Il contributo del Csm alla crisi della giustizia

Premessa

In questo convegno vengono trattati temi di grande rilievo per la funzionalità della nostra giustizia e tutti sappiamo quanto sia drammatica la sua inefficienza. Ce lo ricordano annualmente le relazioni dei presidenti della Corte di Cassazione. Ce lo ricordano i moniti del Consiglio di Europa che pongono in dubbio la natura stessa di stato di diritto dell’Italia. Ce lo ricordano i rapporti della Banca mondiale che evidenziano come la nostra giustizia non solo sia di gran lunga la più lenta tra i paesi dell’Europa occidentale ma anche più lenta della maggior parte dei paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Ce lo ricorda la Corte europea dei diritti dell’uomo che da molti anni evidenzia come la lentezza della nostra giustizia rappresenti un gravissimo vulnus per i diritti umani dei nostri cittadini e la Banca d’Itala che ci indica come essa scoraggi gli investimenti sia interni che internazionali con un danno annuale di decine di miliardi per la nostra economia.

Nella mia presentazione considererò, per grandi linee, l’evoluzione delle modalità di gestione del personale togato da parte del Consiglio superiore della magistratura (CSM). Nel farlo tratterò, tra l’altro, anche due dei temi considerati dagli altri relatori, e cioè: tabelle e dirigenza degli uffici giudiziari. Ciò non solo mi consentirà di minimizzare la sovrapposizione con le cose che diranno i relatori dei singoli temi ma mi consentirà anche di sottolineare come tabelle e dirigenza sino strettamente collegate ad altri aspetti del governo del personale e che quindi riforme in quei settori (ammesso che qualcuno ancora ritenga che siano possibili) implicano riforme anche in altri settori.

Tra le cause della abnorme inefficienza del nostro sistema giudiziario spesso si indicano le disfunzioni generate dal fenomeno del correntismo, le difficoltà che si incontrano nel coprire le vacanze negli uffici giudiziari meno graditi ai magistrati, la politicizzazione della magistratura, le attività extragiudiziarie dei magistrati ed altre ancora cui faremo riferimento. Le ricerche da noi condotte sulle attività del CSM e la mia partecipazione anche diretta alle sue attività a partire dalla prima metà degli anni Sessanta mostrano come all’insorgere ed al consolidarsi di quei fenomeni disfunzionali il CSM stesso ha certamente dato un contributo rilevante. In questa relazione considererò, quindi, vari aspetti delle politiche di gestione del personale togato promosse con costante impegno e notevole successo dall’Associazione nazionale magistrati italiani (ANM) e dalle sue rappresentanze nel CSM e cioè: a) il venir meno di reali valutazioni di professionalità dei nostri magistrati e soprattutto le principali conseguenze disfunzionali che ne sono derivate; b) le modificazioni apportate dal CSM alle funzioni di supervisione, coordinamento e controllo delle attività del personale togato. Non considererò, invece, le caratteristiche ed i limiti di un’altra rilevante funzione della gestione del personale togato, della quale mi sono occupato in altra sede, e cioè la funzione disciplinare.

Valutazioni di professionalità ed efficienza della giustizia

La lettura della stampa di categoria dell’ANMI tra la fine degli anni 1950 e i primi anni 1960 mostra come vi fosse una chiara tendenza a ritenere che i poteri di decidere delle promozioni di giudici e pubblici ministeri (PM) e i poteri di direzione degli uffici giudiziari, attribuiti allora ad un ristretto numero di magistrati che appartenevano agli alti gradi della magistratura, costituissero una minaccia per l’indipendenza della magistratura. Questi orientamenti dell’Anmi si sono poi concretamente affermati a partire da metà degli anni ‘60 ed hanno progressivamente portato alla sostanziale abolizione delle promozioni e a una radicale attenuazione dei poteri dei dirigenti degli uffici. Quanto alle principali cause di questi fenomeni occorre ricordare eventi lontani nel tempo che hanno prodotto e consolidato i loro effetti fino ai giorni nostri, e cioè:

a) Le leggi sulle promozioni dei magistrati del 1966 e 1973 (conosciute come leggi Breganze e Breganzone ) hanno consentito, caso unico nell’Europa continentale, che i magistrati possano essere promossi ai livelli superiori della carriera e dello stipendio anche in assenza di vacanze ai livelli superiori della giurisdizione, cioè senza nessun limite e senza più una graduatoria di merito.

b) La legge di riforma del sistema elettorale del CSM del 1967 ha eliminato, tra l’altro, il voto diviso per livelli della carriera che fino ad allora aveva garantito, come ancora avviene in altri paesi europei, il predominio in Consiglio degli alti gradi della magistratura ed ha eliminato qualsiasi distinzione nell’elettorato attivo, consentendo quindi ai magistrati che allora si trovavano ai livelli più bassi della carriera (il 68% del totale), che sino ad allora avevano eletto al CSM solo 4 magistrati su 14, di poter scegliere col voto anche tutti i rappresentanti degli alti gradi della magistratura.

c) Nelle elezioni dei Consigli giudiziari del 1967 e del CSM del 1968 l’ANM ha ufficialmente invitato i magistrati a votare solo per i candidati che si impegnavano a non effettuare la valutazione dei titoli giudiziari. Un appello che riscosse pieno successo allora e che produce i suoi effetti a tutt’oggi . A differenza di quanto avviene negli altri paesi dell’Europa continentale (Francia , Germania, Austria, Belgio, Olanda ecc.) il CSM ha, da allora in poi, promosso tutti i magistrati con valutazioni altamente positive fino ai vertici della carriera, dello stipendio e della pensione , di regola con la sola eccezione dei magistrati che hanno gravi sanzioni disciplinari . Ha anche valutato di nuovo tutti i magistrati in servizio promuovendoli retroattivamente ai vari livelli della carriera secondo le nuove modalità di valutazione. A differenza di quanto avviene negli altri paesi europei ove i dirigenti degli uffici giudiziari hanno sostanziali poteri nella valutazione dei magistrati dei loro uffici, i dirigenti dei nostri uffici giudiziari vengono così a perdere (di fatto anche se formalmente non del tutto) una delle più importanti funzioni di governo del personale togato. E nel considerare la evoluzione del ruolo dei dirigenti degli uffici giudiziari nel nostro Paese bisogna anche ricordare che con l’avvento del CSM i dirigenti hanno perso il potere di sanzionare con l’ammonimento i magistrati del proprio ufficio (potere che ancora vige in altri paesi europei come, ad esempio, in Francia). La determinazione con la quale l’ANM e le sue rappresentanze in Consiglio hanno perseguito l’obiettivo di eliminare qualsiasi residua forma di reale valutazione dei magistrati successiva al reclutamento ha ottenuto il pieno successo nel corso degli anni 1970 con due ulteriori iniziative, e cioè:

a) nel 1970 il CSM decise di promuovere, di fatto sulla base del mero decorrere dell’anzianità di servizio, anche i magistrati che da molti o moltissimi anni non esercitavano le funzioni giudiziarie, venendo così ad affermare, implicitamente ma molto chiaramente, che neppure l’esperienza giudiziaria era più necessaria o rilevante nella valutazione della professionalità dei magistrati (e su alcuni aspetti e conseguenze di questa decisione torneremo più innanzi).

b) nel 1979 il CSM decise di sua iniziativa di non bandire gli esami (scritti ed orali) che per legge i giovani magistrati dovevano allora sostenere due anni dopo l’ingresso in magistratura per essere promossi ad aggiunto giudiziario. Solo successivamente, oltre un anno dopo, il Parlamento, su esplicita sollecitazione dello stesso CSM, abolì quegli esami con apposita legge . Vennero al contempo abbreviate di tre anni le anzianità previste per il passaggio da un livello all’altro della carriera con effetto anche retroattivo e con i vantaggi economici che questo comportava . Non è questa la sede per fornire dati analitici del fenomeno delle promozioni generalizzate, dati che sono peraltro già reperibili in altre mie pubblicazioni . Mi limito a ricordare che nel periodo 1979-2007 le valutazioni negative ai fini delle promozioni sono variate nei vari CSM tra lo 0,4 e lo 0,9% ed hanno di regola riguardato solo magistrati che avevano gravi condanne disciplinari o procedimenti penali pendenti . I magistrati che ricevevano valutazioni negative venivano comunque promossi con due o tre anni di ritardo.

Nel 2006-7 il legislatore ha voluto porre rimedio a questo fenomeno con una legge che stabilisce regole di valutazione molto più severe (a mia conoscenza tra le più severe d’Europa). Paradossalmente, ma non senza ragioni, l’effetto è stato quello di rendere le valutazioni da parte dei consigli giudiziari e del CSM ancor meno selettive . L’analisi dei verbali del CSM dal I° luglio 2008 al 31 luglio 2010 mostra, infatti, che tra le 2409 valutazioni effettuate non vi sono state valutazioni negative e che solo tre magistrati, di cui uno già in pensione, non hanno ricevuto valutazioni positive (poco più dell’uno per mille).

Così tutti i magistrati italiani, caso unico tra i paesi democratici con reclutamento simile al nostro, raggiungono per volontà del CSM il livello massimo della carriera, dello stipendio, della pensione e della buon uscita. Così, mentre prima che il CSM decidesse di effettuare promozioni generalizzate, al vertice della carriera vi era solo l’1,1% percento dei magistrati in servizio (più o meno quello che ancora accade negli altri paesi europei), da molti anni quella percentuale è salita fino al 23-25% dei magistrati in servizio . Mentre fino alla prima metà degli anni 1960’ la maggioranza dei magistrati (il 54,4%) raggiungeva l’età della pensione (allora 70 anni) senza aver superato il livello di magistrato di appello (cosa che, mutatis mutandis, avviene ancora negli altri paesi dell’Europa continentale), da allora in poi tutti i magistrati raggiungono quel livello della carriera dopo 13 anni di servizio (intorno ai 40 anni di età) così come tutti i magistrati italiani all’età della pensione raggiungono il vertice della carriera (cioè quello di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori).

Prima di considerare le conseguenze che questi eventi hanno avuto sul piano dell’efficienza dell’apparato giudiziario e proprio al fine di farne comprendere la portata mi pare opportuno sottolineare la relazione che lega organicamente promozioni ed efficienza in tutte le organizzazioni che, come la nostra magistratura, reclutano persone relativamente giovani, senza precedenti esperienze professionali che di regola permangono in servizio per la loro intera vita lavorativa (40/45 anni). In queste organizzazioni le promozioni servono, cioè, a verificare che i magistrati, inizialmente in possesso di conoscenze solo teoriche, maturino poi effettive capacità professionali; servono, successivamente, a selezionare coloro che (per capacità professionali ed impegno lavorativo) sono più qualificati per coprire le vacanze ai livelli più alti della giurisdizione; servono per verificare, cosa non meno importante, che essi conservino le loro capacità lungo tutto il corso dei 40/45 anni di permanenza in servizio e fino all’età del pensionamento; servono infine a fornire informazioni utili per destinare i magistrati alle funzioni più consone alle loro caratteristiche personali e competenze professionali. Queste garanzie, presenti anche nel nostro assetto giudiziario sino alla fine degli anni 1960 , sono in varie forme ancora ben presenti negli altri sistemi giudiziari dell’Europa continentale (Germania, Austria, Francia, Belgio, Olanda ecc. ), tutti sistemi che evidenziano una efficienza nettamente superiore a quello della nostra giustizia. Da noi il CSM ha ritenuto, come abbiamo dianzi visto, che se ne potesse fare a meno a partire da quello eletto nel lontano 1968.

E’ possibile immaginare che l’assenza di reali e competitive valutazioni della professionalità non sia tra le principali cause dell’inefficienza della nostra giustizia? Equivarrebbe ad affermare che il concorso in magistratura, peraltro di scarsissima attendibilità selettiva , abbia virtù divinatorie o magiche, cioè sia di per sé sufficiente a garantire crescita professionale e impegno lavorativo per i successivi 40/45 anni di permanenza in servizio. Sarebbe lo stesso che affermare che il permanere di sistemi di selezione competitiva negli altri paesi dell’Europa continentale non abbiano alcuna rilevanza nello spiegare la loro maggiore efficienza, ma siano solo l’espressione di un orientamento sadico di quei paesi nei confronti dei loro giudici (ad esempio, la Germania ove solo tra il 5-10% dei giudici vien giudicato “eccellente”, e ove solo tra questi giudici viene scelto il ristretto numero di coloro che raggiungono i vertici della carriera ; la Francia ove solo l’8% dei magistrati raggiunge il livello “fuori gerarchia” comprensivo dei magistrati di cassazione e dei dirigenti degli uffici giudiziari più importanti ). Aggiungo che nel corso delle numerosissime interviste da me fatte negli anni passati negli uffici giudiziari numerose sono le testimonianze di magistrati che segnalavano lo scarso impegno di colleghi e ne facevano risalire la causa all’assenza di reali valutazioni della professionalità e diligenza. Un fenomeno confermato dalle mie esperienze di Consigliere del CSM. Alcuni magistrati lo hanno dichiarato pubblicamente pagandolo a caro prezzo, vedendosi poi negare dal CSM incarichi per cui erano pienamente legittimati. Tra essi Corrado Carnevale che venne denunziato per vilipendio della magistratura dalla procura di Agrigento (il ministro della giustizia non diede l’autorizzazione a procedere), e Giovanni Falcone il quale subì anche una dura reprimenda da parte del Comitato direttivo centrale dell’ANMI per aver detto in un pubblico convegno che: “occorre rendersi conto, infatti, che l’indipendenza e l’autonomia della magistratura rischia di essere gravemente compromessa se l’azione dei giudici non è assicurata da una robusta e responsabile professionalità al servizio del cittadino. Ora, certi automatismi di carriera …. sono causa non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura. La inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il CSM ed i consigli giudiziari, ha prodotto un livellamento dei magistrati verso il basso”.

In un sistema ove tutti raggiungono, a prescindere da sostanziali valutazioni della professionalità, il massimo livello della carriera e del trattamento economico, ciò che sorprende non può certo essere l’esistenza di quei fenomeni di scarso impegno e di mediocrità di cui parla Falcone, quanto piuttosto deve destare meraviglia ed ammirazione il fatto che, nonostante l’assenza di stimoli e riconoscimenti istituzionali, vi siano comunque numerosi magistrati di alta professionalità ed impegno lavorativo, che resistono alla demotivazione di vedere anche i meno impegnati ricevere le loro stesse elevate valutazioni e gratificazioni di carriera ed economiche. Non dirò, come si usa, che quei meritevoli magistrati sono la grande maggioranza, perché non lo so, così come non lo sanno neppure coloro che lo affermano. Ricordo invece che un noto studioso di sistemi giudiziari, Arthur Vanderbilt, diceva che per una funzione tanto delicata quale quella del giudice, la mediocrità è più pericolosa della stessa corruzione, perché è molto meno facile da individuare e molto più difficile da rimuovere.

Fin qui ho considerato solo una delle gravi disfunzioni che derivano dall’abolizione di fatto delle valutazioni di professionalità. Il venir meno di queste valutazioni che, come abbiamo visto, è una delle caratteristiche strutturali di tutte le altre organizzazioni che reclutano giovani laureati senza precedenti esperienze professionali che rimangono in servizio per la loro intera vita lavorativa, ha generato anche altre conseguenze disfunzionali di natura sistemica nel nostro assetto giudiziario. Mi limiterò ad indicarne sommariamente tre: l’ampliamento dell’ambito di applicazione del principio costituzionale dell’inamovibilità; le difficoltà che si incontrano nella destinazione dei magistrati alle varie funzioni ed il fenomeno del correntismo; l’erodersi dei confini tra magistratura e classe politica. Prima di farlo ritengo tuttavia opportuno soffermarmi a considerare due aspetti del sistema di valutazione sin qui descritto. Il primo riguarda la sua efficienza ed il secondo riguarda le implicazioni di natura istituzionale che da esso di fatto derivano.

Quanto al primo aspetto si può osservare che le valutazioni di professionalità vengono effettuate dal CSM con ritardi che superano l’anno, ed spesso anche i due anni. La cosa non può certo sorprendere se si considerano le moltissime informazioni che la legge e le circolari del CSM prevedono sia necessario raccogliere su ogni candidato, nonché la pluralità di soggetti che a tale raccolta e valutazione deve concorrere. Chiunque voglia leggere le dettagliate norme di legge in materia e le ancor più dettagliate disposizioni della circolare del CSM non può che rimanere colpito dalla invasività delle valutazioni e dal rilevantissimo investimento di risorse umane e materiali che la procedura di valutazione impone. Questo rilevante investimento di regola si conclude, come abbiamo dianzi visto, con valutazioni che sono, tutte altamente positive. Le uniche eccezioni riguardano i candidati coinvolti in procedimenti disciplinari o penali. Non credo sia fuori luogo domandarsi se il notevole investimento di risorse umane e materiali che viene fatto per le valutazioni di professionalità sia giustificato, salvo a non voler ritenere che la conoscenza dell’accuratezza ed analiticità delle valutazioni previste dalle norme primarie e secondarie cui saranno sottoposti non generi di per sé in tutti i magistrati condotte professionali di notevole qualità e solerzia.

Passo ora ad indicare tre questioni di rilievo istituzionale che si collegano al sostanziale venir meno di reali valutazioni della professionalità:

a) La nostra Costituzione, con l’art. 105, assegna esplicitamente al CSM il compito di effettuare le “promozioni” dei nostri magistrati; promuovendo di regola tutti i magistrati in base all’anzianità, il CSM si è reso responsabile, a me sembra, di una sostanziale violazione del dettato costituzionale, salvo a non voler ritenere che il nostro Costituente volesse dare al termine “promozioni” un significato radicalmente diverso da quello che ha nella lingua italiana.

b) L’avversione alle promozioni da parte della magistratura organizzata e delle sue rappresentanze nel CSM non si è limitata a eliminarle nella sostanza, ma ha prodotto l’eliminazione stessa del termine “promozione” dai documenti ufficiali del CSM, quasi fosse disdicevole usare quel termine con riferimento ai magistrati. Il termine da molti anni non appare più né nelle delibere del CSM né nei suoi verbali, e neppure nella elencazione dei compiti assegnati alle sue commissioni referenti.

c) Nella legge n. 111/2007 viene accolta una richiesta di lunga data dell’ANM con l’introduzione di un nuovo sistema di valutazione quadriennale della professionalità ove non si fa più alcuna menzione delle qualifiche che fino ad allora avevano mantenuto in vita, sia pur solo formalmente, una parvenza di carriera basata su promozioni (cioè le qualifiche di “magistrato di appello”, di “magistrato di cassazione” e di “magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori”). Nella nuova legge non solo non si parla più di promozioni ma non si riesce neppure più ad individuare quali siano i momenti del nuovo sistema di valutazione dei magistrati in cui vengano, seppur solo formalmente, effettuate le promozioni. A me sembra quindi che la legge del 2007 abbia, anche formalmente, abrogato con legge ordinaria uno dei compiti assegnati al CSM dall’art. 105 della Costituzione, e cioè quello di effettuare le “promozioni” dei magistrati. Scrissi un articolo di giornale a riguardo che venne letto in Parlamento da un parlamentare prima del passaggio di quella legge. Alcuni lo trovarono interessante ma nessuno diede rispose nel merito. Quell’articolo è stato poi anche pubblicato su Quaderni Costituzionali. Sono ancora in attesa di qualcuno che mi dica che sbaglio e perché.

2.1. Ampliamento dell’ambito di applicazione del principio di inamovibilità.

Nei paesi democratici il principio di inamovibilità è previsto non come un privilegio dei magistrati ma come un necessario strumento per evitare che i trasferimenti dei giudici possano essere utilizzati per influenzare indirettamente le decisioni giudiziarie (a differenza degli altri paesi da noi il principio di inamovibilità vale anche per i PM). L’esigenza di coprire tutte le vacanze che si creano negli uffici giudiziari viene in altri paesi democratici comunque garantita fissando scadenze fisse in cui i trasferimenti di ufficio (cioè non richiesti dai magistrati) sono consentiti. Come negli altri paesi anche da noi vi erano, fino all’inizio degli anni 1960, scadenze fisse che consentivano trasferimenti di ufficio: nei primi 5 anni della carriera ed in corrispondenza delle promozioni alle funzioni superiori (i magistrati potevano evitare il trasferimento solo rinunziando alla promozione – cosa che non avveniva quasi mai). Con questo assetto della carriera neppure in Italia si sarebbero potuti verificare quei fenomeni di “scopertura” negli uffici sgraditi ai magistrati che ci affliggono da anni.

Le valutazioni di professionalità e le promozioni decise negli ultimi 45 anni con riferimento quasi esclusivo all’anzianità di servizio ha fatto sì che si venisse progressivamente a creare, un numero molto elevato di magistrati che dopo la promozione rimangono ad esercitare le precedenti funzioni giudiziarie. Venuta meno la mobilità nei primi 5 anni di carriera e la corrispondenza temporale tra promozioni e obbligatoria destinazione all’esercizio di funzioni giudiziarie “più elevate” i magistrati che vengono promossi e che rimangono ad esercitare le precedenti funzioni, cioè tutti, non possono più essere trasferiti di ufficio senza violare il principio di inamovibilità. Una volta ottenuta una sede e/o una funzione gradita, i magistrati possono conservarla per tutto il rimanente corso della loro lunga vita lavorativa, fino al pensionamento. Nel nostro Paese, cioè, l’esigenza di coprire sedi vacanti per assicurare il normale funzionamento della giustizia ha perso di fatto qualsiasi rilievo, qualsiasi valore, rispetto ad un’applicazione del principio di inamovibilità che copre l’intero arco della vita lavorativa del magistrato. Le sedi del primo livello giurisdizionale che non sono gradite possono esser coperte, e sono da molto tempo sempre coperte, solo con magistrati di prima nomina senza precedenti esperienze professionali. A me sembra, e forse non solo a me, che in tal modo il principio di inamovibilità giustamente previsto dal Costituente con la finalità di tutelare indipendenza e terzietà del giudice da noi si sia di fatto trasformato in un disfunzionale privilegio corporativo che impedisce di coprire le vacanze di organico negli uffici meno graditi ai magistrati. E’ un fenomeno che affligge da molti anni numerose sedi giudiziarie. Ed i vari interventi normativi, per risolvere questa disfunzione (che qui non abbiamo il tempo di ricordare ) si sono sinora dimostrati inefficaci , anche per l’avversità ai trasferimenti c.d. “coatti” della magistratura organizzata e delle sue rappresentanze in Consiglio.

Per la verità la scopertura degli uffici meno graditi potrebbe essere in parte evitata se il CSM desse una interpretazione meno compiacente dell’art. 194 dell’Ordinamento giudiziario il quale prevede che i magistrati non possano chiedere di essere trasferiti ad altra sede prima che siano trascorsi tre anni dal momento in cui hanno assunto possesso della sede in cui si trovano. Allo scadere dei tre anni, infatti, il CSM spesso trasferisce i magistrati a sedi da loro più gradite senza tener conto delle scoperture che così crea negli uffici sgraditi.

2.2. Correntismo, trasferimenti e destinazione alle varie funzioni.

Perché il fenomeno del c.d. correntismo ha assunto dimensioni tanto visibili solo nel nostro Paese? Anche questo fenomeno è strettamente collegato al venir meno di reali valutazioni della professionalità dei magistrati. La principale ragione del suo apparire e consolidarsi nel tempo sta, cioè, nel fatto che al momento di decidere tra le domande, a volte numerose, di trasferimento a funzioni e/o a sedi più gradite, la documentazione ufficiale sui singoli candidati spesso non fornisce ai consiglieri del CSM informazioni utili a scegliere chi abbia le capacità e le caratteristiche professionali più adatte allo svolgimento di specifiche funzioni. Secondo i documenti disponibili i candidati sono di regola tutti di grande qualificazione professionale e di alta diligenza, senza graduatorie di merito. Di necessità, quindi, le scelte sono molto spesso caratterizzate da margini di discrezionalità molto ampi. Una discrezionalità che ha generato e consolidato nel tempo il c. d. correntismo e le disfunzioni ad esso direttamente collegate sotto almeno tre profili.

In primo luogo perché l’assenza di valutazioni di professionalità attendibili e differenziate da un canto fa spesso dipendere il successo dei candidati dall’efficacia con cui vengono appoggiati dai rappresentanti della propria corrente che siedono in Consiglio, dall’altro spinge i magistrati a considerare l’appartenenza correntizia come condizione necessaria per ottenere decisioni consiliari a loro favorevoli. Ciò si verifica con particolare evidenza quando si tratta di incarichi direttivi e di trasferimenti alle sedi giudiziarie più gradite, ed a volte induce il CSM persino ad assumere modalità decisorie non conformi alla legge.

In secondo luogo perchè le decisioni discrezionali frutto di appoggi correntizi sono spesso sorrette, nel dibattito consiliare che le precede, da motivazioni insufficienti e contraddittorie. Ciò ha generato un numero crescente di ricorsi al giudice amministrativo contro le decisioni del CSM (intorno ai 250 l’anno), ricorsi che spesso hanno successo e costringono il CSM a modificare le sue decisioni. Il che è sovente accaduto persino con riferimento a incarichi giudiziari apicali: basti ricordare che negli ultimi 6 anni la nomina dello stesso Primo presidente della Corte suprema di cassazione e di due presidenti di sezione della Corte stessa è stata imposta al CSM da decisioni del giudice amministrativo. Di recente sono state annullate anche le nomine a Procuratore aggiunto e Presidente aggiunto della Corte di cassazione. In terzo luogo perché l’assenza di elementi di valutazione su cui basare con relativa certezza le proprie decisioni è particolarmente gravosa per i consiglieri laici i quali, per avere informazioni più attendibili sui candidati in lizza, non possono che fare affidamento sui giudizi offerti loro dai consiglieri togati delle diverse correnti, e finire quindi di necessità coinvolti essi stessi nella morsa del correntismo.

L’assenza di elementi di valutazione attendibili su cui basare le decisioni sui trasferimenti e le nomine agli incarichi direttivi, il ruolo che di conseguenza giocano le correnti nel processo decisorio, i ritardi che ne conseguono e le conseguenze gravemente disfunzionali che producono negli uffici giudiziari sono ben rappresentati in una lettera che il Presidente della Repubblica Ciampi indirizzò al CSM il 22 febbraio 2006. In tale lettera si analizzavano, uno per uno, i ritardi con cui il CSM aveva provveduto a coprire i posti direttivi, semidirettivi ed i trasferimenti per i posti che si rendono vacanti negli uffici giudiziari. La lettera del Presidente Ciampi contiene allegati in cui si considerano analiticamente i ritardi. Da essi risulta, ad esempio, che dei 38 posti direttivi pubblicati prima del luglio 2002 in due casi il CSM aveva deliberato dopo due anni dalla pubblicazione della vacanza, in 16 casi dopo un anno e mezzo, in 12 casi dopo oltre un anno e solo in 13 casi tra i 9 mesi ed un anno. Vengono quindi indicati i ritardi nei casi pendenti per i posti direttivi, per quelli semi-direttivi, per i trasferimenti. Tra l’altro si segnala che 3 posti semidirettivi non erano ancora stati assegnati nonostante fosse trascorso più di un anno e mezzo dalla loro pubblicazione e che 12 posti degli uffici giudiziari di primo grado erano vacanti da circa due anni.

Nella sua lettera sui ritardi che caratterizzano le decisioni del CSM e nel discorso pronunziato in Plenum il 26 aprile 2006, il Presidente Ciampi collega esplicitamente i ritardi alla conflittualità tra le correnti della magistratura rappresentate in Consiglio. Si tratta di una conflittualità tra le correnti per assicurare decisioni gradite o evitare decisioni sgradite ai magistrati della propria corrente. Si tratta di una conflittualità che, come riconoscono anche molti magistrati, rende spesso difficoltosa l’assunzione di decisioni nell’intero sistema di autogoverno della magistratura, cioè non solo nel CSM ma anche nei Consigli giudiziari dei distretti di corte d’appello, e nelle decisioni organizzative che si assumono negli stessi uffici requirenti e giudicanti.

Che questi fenomeni disfunzionali si colleghino direttamente al venir meno di attendibili valutazioni della professionalità e a attendibili graduatorie di merito non lo indica solo il fatto che essi non si verificano in altri paesi con sistema giudiziario simile al nostro, paesi ove il ricorso al giudice amministrativo su trasferimenti e nomine agli uffici direttivi è un evento raro. Lo dimostrano anche le stesse decisioni del CSM riguardanti i trasferimenti e l’assegnazione di incarichi direttivi ad uno sparuto numero di magistrati (in tutto 80) che tra il 1962 ed il 1977 avevano vinto concorsi per esami, impegnativi ed altamente selettivi, per la promozione a magistrato di appello e magistrato di cassazione . Questi concorsi erano stati avversati dalla magistratura organizzata e dalle sue rappresentanze in Consiglio, contrari a qualsiasi forma di selezione. Ciò nonostante, nessuno dei trasferimenti e dei prestigiosi e ambiti incarichi direttivi assegnati dal CSM a quei magistrati tra gli anni 1970 ed il 2006 è mai stato contestato in Consiglio né le decisioni a loro favore prese dal CSM sono mai state portate a giudizio di fronte al giudice amministrativo. Non lo consentiva l’esistenza di chiare e reali valutazioni e graduatorie del merito professionale.

2.3. Esperienza giudiziaria, attività extragiudiziarie ed erosione dei confini tra magistratura e classe politica.

Nella sua determinazione a voler promuovere tutti i magistrati allo scadere delle anzianità minime previste dalla legge per passare da un livello della carriera all’altro il CSM incontrò inizialmente un ostacolo nell’art. 98 della Costituzione il quale prevede che i dipendenti pubblici “se sono parlamentari non possono conseguire promozioni se non per anzianità”. Vero si è che il CSM ormai effettuava di fatto le promozioni sulla base dell’anzianità di servizio, purtuttavia per legge esse rimanevano formalmente promozioni “per merito”. Come fare a promuovere i 4 o 5 magistrati che allora sedevano in Parlamento e che tanto si erano dati da fare per sostenere le nuove leggi sulle promozioni (tra l’altro, il relatore alla Camera dei deputati della c.d. legge Breganze era stato un magistrato parlamentare, Mario Valiante). Ero all’epoca consulente del CSM e ricordo che scherzosamente -ma non tanto- si diceva che non si poteva non accogliere il “grido di dolore” che proveniva dai magistrati parlamentari in attesa, anche loro, della promozione. La soluzione fu presto trovata. Contraddicendo l’interpretazione che sino ad allora era stata data al divieto fissato dall’art 98, all’inizio degli anni 1970 il CSM decise che i magistrati non potevano essere definiti “pubblici dipendenti” e che pertanto quell’articolo non vietava che i magistrati parlamentari potessero essere promossi per meriti giudiziari. Dopo di che negli ultimi 40 anni li ha sempre promossi tutti. E’ importante ricordare, per il segnale che diede a tutti magistrati, che in prima applicazione di quella nuova ed “ardita” interpretazione dell’art. 98, il CSM promosse retroattivamente, per meriti giudiziari, fino ai vertici della carriera due magistrati che da oltre 20 anni erano in Parlamento (Oscar Luigi Scalfaro e Brunetto Bucciarelli Ducci), i quali fino ad allora erano rimasti ai livelli più bassi della carriera. Così divenne immediatamente chiaro a tutti i magistrati che si poteva entrare in politica ed ottenere i vantaggi a ciò connessi senza rinunziare a nessuno dei vantaggi della carriera giudiziaria. Compreso quello di vedersi calcolare dal CSM gli anni di attività parlamentare come fossero anni di servizio giudiziario e prevalere quindi, nell’assegnazione di importanti incarichi, su colleghi che avevano una maggiore esperienza giudiziaria effettiva.

Per paradossale che possa sembrare divenne altresì chiaro a tutti i magistrati che la stessa esperienza nel lavoro giudiziario non era più un fattore essenziale nella valutazione della loro professionalità qua magistrati.

Nelle varie elezioni nazionali abbiamo quindi avuto numerosi magistrati nelle liste elettorali dei vari partiti (fino ad un massimo di 50) e numerosi magistrati eletti membri del Parlamento (fino ad un massimo di 27), membri del Parlamento Europeo, magistrati ministri, magistrati sottosegretari, magistrati presidenti di regione, magistrati sindaci di grandi e piccole città, magistrati assessori regionali e comunali. Persino un magistrato eletto segretario nazionale di un partito politico (e poi tornato a fare il magistrato) ed uno coordinatore regionale di un altro partito. Vi sono poi una pluralità di incarichi a tempo pieno che di regola, anche se non sempre, vengono deliberati dal CSM su richiesta o con l’appoggio di uomini politici: magistrati distaccati in vari ministeri, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presso la Presidenza della Repubblica, magistrati consulenti di commissioni parlamentari, magistrati capi di gabinetto e delle segreterie di ministri e sottosegretari, magistrati in posizioni direttive al Ministero della giustizia (sempre intorno ai 100), magistrati componenti di varie Autorità indipendenti, magistrati presso organismi internazionali o anche ambasciate, numerosi magistrati come assistenti di studio di tutti i giudici costituzionali (queste posizioni sono da tempo monopolio di magistrati ordinari). Mi fermo qui perché la lista dei vari tipi di incarico sarebbe eccessivamente lunga. Aggiungo solo che sarebbe troppo riduttivo considerare che la confusione che si è venuta creando tra magistratura e classe politica si possa rappresentare solo con riferimento ai molti casi in cui i magistrati hanno assunto direttamente un ruolo di rappresentati di partiti politici o hanno ottenuto i loro incarichi con l’appoggio di uomini di partito. E’ solo ovvio che non tutti coloro che si rivolgono ai politici per ottenere quelli ed altri ambiti incarichi riescono poi ad ottenerli.

Non può quindi destare meraviglia che la rimozione da parte del CSM di tutti gli ostacoli che tradizionalmente avevano impedito di promuovere fino al vertice della carriera tutti i magistrati che svolgono per anni e a tempo pieno funzioni diverse da quelle giudiziarie abbia spinto molti di loro a ricercare incarichi a tempo pieno – di natura politica e non - che procurano spesso vantaggi economici. Il CSM ha sempre accolto con favore le richieste di altre istituzioni pubbliche. Non solo. A volte il CSM ha persino lamentato il fatto che varie istituzioni non avessero chiesto la collaborazione di magistrati. In una sua delibera del luglio 2006, infatti, il CSM si è formalmente impegnato a farsi promotore di una più numerosa presenza dei magistrati italiani presso gli organismi internazionali e a tal fine si è anche formalmente impegnato a svolgere una “corretta attività di lobbying istituzionale” . Ha inoltre istituito uno speciale albo dei magistrati “da destinare ad attività di rilievo internazionale”.

Varie e di diversa natura sono le disfunzioni sistemiche generate dall’insieme delle attività extragiudiziarie, non solo quelle elettive e di rappresentanza politica, ma anche quelle con cui il CSM concede ai magistrati di svolgere a tempo pieno o parziale attività diverse da quelle giudiziarie. E’ solo ovvio che consentendo a circa 220 magistrati di svolgere funzioni a tempo pieno presso altri organismi, deliberando di regola più di 1500 incarichi extragiudiziari all’anno e concedendo esoneri dal lavoro giudiziario (di regola dal 30 al 50%) ad oltre 450 magistrati , Il CSM sottrae una notevole quantità di energie lavorative agli uffici giudiziari, con ciò stesso aggravando ulteriormente la crisi di funzionalità di cui soffre il nostro apparato giudiziario.

Sono di tutta evidenza anche i pericoli che pone all’indipendenza l’esistenza di tanti incarichi ed attività extragiudiziarie che ai magistrati sono offerti dall’esterno e che spesso sono loro elargiti in varie forme e modi da uomini politici. La presenza di numerosi magistrati in tutti i gangli decisionali che si occupano di giustizia, inoltre, pregiudica gravemente il corretto funzionamento dei pesi e contrappesi su cui si regge una efficiente divisione dei poteri; una presenza che è sinora stata in vari modi capace di servire gli interessi corporativi dei magistrati (sia per promuovere le riforme volute che per impedire quelle sgradite). Di tali disfunzioni mi sono occupato più volte negli ultimi quaranta anni e trattarne anche in questa sede trascenderebbe gli obiettivi di questa relazione . Voglio tuttavia aggiungere che la recente legislazione in materia di attività extragiudiziarie dei magistrati lungi dal porre dei freni le legittima ed incoraggia ulteriormente, in particolare quella che riguarda l’attività politica. Faccio un solo esempio.

La legge n. 111 del luglio 2007 recepisce le prassi a lungo praticate dal CSM e stabilisce che tutti i magistrati che svolgono a tempo pieno funzioni diverse da quelle giudiziarie vengano promossi dal CSM sulla base di valutazioni di professionalità predisposte dagli organismi presso i quali prestano la loro opera a tempo pieno (Parlamento, Presidenza del Consiglio dei ministri, ministri, giunte comunali o regionali, ecc.). Così si è accolta a livello legislativo l’interpretazione dell’art. 98 della Costituzione data dal CSM 37 anni prima. Nessuno è andato a verificare, né al Ministero della giustizia, né in Parlamento, né nell’ambito accademico, se vi fossero indicazioni a riguardo nei lavori della Assemblea Costituente. Se lo avessero fatto avrebbero scoperto che effettivamente i padri costituenti davano per scontato che i magistrati fossero compresi tra i “pubblici dipendenti” e che quindi, a loro autorevole avviso, non potevano essere promossi per merito mentre erano parlamentari.

Mi sembra opportuno effettuare due riflessioni su quanto sin qui detto.

La prima. A me sembra non solo contraddittorio ma anche una vera e propria irrisione del valore dell’indipendenza che due diverse leggi di iniziativa governativa, predisposte dal Ministero della giustizia, prevedano da un canto il divieto ai magistrati di iscriversi a partiti politici , e dall’altro espressamente stabiliscano che non solo possano diventare parlamentari ed assumere altri ruoli i nella politica partigiana e poi tornare tranquillamente a svolgere funzioni giudiziarie. Eventualmente anche (come è capitato) esprimere condanne nei confronti di politici avversi alla parte politica che per anni hanno rappresentato in Parlamento.

La seconda. A me sembra che far valutare la professionalità dei magistrati dal Presidente del consiglio dei ministri, dai ministri, dalle giunte regionali dalle amministrazioni comunali e regionali, dal Parlamento Italiano e della Unione europea, da ambasciatori e altri soggetti istituzionali esterni alla magistratura, non solo non possa garantire un qualificato giudizio sulla professionalità dei magistrati ma sottolinei anche in questo modo l’irrilevanza che viene attribuita alla valutazione professionale dei magistrati. Non solo, a me sembra anche, e forse non solo a me, che l’utilizzazione da parte del CSM di valutazioni effettuate da organismi esterni (ministri, presidenti del Consiglio, organi regionali e comunali, ambasciate, Parlamento, ecc.), per decidere de plano promozioni e valutazioni della professionalità dei magistrati sia a dir poco inappropriato sotto il profilo della stessa tutela dell’indipendenza.

3. Il CSM come vertice organizzativo della magistratura.

Al pari di quanto avviene in qualsiasi organizzazione, le modalità con cui vengono esercitate le funzioni di supervisione, coordinamento e controllo hanno un notevole rilievo anche nel determinare la maggiore o minore funzionalità dei sistemi giudiziari. Le analisi degli assetti di governo del personale togato dei paesi di civil law dell’Europa continentale che hanno sistemi giudiziari simili al nostro mostrano le notevoli differenze che esistono tra gli altri paesi ed il nostro quanto alle modalità con cui quelle funzioni vengono esercitate con riferimento alle attività di giudici e pubblici ministeri.

Per quanto riguarda i pubblici ministeri (PM) le modalità con cui vengono svolte quelle funzioni in Italia sono radicalmente differenti dagli altri paesi ove la pubblica accusa ha una struttura gerarchica ed unitaria al cui vertice si trova un soggetto investito della responsabilità politica per le scelte di politica criminale in materia di indagini ed iniziativa penale (solitamente, ma non sempre, si tratta del Ministro della giustizia ). Le principali disfunzioni che in Italia derivano da queste differenze nell’assetto del PM, le ho analizzate altrove, e non dipendono certo dal CSM. Tuttavia il CSM, come vedremo, ha, con suoi orientamenti e le sue decisioni, attribuito a quelle disfunzioni una particolare pregnanza. A differenza degli altri paesi, in Italia giudici a PM hanno uno status e un governo del personale tra loro quasi coincidenti è, quindi, necessario trattare le modalità di esercizio delle funzioni di supervisione, coordinamento e controllo congiuntamente per giudici e PM, indicando, quando del caso, le limitate divergenze.

In termini generali si può dire che la principale differenza tra le modalità con cui vengono esercitate quelle funzioni da noi ed in altri paesi, dipende dalla diversa collocazione istituzionale delle decisioni relative al governo del personale. Nell’economia di questo lavoro non è certo possibile effettuare sistematiche analisi comparate con gli altri paesi, che peraltro già esistono e che consentono di verificare quanto vado dicendo.

La più macroscopica differenza nella distribuzione delle funzioni di governo del personale è che negli altri paesi si ritiene che per essere efficaci esse debbano essere organizzativamente collocate in rilevante misura in prossimità di coloro che devono essere valutati, supervisionati e coordinati e che comunque le funzioni di valutazione professionale devono essere svolte, come abbiamo già detto, da magistrati la cui competenza è stata accertata da reali vagli di professionalità. In Francia e Belgio, per esempio, i giudizi finali sulla professionalità non sono affidate come da noi ai rispettivi Consigli superiori della magistratura ma ad organismi composti in prevalenza da magistrati di comprovata professionalità.

In momenti particolari delle valutazioni, come ad esempio quelle che riguardano l’assegnazione delle funzioni, intervengono poi anche soggetti esterni all’amministrazione della giustizia. E’ certamente il caso di Germania e Francia , così come degli altri paesi dell’Europa continentale. Da noi, invece, anche a seguito di decisioni della Corte Costituzionale, nessun organo esterno al potere giudiziario partecipa a decisioni che riguardano lo status dei magistrati. Inoltre, come abbiamo già visto, a partire dalla metà degli anni 1960 i poteri di valutazione professionale, sorveglianza coordinamento e controllo sono state in vario modo trasferiti dai dirigenti degli uffici e dalle mani di un ristretto numero magistrati di riconosciuta professionalità ad organi collegiali di natura prevalentemente elettiva, e cioè: il CSM, composto in grande maggioranza da magistrati eletti in maniera indifferenziata da tutti i loro colleghi , nonché ai consigli giudiziari distrettuali, di natura consultiva, composti da magistrati anch’essi prevalentemente eletti dai colleghi. Le conseguenze disfunzionali di questa scelta, quelle dirette e quelle da essa determinate, le abbiamo considerate dianzi solo con riferimento alle valutazioni di professionalità e alle conseguenze disfunzionali che ne sono derivate.

La considerevole concentrazione dei poteri di supervisione, valutazione e coordinamento nelle mani del CSM ha, tuttavia, una dimensione che va ben oltre quella che riguarda le valutazioni di professionalità. Molteplici sono, infatti, gli strumenti con cui il CSM determina, influisce, condiziona, supervisiona l’attività degli uffici giudiziari, gestendo direttamente poteri e funzioni che in altri paesi sono in buona misura gestiti dai capi degli uffici ai vari livelli della giurisdizione. Indichiamo sommariamente i più rilevanti tra quelli che più direttamente si collegano alla visione che il CSM ha di sé come “vertice organizzativo della magistratura”, e cioè: a) i poteri in materia di “tabelle” (organizzazione interna) degli uffici giudiziari giudicanti e requirenti; b) l’interpretazione autentica delle norme che regolano i rapporti tra i magistrati ed il loro status all’interno degli uffici giudiziari; c) le ispezioni e le visite presso gli uffici giudiziari; d) la convocazione dei magistrati presso il Consiglio; e) la creazione di nuovi ruoli organizzativi all’interno degli uffici giudiziari e la nomina dei loro componenti; f) gli esoneri dal lavoro giudiziario.

3.1. I Poteri del CSM in materia di organizzazione interna degli uffici giudiziari.

Da vari decenni il CSM ritiene che rientri tra i propri poteri quello di regolare analiticamente le modalità con cui i capi degli uffici giudiziari, sia giudicanti che requirenti, decidono in materia di organizzazione interna dei loro uffici, in materia di distribuzione del lavoro, di sostituzioni in caso di assenze, dei trasferimenti all’interno degli uffici, delle relazioni tra i magistrati dell’ufficio ed il capo dell’ufficio stesso, con una marcata tendenza a ritenere che la partecipazione di tutti i magistrati alla definizione delle modalità di funzionamento dell’ufficio di appartenenza sia condizione necessaria per una gestione degli uffici efficiente e rispettosa dell’indipendenza dei singoli giudici e dei singoli pubblici ministeri. Che quindi rientri tra i doveri dei dirigenti degli uffici promuovere assemblee, incontri e consultazioni in materia. Che inoltre rientri tra i diritti dei magistrati che compongono ogni ufficio vi sia quello di segnalare ai Consigli giudiziari ed al CSM le loro osservazioni e doglianze a riguardo delle scelte organizzative dei capi degli uffici e vi sia anche quello di richiedere la convocazione dell’assemblea dell’ufficio per discutere qualsiasi problema di assetto e funzionamento dell’ufficio stesso, comprese le modalità con cui il capo dell’ufficio dovrebbe o non dovrebbe esercitare il suo ruolo di dirigenza.

Questi orientamenti del CSM avevano ed hanno tra le principali motivazioni quella che la minuziosa predeterminazione delle caratteristiche organizzative e funzionali degli uffici sia necessaria non solo per tutelare l’indipendenza (interna) dei singoli magistrati, ma costituisca anche una essenziale garanzia per la effettiva tutela del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (che in una tale visione riguarda non solo il giudice ma anche il PM). Un principio che con riguardo alla magistratura inquirente-requirente dovrebbe anche garantire che non si frappongano ostacoli di ordine gerarchico all’obbligo di ciascun PM di dare piena attuazione al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Questi orientamenti organizzativi, promossi con grande impegno dall’ANM e dai suoi rappresentanti in Consiglio sin dagli anni 1970, sono sinteticamente indicati come “cultura tabellare”, un’espressione che trae origine dal fatto che i piani organizzativi degli uffici giudiziari sono detti “tabelle”. Per evidenziare il ruolo della magistratura associata e del CSM nel promuovere e conservare i poteri del Consiglio stesso quale organo regolatore dell’assetto e funzionamento interno degli uffici giudiziari è opportuno ricordare molto sommariamente come quei poteri si sono venuti evolvendo nel tempo.

a) Prima fase. Nel corso degli anni 1970 e 1980 il CSM ha emesso circolari su come i capi degli uffici dovessero regolare l’organizzazione del lavoro giudiziario, e frequenti discussioni si sono avute in Consiglio sui contrasti interni agli uffici e sulla inosservanza delle circolari del CSM. Discussioni che a volte hanno dato luogo a giudizi negativi sui capi degli uffici per l’inosservanza di quelle circolari ed all’inserimento di tali valutazioni negative nei loro fascicoli personali (anche se prima del 1988 nessuna legge attribuiva tali poteri al CSM ).

b) Seconda fase. I poteri del CSM nel regolare l’organizzazione interna degli uffici giudiziari hanno infine trovato un pieno riconoscimento normativo nel 1988 con gli articoli 7 bis e 7 ter allora introdotti nell’Ordinamento giudiziario Sono norme che non trovano esplicita previsione nel testo della legge delega per la riforma del codice di procedura penale . Sono norme il cui contenuto è, comunque, pienamente corrispondente ai desiderata del CSM e dell’ANM nel senso che riconoscono al Consiglio ampi poteri nella regolamentazione e controllo dell’assetto e funzionamento degli uffici giudiziari. Cosa questa che non può certamente sorprendere se si tiene conto del fatto che la Commissione per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale era composta quasi esclusivamente da autorevoli “rappresentanti” delle varie correnti della magistratura associata, presenti in misura proporzionale alla loro forza associativa. Anche i due professori universitari presenti in commissione rientravano in quel calcolo proporzionale: si trattava infatti di due ex magistrati, di cui uno era stato anni prima un esponente della corrente di magistratura indipendente e l’altro era “vicino” a magistratura democratica.

Vediamo ora il momento applicativo dei poteri tabellari del CSM a partire dal 1988. Prima di farlo un avvertimento al lettore. Nel trattare del periodo che va dal 1988 al 2006 ho di necessità dovuto utilizzare i tempi al passato, nonostante quanto detto per questo periodo sia, come poi vedremo, valido nella sostanza a tutt’oggi anche per gli uffici del PM, nonostante le innovazioni legislative introdotte nel 2006 per quegli uffici. In applicazione degli articoli 7 bis e 7 ter dell’Ordinamento giudiziario introdotti nel 1988, il CSM ha adottato, aggiornandole periodicamente, circolari contenenti centinaia di norme molto dettagliate in materia di organizzazione interna degli uffici giudicanti e requirenti. Per esplicita previsione di legge rientrava (e rientra) quindi tra i compiti dei dirigenti degli uffici predisporre piani organizzativi biennali (dal 2006 triennali) dei propri uffici in piena conformità a quelle norme. Nel farlo dovevano (e ancora devono) favorire la piena condivisione di quelle scelte da parte di tutti i magistrati del loro ufficio. Dovevano (e devono) quindi sottoporre il piano organizzativo al vaglio del competente consiglio giudiziario unitamente alle eventuali osservazioni critiche dei componenti del loro ufficio. Nel caso i consigli giudiziari avessero dei rilievi potevano (e possono) segnalarli al capo dell’ufficio interessato e cercare una via per risolvere le differenze. Fatto questo i Consigli giudiziari inviavano (e inviano) la proposta dei capi degli uffici giudiziari del distretto, i propri pareri e le eventuale osservazioni critiche dei magistrati componenti dei vari uffici al CSM ove l’intera documentazione viene analizzata e valutata dalla VII commissione referente prima di essere valutata dl Plenum. Anche le eventuali variazioni che si rendevano (e si rendono) necessarie nel corso del biennio dovevano (devono) essere inviate al CSM seguendo la stessa procedura. Nel caso il CSM non approvi in tutto o in parte i piani organizzativi e le eventuali successive modifiche proposte dai capi degli uffici, cosa questa alquanto frequente, il CSM forniva (e fornisce) istruzioni ai capi degli uffici per apportare le necessarie correzioni. Il Consiglio verificava (e verifica) quindi la corrispondenza dei piani organizzativi biennali (ora triennali), e delle eventuali successive variazioni, alla luce delle norme contenute nelle sue circolari, tenendo anche presenti le osservazioni critiche dei magistrati degli uffici interessati e dei competenti Consigli giudiziari.

L’indicazione sin qui fatta dei limiti posti all’autonomia decisionale dei capi degli uffici dal sistema tabellare da parte del CSM non rappresentano certo tutti i limiti ed i controlli posti alle decisioni dei capi degli uffici. Tra essi ne ricordiamo solo due:

Il primo. I trasferimenti da una posizione all’altra all’interno degli uffici devono essere gestiti dai dirigenti con appositi concorsi interni basati e motivati con riferimento a criteri trasparenti e le decisioni dei capi in materia sono comunque ricorribili presso i consigli giudiziari ed il CSM.

Il secondo. Qualsiasi avocazione di procedimenti già assegnati ad un sostituto procuratore venga disposta dal capo dell’ufficio deve essere da questi motivata e comunicata al CSM insieme alle eventuali osservazioni del sostituto interessato e del consiglio giudiziario competente. Una previsione che ha di fatto portato i capi degli uffici a rinunziare quasi del tutto all’uso di questo istituto, ed ha anch’essa contribuito all’affermarsi di quel fenomeno che va sotto il nome di “personalizzazione delle funzioni del PM”.

Già dalla sola indicazione dei molteplici passi della procedura prevista per la formulazione ed approvazione delle tabelle dei 448 uffici giudiziari di primo e secondo grado e di tutte le variazioni tabellari che si verificano nel biennio (ora triennio) emerge quanto essa sia farraginosa e dispendiosa in termini di tempo e risorse impegnate. Sono stato per tre anni membro della VII commissione referente del CSM competente in materia di tabelle e ho fatto da relatore su molte di esse e so che in numerosi casi la sola indicazione della procedura non dà l’idea di quanto il procedimento, dalla formulazione delle tabelle alla loro approvazione, possa diventare dispendiosa in termini di tempo e risorse impegnate. Cercherò di farlo meglio comprendere ricorrendo ad uno degli interventi da me fatti in Consiglio su uno dei numerosi casi dello stesso tipo. Ecco il testo:

Il Professor Di Federico ricorda che la proposta di delibera in esame giunge dopo estenuanti trattative e ripetute modifiche del testo della stessa delibera in cui grande, ed a suo avviso eccessiva, è stata la disponibilità della maggioranza della commissione ad accogliere gli emendamenti e le proposte della minoranza. Lamenta che nel corso del lungo periodo di gestazione della delibera sono emersi in tutta evidenza i veloci circuiti che collegano i componenti delle correnti della magistratura in Consiglio alle aspettative e richieste dei magistrati che operano negli uffici giudiziari. E’ peraltro un circuito che trova le sue premesse nella stessa regolamentazione delle procedure con cui vengono formate le tabelle degli uffici. E’ formalmente previsto che i componenti degli uffici giudiziari possano formulare osservazione e contestazioni sulle proposte tabellari dei capi degli uffici. Queste osservazioni o contestazioni vengono poi prese in considerazione dai consigli giudiziari competenti al momento di esprimere il parere da inviare al CSM sulle proposte di capi degli uffici. A riguardo si può spesso osservare un forte legame tra i magistrati che contestano le proposte dei loro capi e gli orientamenti dei rappresentanti della stessa corrente eletti nei consigli giudiziari. Il tutto viene poi preso in considerazione dalla VII commissione del CSM ove si prendono di nuovo in considerazione le contestazioni e si ripete lo stesso fenomeno di stretti collegamenti correntizi. E’ un sistema che sembra creato apposta per sollecitare e ingigantire i conflitti all’interno degli uffici giudiziari a tutto discapito non solo della autorevolezza e della capacità direttiva dei capi degli uffici, ma della stessa efficienza della giustizia. Quello in esame è proprio un esempio della enorme quantità di energie che è stata distratta dai compiti di ufficio per essere impegnata in un conflitto interno durato parecchi mesi, con riunioni tempestose all’interno della procura di …., predisposizione di un elevato numero di documenti, strumentali minacce di dimissioni, dichiarazioni alla stampa, ecc.. Meglio sarebbe stato se questo impegno e queste energie fossero state utilizzate nella lotta alla mafia. A suo avviso sarebbe opportuno che venissero rivisti gli articoli 7 bis e 7 ter dell’ordinamento giudiziario e contemporaneamente si rivedessero i criteri di scelta dei capi degli uffici giudiziari per garantire la loro effettiva capacità dirigenziale. A suo avviso la revisione degli articoli 7 bis e 7 ter è opportuna anche perché il compito che da essi deriva al CSM non può essere assolto con efficacia. Valga a questo riguardo ricordare che a tutt’oggi, al termine del 2003, debbono ancora essere prese in considerazione ed approvate un terzo delle tabelle organizzative degli uffici giudiziari per il 2002-2003 (al 7 ottobre 2003 erano ancora da approvare 175 tabelle). E’ difficile comprendere a cosa serva l’approvazione delle tabelle quando il biennio cui si riferisce è quasi trascorso. Per non parlare delle molte tabelle che vengono approvate a biennio già scaduto…” .

Nel corso della mia permanenza triennale nella VII commissione del CSM ho avuto occasione di discutere del sistema tabellare con alcuni dirigenti degli uffici giudiziari che conoscevo da tempo e di cui avevo grande stima. Tra le molte osservazioni critiche da loro fatte quella di ordine più generale riguardava la rigidità che quel sistema introduce nella gestione degli uffici impedendo ai dirigenti di utilizzare al meglio le risorse del proprio ufficio per far fronte con efficacia a situazioni contingenti o impreviste (che è proprio una delle funzioni organizzativamente più importanti di un dirigente). Concordavano tra loro sul fatto che queste difficoltà potevano essere superate solo se si era sicuri che la mancata aderenza alla previsioni delle tabelle non avrebbero generato aperte manifestazioni di dissenso tra i componenti del loro ufficio. Che altrimenti, per la defatiganti conseguenze di eventuali contestazioni, era organizzativamente molto più conveniente, per lo stesso buon andamento dell’ufficio, ignorare ciò che le esigenze funzionali richiedevano. Ricordo anche la dissacrante riflessione offertami da un dirigente di un grande ufficio nel quale era in corso un estenuate conflitto interno che si rifletteva negativamente sulla funzionalità del servizio: “siamo l’unica istituzione che ha mantenuto in vita e applicato concretamente due delle idee che erano proprie del movimento studentesco del ‘68 e cioè il trenta generalizzato a tutti gli studenti e le decisioni sul funzionamento dell’università prese in assemblea, ormai è così solo da noi”.

c) Terza fase. Le innovazioni in materia tabellare introdotte col d.lgs. n. 106/2006 hanno lasciato intatti i poteri del CSM in materia previsti dall’art. 7 bis dell’Ordinamento giudiziario che riguarda gli uffici giudiziari giudicanti, prevedendo tuttavia che le tabelle abbiano valenza triennale e non più biennale. Hanno invece abolito il terzo comma dell’art. 7 ter che dal 1988 conferiva al CSM il potere di regolamentare anche l’organizzazione interna degli uffici del pubblico ministero. A riguardo la nuova legge ha tuttavia stabilito che i piani organizzativi formulati dai capi delle procure della Repubblica debbano comunque essere trasmessi al CSM. Con delibere del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009 il CSM ha riaffermato la sua competenza a fornire indicazioni anche in materia di organizzazione delle procure della Repubblica richiamando esplicitamente a riguardo il suo ruolo di “vertice organizzativo della magistratura”. Ha ritenuto che nonostante la esplicita abolizione dell’art. 7 ter, la contestuale previsione che i piani organizzativi delle procure dovessero essere comunque tramessi al CSM non poteva significare che il Consiglio dovesse limitarsi ad una “presa d’atto” di quei piani. Che, quindi, il legislatore, pur abolendo l’art. 7 ter aveva comunque voluto mantenere nelle mani del CSM sostantivi poteri di indirizzo e controllo sull’organizzazione e sul funzionamento degli uffici di procura. Un ulteriore esempio della capacità del Consiglio di interpretare le leggi in termini consoni alla ideologia organizzativa della magistratura associata ed alla conservazione dei suoi poteri.

Nelle sue circolari del 2007 e 2009 dianzi indicate il CSM ha, tra l’altro, stabilito che i piani organizzativi delle procure debbano essere inviati per il parere anche ai consigli giudiziari competenti e che i piani organizzativi delle procure debbano essere, come quelle degli uffici giudicanti, di durata triennale così da consentire ai consigli giudiziari e al CSM di analizzarli congiuntamente. In quelle circolari si stabilisce che nell’esaminare anche le tabelle delle Procure il CSM potrà effettuare le sue valutazioni e, se negative, includerle nei fascicoli personali dei procuratori per essere poi tenute presenti in sede di valutazione della loro professionalità (questo avvertimento viene ripetuto più volte nelle circolari, nonché nelle relazioni e discussioni consiliari che ne hanno preceduto l’approvazione, quasi ad evitare che quel minaccioso avvertimento possa passare inosservato alle orecchie dei capi delle procure). Si tratta di giudizi negativi che avranno molto più rilievo che in passato quando l’attribuzione di un incarico direttivo era effettuata dal CSM a tempo indeterminato e le valutazioni negative, o non pienamente positive, potevano solo frustrare le aspirazioni future dei dirigenti a sedi più gradite o ad altri e più importanti incarichi direttivi. Non potevano però, in sede di valutazione della loro capacità qua dirigenti, privarli dell’incarico direttivo che già ricoprivano (salvo i rari casi di trasferimento di ufficio per incompatibilità funzionale o ambientale ). La legge del 2007 che introduce la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi – quattro anni con un solo rinnovo dello stesso incarico nello stesso ufficio – aumenta quindi di molto il rilievo delle valutazioni del CSM agli occhi dei magistrati che esercitano quegli incarichi e che aspirano a ottenerne il rinnovo per un secondo quadriennio o aspirano ad altro incarico direttivo. E’ quindi difficile dire se, ed eventualmente in che misura, l’abolizione del terzo comma dell’art. 7 ter potrà avere una reale efficacia sul piano operativo. Cioè se potrà determinare una reale diminuzione dei poteri del CSM nel determinare assetto e funzionamento degli uffici di procura e corrispondentemente ad un aumento dei poteri organizzativi dei capi degli uffici. Il contenuto delle circolari del CSM e del dibattito consigliare che ha preceduto la loro approvazione riafferma, comunque, nella sostanza gli orientamenti che avevano caratterizzato l’applicazione fino al 2006 del comma 2 dell’art.7 ter. Tra tali orientamenti anche quello che nella determinazione delle scelte organizzative i capi ufficio debbano coinvolgere preventivamente tutti i magistrati componenti dell’ufficio. Conoscendo evidentemente quanto questa gestione assembleare avesse da molti anni fortemente limitato i poteri dei capi ufficio, e forse anche per evitare che la volontà del Parlamento venisse totalmente vanificata dalle circolari del CSM, il presidente Napolitano, intervenendo in Consiglio il 9 giugno 2009, ha ammonito il CSM che il coinvolgimento di tutti i magistrati dell’ufficio nelle decisioni relative all’organizzazione dell’ufficio stesso poteva essere utile “purché non lo si intenda in chiave di condizionamento delle potestà che spettano esclusivamente..” al dirigente . Personalmente dubito che questo ammonimento avrà gli effetti voluti, e questi dubbi mi sembrano essere confermati da alcune recenti decisioni del Consiglio. Mi riferisco, ad esempio, ad un caso in cui il CSM ha deciso, nell’aprile 2012, di non rinnovare per un secondo quadriennio l’incarico direttivo di un procuratore della Repubblica. Il CSM ha riconosciuto e apprezzato che il procuratore in questione fosse riuscito, anche per un suo personale impegno, a smaltire il considerevole arretrato dell’ufficio. Ha ciononostante rimproverato il Procuratore per non aver osservato una serie di principi che il CSM ritiene necessari per una corretta gestione degli uffici e tra questi anche quello -su cui la delibera ha insistito ripetutamente- di non aver promosso “momenti di partecipazione dei sostituti all’adozione di progetti organizzativi, nella forma delle riunioni e delle assemblee dell’ufficio” e di non “aver saputo contemperare le esigenze di efficienza con quelle di trasparenza e condivisione delle scelte organizzative”.

Non si può chiudere la breve presentazione dei poteri del CSM in materia tabellare senza indicare altre attività consiliari che sono, per così dire, integrative rispetto a quei poteri, e che sono anch’esse una manifestazione del ruolo del CSM qua vertice organizzativo della magistratura. Ne indichiamo tre:

a) L’interpretazione autentica delle norme primarie e secondarie che regolano i rapporti tra i magistrati ed il loro status all’interno degli uffici giudiziari. Nel corso degli ultimi decenni i magistrati degli uffici giudicanti e requirenti si sono rivolti spesso al CSM per sapere quale sia la corretta interpretazione delle norme che regolano i rapporti all’interno degli uffici giudiziari o quali siano i comportamenti da adottare in specifiche circostanze . Tali quesiti vengono posti sia da parte dei capi degli uffici giudiziari prima di assumere decisioni gestionali che rientrano nella loro competenza, sia anche da parte dei singoli magistrati per avere informazioni sulla correttezza di decisioni o comportamenti assunti dai capi dei loro uffici . Anche questo potere, così come quello in materia tabellare, trasferisce al CSM aspetti rilevanti della gestione interna degli uffici giudiziari.

b) Le ispezioni o visite negli uffici giudiziari. Nel corso degli anni il CSM ha più volte inviato sue delegazioni presso gli uffici giudiziari per accertare la natura delle disfunzioni e tensioni nonché per prospettare al Consiglio interventi atti ad influire sulla loro soluzione o attenuazione .

c) Le convocazioni di giudici e pubblici ministeri presso il CSM (solitamente sentiti dalle commissioni competenti per materia). A volte hanno le stesse finalità delle visite presso gli uffici giudiziari, oppure servono a organizzare riunioni di magistrati che operano presso numerosi uffici al fine di accertare la natura delle difficoltà che si sono venute creando a livello operativo e/o individuare quali siano le migliori soluzioni organizzative e strumentali per far fronte alle varie “emergenze” funzionali che di volta in volta gli uffici giudiziari si trovano ad affrontare.

3.2. Creazione di organi di supporto all’autogoverno della magistratura e riduzione dei carichi di lavoro.

Tra le modalità con cui il CSM ha ampliato il suo ruolo di vertice organizzativo della magistratura -e con esso l’apparato di autogoverno della magistratura- occorre infine ricordare sia la creazione di nuovi organismi di supporto allo svolgimento di tale ruolo sia l’utilizzazione diretta delle risorse di personale togato che appartengono agli organici degli uffici. Il CSM ha creato due organismi che da lui dipendono funzionalmente e che sono composti da magistrati nominati dal CSM ma che fanno parte della dotazione organica degli uffici giudiziari. Tali sono:

a) la “struttura tecnica per l’organizzazione”, creata nel 2008. E’ coordinata dal Presidente della VII commissione del CSM ed è composta da dieci magistrati nominati dal Consiglio. Ha il compito di fornire al Csm informazioni sulla funzionalità degli uffici giudiziari e di promuovere una loro maggiore efficienza . b) il gruppo dei “magistrati referenti per l’informatica ”, creato nel 1995 e composto da 52 magistrati (2 per ogni distretto di Corte d’appello) nominati dal CSM. Hanno il compito di favorire la diffusione dell’uso degli strumenti informatici negli uffici giudiziari. Vengono periodicamente riuniti presso il CSM per verificare e promuovere le loro attività. Tra le iniziative del CSM che si connettono al suo ruolo di vertice organizzativo della magistratura vi sono anche le decisioni con cui il Consiglio stabilisce la riduzione dei carichi di lavoro di un rilevante numero di magistrati che lavorano negli uffici giudiziari. Riduzioni che non sono previste da alcuna legge e che diminuiscono le risorse a disposizione dei dirigenti degli uffici i quali, peraltro, su tali decisioni non hanno alcuna voce in capitolo. Si tratta di riduzioni del carico di lavoro che in genere variano dal 20 al 50% ma che in alcuni casi sono arrivati fino all’esonero totale dal lavoro giudiziario . Queste riduzioni del carico di lavoro riguardano un numero rilevante di magistrati, ben oltre i 450. Tra essi: i 402 magistrati eletti nei 26 consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Corte di cassazione, i 62 magistrati che compongono i due organismi dianzi indicati, i magistrati che compongono il Consiglio scientifico e i magistrati referenti per la formazione . I dirigenti degli uffici con cui ho parlato nel corso dei tre anni in cui sono stato componente della VII commissione del CSM lamentavano non solo la sottrazione di risorse umane all’attività giurisdizionale dei loro uffici ma anche il fatto che spesso le attività non giudiziarie per cui il CSM aveva concesso la riduzione dei carichi di lavoro finivano per prevalere su attività giudiziarie già programmate e generavano rinvii di notevole durata nella trattazione delle cause. Rinviare le cause per assolvere ad incarichi non giudiziari per i quali il CSM ha concesso la riduzione del carico di lavoro è peraltro considerato cosa pienamente legittima, tanto che la si indica tra le cause formali del rinvio.

3.3. CSM e dirigenza degli uffici giudiziari.

Dalle cose sin qui dette risulta evidente come all’espandersi del ruolo del CSM qua vertice organizzativo della magistratura abbia corrisposto un progressivo, pronunziato affievolimento dei poteri direttivi dei capi degli uffici giudiziari. Ciò ha anche generato, per molti anni, un orientamento a considerare di scarso rilievo il contributo che la dirigenza poteva dare al buon funzionamento degli uffici giudiziari. Di ciò è chiara testimonianza il fatto che a partire dagli anni 1970 e per vari decenni il CSM abbia nominato i capi degli uffici con riferimento quasi esclusivo alla sola anzianità di servizio o a limitate fasce di anzianità . Una pratica che unitamente al ruolo determinante giocato dalle correnti della magistratura presenti in Consiglio nel determinare la scelta dei dirigenti ha frequentemente contribuito a minare la stessa autorevolezza dei dirigenti agli occhi dei magistrati degli uffici cui venivano destinati.

Solo nell’ultimo decennio il CSM ha riconosciuto che per promuovere la funzionalità degli uffici è necessario valorizzare il ruolo dei dirigenti, un orientamento che, tuttavia non ha ancora determinato, salvo rare eccezioni, una maggiore funzionalità degli uffici. Un orientamento che per divenire efficace richiederebbe, tra l’altro, anche un ripensamento, almeno parziale, su due aspetti dell’organizzazione giudiziaria che sono tra i principali caposaldi dell’ideologia organizzativa della magistratura associata e delle sue rappresentanze in Consiglio: a) una attenuazione del ruolo del CSM come “vertice organizzativo della magistratura”; b) una attenuazione dell’assunto che le scelte relative all’organizzazione degli uffici giudiziari debbano essere ampiamente condivise o anche assunte in assemblea al fine di tutelare non solo l’indipendenza e la dignità di ogni singolo magistrato ma anche per garantire la stessa maggiore efficienza dell’ufficio. Un assunto, quest’ultimo, indimostrato e indimostrabile anche se frequentemente ripetuto nei documenti del CSM e della magistratura associata. Avendo studiato e insegnato materie organizzative in università straniere ed italiane so benissimo che varie forme di partecipazione sono state sperimentate e che a livello applicativo hanno migliorato sia il clima organizzativo che l’efficienza in molte organizzazioni. Non conosco tuttavia nessuna organizzazione ove i condizionamenti imposti alle scelte dei dirigenti siano tanto invasivi come quelli contenuti nelle circolari sulle tabelle e ove tanto presenti e ufficialmente incoraggiate siano le occasioni offerte ai componenti degli uffici per controllare e contestare con successo le decisioni dei loro dirigenti. Non esistono di certo nei sistemi giudiziari degli altri paesi europei che pur prevedono in varie forme la partecipazione dei giudici al governo del personale togato ed alle decisioni che riguardano l’organizzazione del lavoro giudiziario.

4. Considerazioni finali.

Nella prima parte di questa relazione ho videnziato come il venir meno di reali valutazione della professionalità abbia generato, tra l’altro, gravi disfunzioni nella copertura degli uffici meno graditi, abbia generato il fenomeno del correntismo e provocato gravi ritardi sia nei trasferimenti sia nella copertura dei posti direttivi, abbia generato pericolose commistioni tra classe politica e magistratura. Nella seconda parte di questa relazione ho considerato l’evolversi del ruolo del CSM come vertice organizzativo della magistratura e le molteplici disfunzioni che ne sono derivate. In entrambe le parti abbiamo visto come le modalità decisorie del CSM ed i ritardi con cui le assume generino disfunzioni negli uffici giudiziari. Abbiamo anche visto che a partire dal 1995 il CSM ha di sua iniziativa ampliato il suo apparato di autogoverno aggiungendo nuovi organismi di supporto alla sua azione e concedendo ad oltre 450 magistrati sostanziosi esoneri dal lavoro giudiziario. Con la conseguenza di sottrarre notevoli risorse al lavoro giudiziario e creare ritardi nell’amministrazione della giustizia. Non mi sono occupato di valutare il costo dell’intero apparato di autogoverno della magistratura (centrale e periferico ) perché non rientrava tra gli obiettivi di questa relazione. Non avrei comunque potuto farlo perché nessuno si è mai preoccupato di calcolarne i costi complessivi in termini di risorse umane e materiali impiegate. Sappiamo tuttavia che in nessun altro paese europeo il sistema di autogoverno della magistratura è tanto ampio, articolato, complesso e, quindi, anche tanto costoso.

Il crescente rilievo politico, sociale ed economico che il giudiziario ha assunto in tutte le democrazie ha portato numerosi paesi a ricercare soluzioni istituzionali che meglio coniughino il valore dell’indipendenza con quello della responsabilità. In Italia questo non è ancora avvenuto. In questa relazione Ho evidenziato molti degli aspetti che caratterizzano l’indipendenza della nostra magistratura e che la differenziano notevolmente da quella di altri paesi europei con assetti giudiziari simili al nostro.

Seppur sommariamente, abbiamo visto che:

a) L’Italia è l’unico paese europeo ove nessun organo esterno influisce sulle decisioni che riguardano lo status dei giudici e pubblici ministeri e che tutte quelle decisioni sono assunte in piena indipendenza dal CSM.

b) A differenza di altri paesi i nostri magistrati, per iniziativa del CSM, non sono soggetti a reali, selettive valutazioni di professionalità e raggiungono tutti, da oltre 40 anni, il massimo livello della carriera, dello stipendio della liquidazione e della pensione.

c) Di conseguenza, per volere del CSM, i nostri magistrati hanno un trattamento economico complessivo molto più elevato di quello dei loro colleghi dell’Europa continentale . Negli altri paesi, infatti, solo un percentuale molto bassa di magistrati raggiunge i livelli più elevati della carriera, dello stipendio e della pensione.

d) A differenza degli altri paesi l’inamovibilità copre l’intero arco della vita lavorativa dei nostri magistrati (non solo dei giudici ma anche dei pubblici ministeri). Che anche questa è una conseguenza delle promozioni effettuate dal CSM sulla base dell’anzianità. Una volta raggiunta una sede gradita i magistrati vi possono rimanere indefinitamente a prescindere dalle esigenze di personale togato che insorgono negli uffici giudiziari meno graditi.

e) Le attività di supervisione dell’attività dei magistrati da parte dei dirigenti degli uffici sono di gran lunga meno pregnanti di quanto non siano negli altri paesi dell’Europa continentale, soprattutto a causa del ruolo di vertice organizzativo della magistratura che il CSM si è assunto. Un ruolo che, tra l’altro, pone nelle mani dei singoli magistrati di ogni ufficio giudiziario efficaci strumenti per controllare le scelte dei dirigenti ed eventualmente ottenere che esse vengano corrette da interventi del CSM.

f) A differenza di altri paesi i nostri magistrati possono svolgere per moltissimi anni funzioni non giudiziarie (anche in rappresentanza di partiti politici) e mantenere al contempo tutti i vantaggi di carriera ed economici dei magistrati che seguitano a svolgere attività giudiziaria.

Credo bastino queste sommarie indicazioni per evidenziare come da noi l’indipendenza sia stata declinata in termini molto più corporativi che in altri paesi e che al raggiungimento di questo risultato il CSM abbia giocato un ruolo di primo piano.

Naturalmente non ho ricordato tutti i profili che differenziano la concezione dell’indipendenza della nostra magistratura da quella degli altri paesi democratici. Primo tra i quali l’indipendenza del pubblico ministero il quale può, anche di sua iniziativa, indagare su ciascuno di noi senza portarne responsabilità alcuna perché tutte le decisioni di fatto discrezionali che compie nelle indagini e nell’esercizio dell’azione penale vengono formalmente trasformate ipso jure in “atti dovuti” che gli sarebbero imposti dall’inapplicabile principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Non ignoro che negli anni recenti nell’ambito del CSM e della magistratura organizzata siano emersi orientamenti che dedicano una maggiore attenzione agli aspetti organizzativi dell’apparato giudiziario ed all’efficienza della giustizia. Finora i risultati di questi orientamenti non sono visibili sul piano del rendimento complessivo. A mio avviso è difficile che questo possa avvenire senza reintrodurre anche in Italia strumenti di valutazione dei magistrati che garantiscano ai cittadini prestazioni giudiziarie più qualificate e solerti. E’ difficile che ciò possa avvenire mantenendo immutato il ruolo del CSM quale “vertice organizzativo della magistratura” e con esso la pretesa di poter regolare, con circolari eguali per tutti, il funzionamento interno di 448 uffici giudiziari che hanno dimensioni diversissime e che operano in contesti sociali e culturali molto diversi tra di loro.

Naturalmente non sono così sprovveduto da ritenere che queste riforme siano possibili. Non sarebbero certo gradite ai magistrati e io sono ben conscio dell’elevato potere contrattuale che la loro corporazione ha acquisito nel nostro sistema politico. Delle cause di questo potere non potevo certo trattare anche in questa relazione . Ne ho però evidenziato alcuni effetti: ho mostrato il successo della magistratura nell’ottenere dal Parlamento leggi corrispondenti ai suoi interessi corporativi, ho mostrato come il CSM abbia interpretato le leggi esistenti in maniera aderente agli interessi della magistratura e come, in piena consonanza con quegli interessi e con la sua ideologia organizzativa, abbia assunto decisioni ed applicato sue normative ben prima che il Parlamento le recepisse a livello legislativo. Ho mostrato come ciò sia avvenuto anche con riferimento ad alcune norme della nostra Costituzione. Ho infatti mostrato come il CSM sia venuto incontro ai desiderata dei magistrati promuovendoli tutti in base all’anzianità di servizio, con ciò stesso disattendendo nella sostanza la previsione costituzionale che, con l’art. 105, gli assegnava il compito di effettuare le promozioni. Ho anche mostrato che variando, nel 1970, l’interpretazione sino allora data del secondo comma dell’art. 98 della Costituzione il CSM ha da allora promosso anche tutti i magistrati che diventano parlamentari consentendo loro di percorrere contemporaneamente anche la carriera giudiziaria, con tutti i vantaggi, anche economici, che ciò comporta.

Mi sono spesso domandato perché gli studiosi del diritto e in particolare i costituzionalisti non si siano mai occupati di queste interpretazioni e applicazioni di norme costituzionali in materia di Ordinamento giudiziario, quasi si trattasse di materia che appartiene al riservato dominio dei magistrati e del CSM . Un riservato dominio che si sta, peraltro, affermando anche nel campo dell’insegnamento dell’Ordinamento giudiziario, divenuto ormai quasi un monopolio dei magistrati sia nelle università sia nelle scuole di formazione delle professioni legali. Non è certo cosa buona per questa disciplina perché l’insegnamento così impartito non informa gli studenti e gli allievi delle scuole di specializzazione sulle criticità funzionali del nostro assetto giudiziario, che anzi viene di regola presentato dai magistrati in una visione panglossiana, come un modello che ci è invidiato da tutti gli altri paesi . La cosa è per me di particolare, ma rassegnato, cruccio anche perché è per mia iniziativa, sollecitata dal Prof. Mauro Cappelletti e poi appoggiata anche dal Prof. Federico Carpi, che l’autonomo insegnamento di Ordinamento giudiziario è stato introdotto (o reintrodotto) nel nostro ordinamento didattico a metà degli anni 1980, insegnamento del quale sono allora divenuto il primo cattedratico.

(*) Professore Emerito di Ordinamento Giudiziario Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35