Bluff o scacco matto?

È chiaro che un giocatore di poker, costatando la sua perdita, tenti il bluff finale per rientrare in partita, ma molto spesso gli va male e la sconfitta diventa devastante. Che in Italia, al di là di tutte le cose che si leggono o sentono dai media a sostegno del Premier, le vicende stiano sfuggendo di mano completamente, è evidente. Sfugge di mano il problema dell’immigrazione, quello delle fantomatiche riforme, della sicurezza, soprattutto quello dei conti e dell’esasperazione fiscale della gente.

Del resto, comunque la si pensi, da Monti in poi il Paese è stato sottoposto ad uno stress e ad una pressione che avrebbe schiantato un toro, figuriamoci un cavallo malandato come il nostro. Inutile insistere con il quotidiano bombardamento di notizie pseudo-positive sulla crescita, la ripresa, la tenuta dei conti, la forza in Europa, i consumi e le prospettive, perché la gente non ha bisogno dell’Istat, dei servizi televisivi o delle note di Bankitalia e delle dichiarazioni del Governo per capire quel che c’è da capire.

I cittadini sanno percepire l’aria che tira, la intuiscono guardandosi nelle tasche, girando per gli uffici pubblici, aprendo la posta tutti i giorni, facendo i conti di famiglia ogni fine mese. Proprio su queste verifiche popolari non c’è Santo che tenga, sono autentiche e precise, circostanziate e concrete, corrette alla lira si sarebbe detto una volta. Le persone, le aziende, i commercianti, gli autonomi, arrancano sempre di più, hanno problemi di credito, di contenzioso fiscale, di fatturato e di liquidità. A poco serve tentare di illudere sparando sui giornali titoli su una crescita e su una ripresa dei consumi dello zero virgola. Ci mancherebbe altro che con l’Euro in caduta sul dollaro, il petrolio ai minimi di sempre, un Quantitative easing enorme in corso, non si riuscisse nemmeno a far muovere il termometro. Con tutte queste congiunture favorevoli, un Paese che sapesse muoversi bene in politica economica crescerebbe del due o tre percento, ridurrebbe il debito in modo tangibile, farebbe salire l’occupazione di qualche punto. In Italia, invece, il debito sale ininterrottamente, la spesa non si ferma, gli indicatori positivi si muovono con percentuali bassissime.

Ecco il perché della sparata finale di Renzi, si è gettato senza paracadute di scorta sperando che non serva, ma un Paese non si governa così, una grande potenza occidentale non si guida con i bluff, l’Italia non si salva con il tredici sulla schedina. Certo che la tassa sulla prima casa (piccola o grande che sia) debba essere cancellata; è una questione di principio e di giustizia economica; certo che tutta l’architettura fiscale ha bisogno di essere rimodulata all’ingiù; certo che sulle imposte si determina il futuro di ogni Paese, ma per farlo servono risorse, coraggio, chiarezza e un punto di partenza che sia noto e trasparente. Da noi la demenzialità e la doppiezza, che ha portato per anni ad inseguire il debito con le tasse, ha creato un tale groviglio che nessuno riesce più a districare o decodificare. Per decenni sono state aumentate le voci e la pressione delle imposte tanto generare un mostro fiscale pauroso, terrificante a tal punto che oggi tra contenziosi, accertamenti, rateizzi, liti, ricorsi, incagli, cartelle di ogni tipo e da ogni parte (Equitalia Nord, Sud, Centro, ecc.), non ci si capisce più nulla. I commercialisti sono disperati e il Paese si sta avviando alla guerra fiscale totale.

Basta insistere sul terreno del cappio al collo e di far finta di non capire che il problema non è solo economico ma anche sociale. È proprio sul fisco, sulla fame della gente, sulla disperazione e soprattutto sulla sfiducia verso chi governa che, nella storia, sono nate le rivoluzioni. E gli italiani, dopo aver subìto decenni di scandali vergognosi della politica, hanno tutte le ragioni per essere sfiduciati, per non dire disgustati. “Prevenire è meglio che curare”, “non c’è peggior sordo di quello che non vuole sentire”, “fare gli struzzi non serve”, potremmo continuare con le proverbialità di antica saggezza, dopodiché, a tirare sempre di più la corda finisce che si spezza. E allora si salvi chi può. Attenzione, abbiamo scritto salvi, sia chiaro, non Salvini...

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:02