Sostenibilità,decrescita e/o… degrado?

Coloro che, come chi scrive, si sono trovati a vivere l’ultimo grande Rinascimento italiano dello scorso millennio, quello succedente il tragico periodo della Seconda guerra mondiale, anni nei quali si riuscì a portare il Paese - soprattutto negli anni Cinquanta - ai più straordinari primati in ogni campo dell’ingegneria civile ed industriale, ed a realizzare quello che fu legittimamente chiamato il “miracolo” italiano, sono oggi in grandissima difficoltà nell’ascoltare i più apprezzati “uomini colti”, politici e pubblici amministratori, che in periodi di così grave crisi si perdono in inconcludenti dissertazioni circa “sviluppo sostenibile” o, più “modernamente”, del suo esatto opposto, ovvero della cosiddetta “teoria della decrescita”.

A scanso di ogni equivoco chiarisco però subito che non è entrare in questa inutile tenzone lo scopo del mio intervento. Da ingegnere prima, e poi, così come mi è capitato di essere: ricercatore, scienziato e docente universitario per quasi mezzo secolo, sperimentatore sul campo degli esiti delle mie ricerche e della loro efficacia, esperto internazionale riconosciuto, consulente di governi ed enti pubblici e privati nazionali ed internazionali, professore e, si sarebbe una volta detto, “maestro” (non sempre ascoltato, ma anche a volte sì) di larga parte degli attuali dirigenti di aziende ed enti pubblici operanti nel settore dei trasporti e delle infrastrutture, mi sembra di aver sempre avuto molto chiara una cosa: il valore ed il ruolo della “competenza” nella guida di una collettività, nazionale o locale che sia. La domanda che oggi mi pongo è: esiste anche per i decisori dei destini della vita economica e sociale di intere collettività di cittadini, almeno per... il comune senso del pudore, una scala di valori di riferimento per la selezione del personale cui affidare gli incarichi più delicati? Ed a quale gradino di questa scala si trova la “competenza”, la conoscenza del funzionamento dell’oggetto che si dovrebbe “maneggiare”, e del quale si dovrebbe divenire “manager”?

A guardarci intorno di dubbi ne vengono tanti se assistiamo sempre più frequentemente a “strane” nomine quali quelle di un “sociologo” alla guida (dg) della romana Atac (azienda esercente Tpl), a quella di un medico-anestesista al coordinamento di un Dipartimento di Lavori pubblici, di uno “statistico” a quello della Sanità, di un “filosofo” alla direzione di infrastrutture stradali, ferroviarie, aeree o navali, e via dicendo! Sì, perché questi stanno divenendo eventi ordinari sotto gli occhi indifferenti della gente e degli organi d’informazione, forse tutti ormai convinti che le persone scelte siano effettivamente le migliori e le più appropriate ai rispettivi ruoli proprio “per requisiti di curricula”! Ma poi, questo “curriculum”, all’interno del quale ognuno usa scrivere incontrollatamente ciò che vuole, trova qualche “valutatore” capace di interpretarlo?

Negli anni Cinquanta e Sessanta difficilmente avremmo trovato situazioni del tipo di quelle sopra amaramente indicate, e soprattutto a nessun amministratore della cosa pubblica sarebbe mai venuto in mente, sempre in spregio alle necessità di competenza, quella cioè degli uomini giusti ai posti giusti, di imporre, magari col giustificativo di evitare rischi di possibili corruttele, la rotazione tra loro dei dirigenti dei vari dipartimenti, indipendentemente dal know-how acquisito, ed a tempi ravvicinati (ad esempio ogni tre anni!). Recentemente è successo nella Capitale, ma anche nel resto d’Italia ciò è prassi, dai massimi livelli dell’organizzazione statale in giù. Possibile infatti che alla direzione di nessun ministero il Governo abbia ritenuto di collocare un “tecnico”? Naturalmente con questa definizione intendo identificare il classico tékhne, ovvero letteralmente il vero artista della professione, l’essenza specifica della competenza nel proprio settore. Che so un ingegnere, un medico, un architetto, un geologo, un archeologo, ecc., non il solito “generico economista tuttologo” che la politica ha l’abilità di riciclare ovunque, o amministrativi, giuristi, socio-filosofi e gente che ha lavorato in banca!

Attenzione, molta attenzione! Perché gli eventi che finalmente sono venuti fuori nel 2014/15 a seguito delle indagini della Procura di Firenze, cominciano a parlare chiaro e hanno fatto un po’ di luce proprio sul dove porta questo andazzo del trascurare il valore delle legittime competenze anche nell’ambito della sorveglianza sui grandi appalti, devo maliziosamente dire “bene intenzionalmente guidato” verso i propri interessi da parte di politica ed amministrazione.

Chi il “sistema” ben conosce, come chi scrive, di sorprendente non trova proprio nulla! Se intervengo e scrivo, infatti, lo faccio a ragion veduta, sia con riferimento al caso sollevato dalla Procura di Firenze (caso ing. Ercole Incalza & collegamenti vari), ma anche riguardo all’intero panorama degli altri numerosissimi casi di circostanze e persone coinvolte (anche da me direttamente conosciute, e magari miei ex allievi). Come si fa, ad esempio, a rimanere indifferenti di fronte a nomine di direttori dei lavori, collaudatori, commissari di gara, di personaggi privi dei requisiti minimi di quella “competenza” documentata da “curriculum” attestante la propria attività “con modalità giurata” (del quale nessuno ha più considerazione), ed oltretutto con “codici etici” sottoscritti ma largamente disattesi (false dichiarazioni di non sussistenza di parentele o di altri rapporti lavorativi, ecc.), avvenute nel totale disprezzo del principio dell’evidenza pubblica? E che dire se tutte le scelte dei membri delle commissioni giudicatrici e/o di collaudo di opere affidate con la “Legge Obiettivo” hanno seguito tale prassi? Per non parlare poi del consueto reitero da parte del “potente” di turno, delle nomine nell’ambito di un ristretto numero di persone, oltretutto formato da soggetti dal livello di conoscenza delle discipline tecnico-scientifiche estremamente modesto rispetto all’elevatissimo valore delle opere oggetto degli incarichi.

E allora? E allora non viene esercitato più alcun controllo sui costi finali delle opere: le imprese impongono varianti con aumento dei costi che vengono sempre accolte e questo incrementa la fetta di torta che va inevitabilmente ad alimentare l’“ambiente” politico-mafioso-camorristico! Il direttore dei lavori? Le commissioni di collaudo? Soprammobili.

Come fanno le truppe politico-amministrative d’assalto ad accantonare l’ostacolo del fastidioso, bravo, competente e diligente “ingegnere”, soprattutto in una grande città come Roma? Perché costui dovrebbe interporsi tra Comune, imprese e mafie, e non far costare la Linea C il doppio di quanto potrebbe costare, magari con diverso tracciato ed ottica di rete metro-ferroviaria, e/o dovrebbe rendere l’Atac azienda efficiente e pilota per il riassetto dell’intero trasporto pubblico laziale? La risposta è chiara: secondo programma ben conosciuto dallo stesso assessore Improta (già Mibac, e già Mit) il progetto e le varianti con le imprese non le dovrà mai più decidere “Roma Metropolitane” ed il suo apparato tecnico, ma il ministero dell’Archeologia, non l’ingegneria! Poi... quel che costa, costi!

Poveri cittadini! Quali difese hanno più? L’unico che avrebbe potuto cercare di rendere meno cara la Metro C ed efficiente il servizio di Tpl, perché “l’ingegneria mafiosa” ancora non è stata scoperta, sarebbe stato uno del mestiere, ma noi siamo antichi (l’ingegneria segue le leggi della natura) e la moderna politica del “magna magna” poco la digeriamo. E allora riparliamoci chiaro: cosa c’entra un “sociologo” alla guida (si badi bene, come direttore generale!) di un’Atac o magari di una qualunque altra azienda esercente servizi di trasporto, come pure una bravissima ma “ignara” ed “ignorante” “dottoressa” messa al’Unità operativa per il Trasporto pubblico locale, o un “medico” al coordinamento del Dipartimento dei Lavori pubblici; uno “statistico” a quello della sanità, un “filosofo” alla gestione di infrastrutture stradali, ferroviarie, aeree marittime, ecc., ecc.?

In guardia poi anche all’eccesso opposto, alla confusione fatta con l’orribile, imbarazzante ed ovviamente abortito tentativo di quel “governo di tecnici”, fatto subire agli italiani, con i Monti, le Fornero ed i professori vari nell’improprio ruolo di “politici”, con ministri alla Passera all’ombra del quale infatti sembrano allegramente proseguite, almeno stando alla magistratura inquirente, le Incalza - te, le TAV – iate, le Perott - ate, le Linee – C ate, eccetera. Non è stata chiaramente questa la soluzione risolutiva per uscire dalla crisi, e maliziare che con tali tipologie di governo non si eviterebbero collusioni tra tutti i poteri finanziari forti che passano sopra la testa dei cittadini senza alcun rispetto delle loro tasche e della loro stessa vita, non sarebbe certo un grave peccato.

La conclusione è pertanto questa: solo se tra i cittadini da un lato e governo della cosa pubblica dall’altro tornasse quale filtro la “competenza” di bravi esperti (quelli che non ignorano certo anche le problematiche attinenti allo “sviluppo sostenibile”, all’ambiente, agli usi ed abusi dell’energia, alla gestione economica dell’esistente, ecc.), lo spazio di “pascolo” di mafie e corruzione sarebbe molto ridotto e con loro gli sprechi ed il saccheggio dei conti pubblici. Quindi, veri competenti indipendenti dal potere politico alla guida di aziende ed amministrazioni pubbliche, a garanzia dei diritti dei cittadini e non dell’occasionale “padrone nominante”!

A chiarimento dell’assunto per cui un candidato laureato in sociologia ed in trattamento di quiescenza non possa coprire il ruolo di direttore generale di Atac, valgano le considerazioni che seguono, anche a superare le “curiose” ufficialità dichiarate sia dallo stesso Francesco Micheli nel proprio curriculum, sia dall’assessore Guido Improta in risposta ai rilievi mossi ai fini dei dubbi sollevati relativamente al rispetto, con questa nomina, della “Legge Madia”. Il primo avrebbe infatti scritto nel proprio curriculum, se ben riportato dagli organi di informazione, di essere stato dal 1976, e per parecchi anni, direttore del personale ed addirittura poi dell’intera “organizzazione” della famosa ditta Gucci, quando nessun dirigente, nemmeno a livello di proprietà del Gucci di Roma via Condotti (e Miami, col vecchio Aldo!) ne ricordano nemmeno il nome, e quando notoriamente i membri della famiglia Gucci (Roma, Firenze, Milano) hanno sempre operato indipendentemente e mai secondo un’“organizzazione”, e per tutto il resto il curriculum stesso scorre con la totale assenza di qualunque contatto con veicoli, vie e/o impianti di trasporto. Quanto al secondo, all’assessore Improta, persona assolutamente sempre molto accorta nelle proprie dichiarazioni, l’affermazione (Ferpress 27/05/2015) secondo la quale “l’Atac... non è compresa tra le aziende di cui all’art. 1, comma 2 del…, e quindi non è compresa nell’elenco delle aziende cui si applicano le disposizioni in materia di contenimento della spesa statale”. Commento: E allora?

Queste amenità premesse, ecco alcune delle nozioni che non solo ritengo indispensabili debba possedere necessariamente il dottor Micheli, e che il suo “referente” avrebbe dovuto garantire, ma che dallo stesso bando di gara sembrerebbero effettivamente richieste come in tutti gli altri casi per ruoli similari, e chiaramente ignorate con la nomina a direttore generale del dottore in sociologia, Francesco Micheli:

1) Di possedere la specifica conoscenza delle caratteristiche costruttive e prestazionali delle modalità di trasporto presenti in Atac (autobus, filobus, tram, metro, treno, nelle loro diverse tipologie), e di quelle nuove e/o innovative introducibili in sevizio nel breve e medio periodo;

2) Per ciascuna modalità o sistema di trasporto, si intende che il direttore generale debba avere chiara nozione sui singoli fattori di produzione dei servizi e sul loro dimensionamento in base alle caratteristiche della domanda, della rete e dell’ambiente, come pure debba conoscere le tecniche per il dimensionamento di un servizio di trasporto a partire dall’andamento spazio-temporale della domanda e delle caratteristiche plano altimetriche delle linee, del traffico e della regolazione dell’itinerario;

3) Per quanto riguarda la circolazione dei mezzi Atac su rete stradale in “promiscuo”, per gli effetti che la presenza di corsie preferenziali ed altri provvedimenti di regolazione della circolazione hanno sulle velocità commerciali dei mezzi, il direttore generale deve anche avere sufficiente conoscenza delle tecniche del traffico e della circolazione e di redazione del Pgtu (Piano Generale del Traffico Urbano). Ciò anche per le numerose attività accessorie che allo stato il Contratto di Servizio Comune di Roma Capitale-ATAC affida a quest’ultima società (sorveglianza corsie riservate, sosta, car e bike sharing, ecc.);

4) Il direttore generale deve avere approfondite conoscenze circa l’impatto ambientale delle singole modalità di trasporto, emissioni e consumi energetici, ovvero delle tematiche inerenti la ripartizione modale, soprattutto in una grande Area Metropolitana come quella romana. A questo capitolo è collegata specifica conoscenza delle interrelazioni tra Mobilità e Sistema Territoriale;

5) Per operare a Roma, stante la sua Area Metropolitana ed il suo Prg, è indispensabile la conoscenza approfondita delle teorie e delle tecniche urbanistiche e almeno nozioni sulle relazioni tra accessibilità dei luoghi creata dalle discipline del traffico e valori fondiari delle aree e delle attività presenti sul suo territorio. Si consideri, in particolare, che il Prg prevede che la città metropolitana si sviluppi attorno a cosiddette “centralità”, le quali altro non sono che “nodi di scambio intermodale”, ovvero insediamenti edilizi nei quali vengono concentrati da un lato fermate e soste per mezzi pubblici e privati delle più diverse modalità di trasporto (ferro, gomma), dall’altro attività residenziali, terziarie, commerciali, di servizio;

6) Inoltre, il direttore generale di Atac non può non avere specifica conoscenza delle teorie e tecniche di pianificazione dei trasporti nonché, sul piano dell’economia, delle correnti modalità di calcolo dei “costi standard” per modalità di trasporto, e delle variazioni che questi subiscono al variare della dimensione aziendale, della domanda, oraria ed annuale, nonché, per la gomma, della situazione ambientale;

7) Il mancato bagaglio culturale specifico rende vulnerabile Atac rispetto ad offerte che vengono oggi da tutto il mercato globale, per mezzi e sistemi innovativi dei quali non si hanno normalmente sufficienti strumenti per valutare l’effettiva validità. Piuttosto, per attivare una politica dei trasporti propositiva e tesa ad aumentare la produttività generale del sistema del Tpl laziale, occorrerebbe avere conoscenze sul come articolare le gestioni per modalità e per unità territoriale, e non necessariamente, quest’ultima coincidente con gli attuali confini amministrativi di Roma Comune (per Atac), ecc., insomma, altro tipo di “competenza”!

8) Esperienza con qualifica dirigenziale o con funzioni apicali comparabili, per un periodo di almeno cinque anni, nell’ambito della progettazione, gestione e promozione nel settore del Trasporto pubblico locale.

La specifica richiesta figurerebbe in qualsiasi altro bando, d’Italia e non!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:23