Rom Capitale

Oltre ogni previsione, i media sono come impazziti per il funerale di Vittorio Casamonica, tenutosi nella parrocchia di don Giancarlo Manieri al Don Bosco di Roma, dedicandoci paginate e ore di trasmissioni Tv. L’ennesimo rialzo d’attenzione lo offre l’esposto di Lega Italica che ha fatto intervenire la Procura. Senza indagati e senza reato, difficili entrambi da trovare. L’inchiesta si accanirà sul tracciato del denaro e sui certificati antimafia delle aziende coinvolte. Saranno tutte in ordine visto che la carrozza stile Padrino (ma anche Totò) viene impiegata abitualmente più di 200 volte l’anno. Come è naturale, a posteriori, tutti gli interessati diranno di aver agito pro bono o a prezzi irrisori. La banda musicale di dieci persone, si è difesa adducendo la passione che la fa suonare gratis.

Il parroco a suo dire ha ricevuto 50 euro. Spunteranno benefattori e questue popolari di massa a giustificare 5mila euro per Rolls Royce, feretro, 4 uomini e copri bara ricoperto da rose rosse; tremila per 20 vetture e carri di fiori scoperti, da cui lanciare fiori lungo i 7 km di tragitto sulla Tuscolana; 15 mila della carrozza a 6 cavalli, la stessa di Totò, fornita dalla ditta Cesarano di Calvizzano di Napoli; ed il prezzo finale fissato dall’agenzia Az e EuroCof di Roma, che si è aggiudicata le ricche esequie. E altre spese eccezionali, come 60mila euro per l’elicottero di Terzigno da cui sono stati lanciati i petali rossi e le 65 corone di fiori, tante quanti gli anni del defunto, come vuole la tradizione rom, del valore di 30mila euro e le gigantografie da 5mila euro.

Senza contare gli impegni interessanti il pubblico erario, dai permessi al blocco stradale durante percorso e funzione, alla pulizia speciale post evento. Sono mancati solo i fuochi d’artificio, solitamente adoperati in questo tipo di funerale. Duecentomila euro. Svergognate, politica e burocrazia, non hanno trovato il coraggio di ricordare che si proibiscono i funerali se il defunto è stato ammazzato, se muore in carcere come avvenne per i camorristi Nuvoletta o in caso di rischio per il disordine pubblico. Che furono ammessi nel ‘90 dal sindaco comunista Vetere, anche i funerali del nonno Casamonica, pure sorvegliato speciale. Che ce n’è stato un altro a Ostia la settimana scorsa.

Scatenati contro la politica e la burocrazia, i media non si sono nemmeno accorti quanto la giustizia sia incapace di trovare colpevolezze tanto conclamate. Il defunto capoclan Vittorio se ne è andato incensurato, neanche una multa. Omaggiato nel funerale come re zingaro, reputato a capo di una banda rom e sinti di 350 familiari e mille uomini; 40 anni fa, ventenne violento recuperatore crediti della banda della Magliana, poi trentenne povero e miliardario, l’anziano Casamonica era un criminale nei rapporti ministeriali, negli articoli e nei discorsi da bar, ma non lo era per la giustizia. Il funerale da 200mila euro, ha colpito i media, in primo luogo perché organizzato da famiglie come i Casamonica, i Di Silvio, i De Rosa, gli Spinelli, gli Spada e i Cena, le cui dichiarazioni dei redditi sono da soglia di povertà. Si ha un bel dire che il clan Casamonica conti su un migliaio di membri, ciascuno con un milione di patrimonio fatto con usura, truffe e droga.

Dia ed altre forze dell’ordine hanno, anni fa, operato maxi-sequestri al clan del valore di 85 milioni di euro; poi nei diversi tribunali i legali dei Casamonica l’hanno spuntata, lasciando alla giustizia solo 5 milioni e recuperando terreni, ville, decine di cavalli da corsa, centinaia di conti correnti e di auto di lusso. Nessuno stavolta, guarda caso, ha tuonato contro l’evasione. L’opinione dei media, è stata colpita, poi, più che dai costi del funerale, da alcuni particolari: lo sfarzo cafone, la gigantografia che dava a Vittorio un look più che da re, da Papa, la musica de Il padrino. Probabilmente perché i veri ricchi non sono più così. Non ostentano rolex e oro, non amano barocco e roccocò e lasciano le gigantografie alle farfalline di modelle e soubrettes.

L’attenzione per le folklorostiche esequie è stata enfatizzata dal clima pesante incombente sulla Capitale per l’inchiesta su Mafia Capitale e l’avvicinarsi del processo. I media, come ubriachi, nel maxi funerale zingaro, hanno visto l’ipnotica concretizzazione dei titoli su Mafia Capitale, la rappresentazione scenica di una camorra capitolina dove sono affogati del tutto, presi dall’ebbra orgiastica, che loro scatena la mafizzazione della realtà. Quasi metà della politica e partitica italiana è considerata da larga parte dei media, mafia; un concetto superstizioso ma suggellato da carcerazioni e processi eccellenti. Per un’altra grande fetta, ogni forma produttiva è mafiosa, come ci insegnano i report terroristici sulle malefatte dello stato imperialista delle multimazionali che colpisce tramite merendine e bibite zuccherate, pizze e banche, costruzioni e restauri, oli esausti e da abbrozzantura.

Un’ansia generalizzata, che dopo la costituzionalizzazione di Roma Capitale si è impegnata a trovare segni di mafia romana un po’dovunque. La cosa più logica è sfuggita ai media, presi da una reazione illogica e nevrotica a segni e simboli contrari al trend politico-culturale. Non hanno capito di trovarsi di fronte ad un maxifunerale zingaro, di famiglie sinti e rom. D’altronde sono stati i media a coltivare il clima di protezione attorno a loro. A stendere il velo protettivo della retorica filoimmigratoria, come se si trattasse di stranieri. Sono stati i media a rifiutarsi di descrivere l’omertosa unità ed ordine gerarchico delle famiglie zingare capaci di mobilitare permanentemente centinaia di persone. Sono stati i media a chiudere gli occhi sulla sistematica tesaurizzazione di danaro contante e oro, sull’esibizione di grosse macchine e gioielli accanto a stili di vita ed istruzione degradate; sull’evasione da ogni regola fiscale, amministrativa ed economica degli zingari.

Sono stati i media a difendere il loro implicito autogoverno, anche se estraneo agli standard intesi comunemente del vivere civile. Ed ad accusare di discriminazione chi indicava la palese pratica del furto e dell’accattonaggio, del piccolo e grande reato. Sono stati i media a sostenere l’apertura del welfare delle case popolari, degli assegni di disoccupazione, delle invalidità, del sostegno alle attività e dei relativi documenti. Senza vedere che ciò facilitava l’appropriazione zingaresca del territorio romano, già predisposto dalla continua edilizia illegale e dalla prassi delle occupazioni. Sono stati i media a porre legittima suspicione sulle eventuali attività repressive contro gli zingari ed a far smontare ogni naturale sospettosa difesa storica delle istituzioni e cittadini.

Quando, fino a 40 anni fa, gli zingari erano per gli italiani un’etnia a parte, e viceversa. E gli uni e gli altri non entravano nel mondo dell’altro. Oggi che gli zingari fanno quel che sempre hanno fatto, magari più da tracotanti vista l’inesistenza di difesa contro l’operato criminale spicciolo che è vita ordinaria per un numero sempre più grande di persone, i media si rifugiano in angolo, trasformando i rom in mafia. Domani saranno in prima linea a difendere nomadi, rom, sinti, e con loro familiari e dintorni dei Casamonica. Vittime e colpevoli, imputati e testimoni a discarico di loro stessi. Abbandonata a se stessa, più che Mafia Capitale, Roma è Rom Capitale (come d’altronde significa in inglese la parola Roma. Il re Rom se la ride e ringrazia. Forse adotterà in futuro uno stile più minimalista.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:04