella stessa o in un’altra rilevazione spiccava come primo dei politici più graditi (distanziando di molto i due) il Presidente della Repubblica. Personalmente non discuto la figura presidenziale, anzi sono convinto che sia Mattarella che Napolitano (che era anche lui sempre in testa nei sondaggi di allora) meritino rispetto e successo istituzionali.
Ma, per l’appunto, il Qurinale, è l’istituzione per eccellenza,e il suo inquilino ha una certa quale somiglianza, absit iniuria verbis, con quello del Vaticano. Molto diversa la posizione di Renzi e di Grillo, che sono figure politiche, partecipano alle lotte della Polis, alle sue discrasie, alle sue grida, ai suoi sbalzi, al suo mondo in cui il consenso popolare è obbligatorio, anche se non sempre meritato, al Governo o all’opposizione. Il secondo corno del dilemma sondaggistico sta nella rappresentazione di uno scontro come si riferisse ai due soli concorrenti, benché l’Italicum o comunque il principio dell’alternanza suggeriscano questo esito.
Ma è una rappresentazione, una scena sul cui palcoscenico non si scornano solo in due, ma si muovono non pochi soggetti, da Berlusconi a Salvini, da Alfano a Meloni. C’è anche Vendola, e pure Verdini, si capisce. Ma i primi quattro, se si sommano i risultati dello stesso sondaggio, sono lì lì ad un paio di punti da Renzi. Va da sé che una sommatoria numerica è diversa da un’alleanza interpatitica, che allo stato sembra assai complicata. Il fatto è che, sia la sommatoria che l’alleanza indicano né più né meno che la realistica divisione dentro il Paese fra centrosinistra e centrodestra, o meglio fra sinistra e destra, fra progressisti, come si diceva una volta, e conservatori, come si dice ancora e si dirà sempre. Certo, il Premier accarezza il sogno di un improbabile Partito della Nazione, versione renziana della vecchia Democrazia cristiana interclassista e inamovibile. Improbabilissima nei tempi dell’alternanza. Ma se si riduce, stando alla suggestione dei sondaggi, allo scontro fra Pd e Movimento Cinque Stelle, è chiaro che la Dea Fortuna continui ad arridere al Presidente del Consiglio. Per quanto il fiato sul collo alitato da una sommatoria, per ora, domani chissà, dalla destra non deve essere tanto gradito dalle parti di Palazzo Chigi. È la somma (l’alleanza) che fa il totale! (Totò)
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28