Giudici, per gli errori non basta l’indennizzo

Siamo ormai abituati ad ogni errore possibile e immaginabile che possa verificarsi nella galassia della giustizia, ma ci sono notizie che sono come un pugno nello stomaco anche a quanti si aspettano di tutto perché sono abbastanza vaccinati. Scoprire il motivo per il quale un innocente è rimasto cinque mesi in cella risulta essere comunque sconvolgente e parliamo non dell’errore di valutazione che avrebbero potuto commettere i magistrati dell’accusa e i giudici delle indagini preliminari e del riesame, ma del motivo che ha provocato il detto errore costringendo un libero cittadino a trascorre un periodo di forzato riposo in un carcere di alta sicurezza.

Ma è meglio raccontare tutto dall’inizio. Antonio Pelaggi, dirigente del ministero dell’Ambiente, in base a delle intercettazioni viene accusato di essere stato corrotto con 700mila euro. Ma la vicenda poteva considerarsi chiusa allorquando un rapporto della Guardia di finanza smentiva questa convinzione accusatoria e affermava l’assoluta onestà del manager pubblico. Ma questo rapporto per un diabolico scherzo del destino finisce seppellito in uno dei faldoni costruiti durante il percorso dell’inchiesta. Ma è solo dopo il trasferimento di essa, disposto dalla Cassazione, che rivede la luce il rapporto della Finanza e, conseguentemente, finisce il calvario del dottor Pelaggi.

Quel rapporto (redatto a fine 2011), però, non ha fatto cambiare atteggiamento ai pubblici ministeri che, imperterriti, hanno chiesto l’arresto del pericoloso “malvivente”, arresto che i giudici di prime cure hanno concesso a gennaio del 2014, successivamente hanno negato la scarcerazione, e addirittura rifiutato di spostarlo in un carcere normale anziché tenerlo segregato in un penitenziario di alta sicurezza dove era stato destinato tenendo, chiaramente, conto della sua “alta pericolosità”.

Ora, escludendo chiaramente scelte deliberatamente assunte contro il Pelaggi che è diventato, suo malgrado, il protagonista di una moderna “colonna infame manzoniana”, l’unica ipotesi che rimane in piedi è la negligenza dei pm che hanno sottovalutato quel rapporto o non lo hanno neanche letto, che si sono rifiutati addirittura di ascoltare il loro imputato malgrado ben 5 richieste avanzate dallo stesso malcapitato. Rimane soprattutto in piedi anche la negligenza dei giudici che non l’hanno neanche letto quel rapporto, fidandosi di ciò che dicevano i rappresentanti della pubblica accusa e rinunciando, sostanzialmente, ad essere terzi tra accusa e difesa.

Sono episodi come questo che distruggono la credibilità della magistratura e rilanciano l’urgenza di una vera regolamentazione della responsabilità dei magistrati, che non può esaurirsi con gli indennizzi pagati dallo Stato o dalle assicurazioni, senza ricadute importanti nello sviluppo della propria carriera come avviene per tutte le altre categorie professionali. Se per il medico, l’ingegnere e l’avvocato, per esempio, l’incapacità degli stessi viene punita dal mercato, che fugge dalle loro prestazioni, il magistrato anche se incapace continua a espletare il proprio compito.

Nel caso del magistrato incapace, il mercato non può nulla. Deve allora essere il popolo, con gli organismi che lo rappresentano (Parlamento, Presidenza della Repubblica, Governo), che deve provvedervi, perché chi sbaglia non deve poter continuare a sbagliare, ma deve semplicemente cambiare mestiere. Il caso di Pelaggi deve servire da monito.

Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 12:00