Muore dimenticata,  spaccato di un popolo

Esercitarsi nell’analisi dei massimi sistemi molto spesso non serve. A volte basta rifarsi alla cronaca per capire le de-potenzialità di un Paese e prevederne le possibilità di ripresa. Magari l’esercizio potrebbe servire anche a smetterla di prendersela con la politica perché dire che si tratti dello specchio del Paese è tutt’altro che un luogo comune. Siamo alle porte di Roma, precisamente a Ponte di Nona ed una donna sola, senza parenti e senza amici è stata abbandonata finanche dai vicini e dal medico curante. Solo l’ufficiale giudiziario non si è dimenticato di lei e, come nelle migliori tradizioni, è stato solerte a forzare la porta per eseguire uno sfratto ordinato per morosità dal tribunale.

Aperta la porta, l’agghiacciante scoperta: una ex insegnante in pensione, Maria Carmela Privitera, era morta quasi da due anni senza che nessuno si fosse preoccupato di non averla più vista in giro per il quartiere. Solo proteste da parte dei vicini di casa – inoltrate più volte all’Amministratore – per quell’odore nauseabondo proveniente dall’appartamento della Professoressa. Protesta sfociata nel clamoroso gesto di sigillare dall’esterno la porta di ingresso della casa in questione perché è più importante che la quotidianità del palazzo non sia turbata da certe schifezze puzzolenti piuttosto che le sorti di chi in quell’abitazione ci vive (o ci muore). Penserete: ma che c’entra la ripresa italiana con questo fatto di cronaca? Il nesso c’è e consiste nell’inesistente senso civico di un popolo che si indigna contro i politici corrotti, insensibili e fannulloni mentre, alla prova dei fatti, se ne fotte della vecchina sul pianerottolo piuttosto che della attempata zia rimasta sola.

Dove può andare un Paese così? Siamo un popolo di esteti ma forse anche di paraculi: facile indignarsi per il leone Cecil, l’orso Daniza, l’orsetto Knut perché tanto sono cose che succedono a chilometri di distanza e senza impegno visto non implicano mica un coinvolgimento quotidiano. Si tratta di battaglie evanescenti, belle esteticamente e che sottendono ad uno sfoggio implicito di cultura e di sensibilità a buon mercato che iniziano e finiscono nel tempo di una manifestazione o di un sit in. E poi, vuoi mettere che figo protestare per la libertà degli Uiguri o definirsi tutti Charlie piuttosto che fare il pensierino sull’accoglienza dei migranti? Fare un temino (magari anche politicamente corretto) è tanto superficiale quanto facile mentre impegnarsi nella solidarietà vera verso il disabile sotto casa, il vecchietto nel palazzo, il barbone all’angolo è faticoso e non appariscente.

Ci preoccupiamo del dramma in Palestina (e di tutti i posti del mondo purché siano distanti), dei Mongoli (il Senato l’altro giorno ha approvato un trattato di cooperazione internazionale) e ce ne impipiamo dello Zen di Palermo, di Scampia piuttosto che di Tor Sapienza o di Corcolle. E poi, tra il pigro ed il furbacchione, chiediamo (allo Stato ovviamente) più sicurezza, più servizi , più riforme, più lavoro. E siamo così ipocriti e rincitrulliti da chiedere cose concrete per migliorare la società e ricevere in cambio promesse prendendole per buone perché poi tanto il senso civico, a un certo punto, lascia il posto all’apericena come giusta ricompensa per l’impegno sociale. Impegno sociale che, in quanto collettivo, a un certo punto sfocia nel chissenefrega. Via i corrotti a meno che non debbano trovare il posto di lavoro per nostro figlio; rispettiamo le regole di civile convivenza purché si chiuda un occhio se l’infrazione è nostra; aiutiamo tutti gli sfigati del mondo purché vengano parcheggiati a distanza di sicurezza dal nostro quartiere; più sicurezza per le strade purché non si debba andare a prendere il bambino a scuola.

Ma non chiedeteci di sporcarci le mani perché non ci stiamo e ci asserragliamo nelle nostre case piene di inferriate ed antifurti. La Professoressa Maria Carmela Privitera ci ha voluto insegnare l’ultima cosa prima di togliere il disturbo: siamo una società malata, amante del futile, attratta dall’esotico e senza valori che difficilmente riuscirà a risorgere. Se dovessimo azzardare un’ipotesi, potremmo dire che ci sono due morti in questa vicenda: la sfortunata donna in questione e la cosiddetta comunità nazionale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:22