
“Se le dicono e se le cantano” commentavano un dì quelli che nei mass media, ma soprattutto fuori, prendevano ad esaminare comportamenti, tic, stili e polemiche nascenti nel mare magnum della mediaticità contemporanea. Quella dei Casamonica, di cui moltissimi ignoravano l’esistenza, è una vicenda in cui il ruolo dei mass media è stato determinante, come lo è stato per la “narrazione” a puntate di “Mafia Capitale” di cui i Casamonica sarebbero una, per così dire, appendice. O puntata.
A proposito della puntata televisiva, fa un po’ impressione l’esternazione del Sindaco di Roma - bisognerà che Bruno Vespa inviti pure lui contro la puntata dello scandalo dei Casamonica o Casamonicas, che è ancora meglio - e racconteremo un giorno perché è stata incolpata (la puntata e il suo conduttore) di reato. Non di Roma com’è, o come un Sindaco la vorrebbe, ma di un reato speciale, ad hoc, la visibilità. Diciamocelo: alla fin fine, la vera colpa di Vespa è di avere reso visibile in tv l’altra faccia della vicenda del funerale col motivo del “Padrino” in sottofondo e della carrozza con cavalli impennacchiati e dell’elicottero che lancia petali di rose. Proprio perché lo spettacolo, sia pure pop e anche trash e pure kitsch, era già andato in scena, pardon in onda, c’era bisogno dell’esplorazione del suo lato nascosto, non ascoltato, chiamiamolo pure approfondimento. Ma il primo spettacolo, quello che ha inondato d’agosto le nostre televisioni, da mane a sera, non era finito sua “sponted”, per partenogenesi, persino negli Usa sulla Cnn/Cbs.
Fin da subito quella sequenza dal vero, live, non da telefilm, non da fiction, era apparsa subito degna di una versione dei “Sopranos” nostrani tradotti in “Casamonicas”. E anche questa mutazione non avveniva da sola. Era uno spettacolo, uno spaccato sociologico di una Roma (ma non solo, c’è da giurarci), una visione che mediaticamente dava la misura, il senso, la dimensione, di una “way of life” casamononichiana sulla quale era stata cucita e ricucita, sempre dai mass media uno storyboard finalizzato per l’appunto, non al suo motivo musicale ma proprio alla famiglia mafiosa del “Padrino” di Coppola/Puzo. Infatti la “substanzia” da codice penale dei Casamonica, l’“ubi consistam” dei reati non essendo nel centro della mafiosità vera e propria, stava e sta molto borderline, sfumata, confusa, e mescolata, cioè declassata, in un sottofondo da codice penale senza bisogno del 41 bis, per dire. I fatti separati dalle opinioni ci raccontano storie non manipolabili, benché la loro narrazione diventi un’altra storia che, tuttavia, è necessaria.
E difatti anche i più cerberi nemici di Vespa non lo condannano per la scelta dei due personaggi Casamonica, ma del come li ha “condotti”, e si rimembrano i Buscetta e i Sindona intervistati da Enzo Biagi come contraltare corretto. Se dunque, il problema non era e non è quello di avere avuto ospiti i Casamonica in una trasmissione che, tra l’altro ha proprio lo scopo di ospitare, cioè mostrare, uno dei lati di una vicenda, di cosa stiamo parlando? Se cioè non è la faccenda “in re ipsa” ma nello stile con cui viene gestita, il problema cambia perché si tratta della questione centrale nei mass media, ovvero dei punti di vista, della quale, da Santoro a Floris, da Mentana a Paragone alla stessa, sorprendente new entry Del Debbio, gli esempi sono a iosa. Al di là dei contenuti, delle simpatie politiche e, spesso e volentieri, giustizialiste con un Matteo Salvini esondante, diciamo.
E ho citato i big tv, per non dire della radio dove il duo Giuseppe Cruciani e David Parenzo ci offrono con “La Zanzara”, tutti i giorni, uno spaccato italico senza pruderie e con punte di sublime provocazione di cui le “false” telefonate sono delle vere e proprie chicche, un esame di psico-socio-politichese dei tempi politici nostri, suggerendo, spesso, che è un’intera classe dirigente che merita alla grande le punzecchiate, meglio se dolorose, della “Zanzara”. Il mestiere del giornalismo è ampio, variegato, complesso, difficile, e se non funziona non è colpa del pubblico. Ma, si dice, Vespa è la Rai, ovvero il servizio pubblico. È di tutti. Una ragione di più per fare puntate tipo quella dell’altra sera. Peraltro meno scandalosa e partigiana di alcune citate. Quanto al problema sollevato qua e là che la Rai è in mano ai partiti, oltre che un ritorno ai tempi in cui “Berta filava” questa polemica sembra tuffarci nel mare magnum delle ovvietà. Sol che si pensi che per legge dello Stato, è il Parlamento che nomina il Cda Rai e che l’Azienda ha un massimo grado di libertà gestionale, dirigenziale, manageriale, a livello mondiale.
Spesso è la concorrenza che offre l’argomento della Rai sul mercato spingendo fino a proporre la vendita dell’azienda di Stato ai privati. Non affatto disinteressata, una simile proposta sarebbe degna di un approfondimento. Scommettiamo che Vespa ci ha già pensato?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37