Spingendo la morte più in là

Cadono sul fronte dell’autonomia e della libertà di autodeterminazione le donne che decidono di rinunciare al finto bene del compagno, crudele dittatore in nome di una gelosia di illegittimo possesso. Anche l’inconcludente informazione ha silenziato i decessi di quelle donne torturate per anni che quotidianamente passano a miglior vita, spesso con i propri bambini. Il sangue delle perseguitate non fa più notizia ed i titoli di prima pagina vengono dedicati a quelle dispute da condominio che fanno grande l’Italia. Manifestazioni di piazza, devastazioni di aree centrali delle città, danneggiamenti di banche, negozi, auto private e arredi urbani, sono perpetrati in nome del diritto alla protesta e del dovere dei sindacati di far valere le ragioni dei loro iscritti. Le morti giornaliere, le atroci sofferenze di madri, mogli, compagne e fidanzate non fanno più notizia a meno che la vittima non sia già nota al vasto pubblico. Anche nella morte vale il successo in vita. La crudeltà del gesto letale è ancora più grave e disumana, in quanto la vittima non ha provocato alcuna reazione, non ha disturbato, infastidito, causato turbamento nell’assassino, non ha stimolato una reazione tale da provocare un eccesso di difesa.

Ogni giorno una pistola è puntata alle spalle o al volto di una donna, ma la sua vita è già cambiata per sempre. Il Paese scivola nel baratro dell’incapacità di frenare la mano dell’assassino. Viviamo gli “anni di piombo del femminicidio” che ha causato più decessi dei cosiddetti “anni di piombo”, “la notte della repubblica”. I colpi di pistola, le coltellate, il massacro di donne e bambini però non cambiano solo il corso degli eventi pubblici, ma sconvolgono radicalmente la vita di molti innocenti, ancora in vita. Siamo dentro la memoria attuale degli “anni di piombo del femminicidio”, l’esistenza delle odierne vittime delle violenze, delle sopraffazioni, delle torture e delle persecuzioni, oltre a sopportare la disattenzione pubblica e l’oblio collettivo; ma c'è chi non smette di lottare affinché vengano rispettate le ragioni delle vittime, per non farsi inghiottire dai rimorsi. Ogni storia di tortura contro la violenza di genere si intreccia con quelle di tante altre, costrette all’improvviso ad affrontare, da sole, una catastrofe privata, che deve appartenere a tutti noi.

Tuttavia, talora accade che la malvagità si tinge del colore della legge, gravata da una lettura disattenta con rilievi di assenze inaudite e con decisioni che feriscono le vittime. Il mondo esteriore si presenta con contorni poco nitidi ed il mondo morale, quello del dovrebbe essere, appare posticcio e nemico dei fatti, assolutore ingiusto dei comportamenti criminali di coloro che dovrebbero avere la responsabilità della protezione, della cura dei propri cari, del fare amoroso, privo di odio, risentimento e prevaricazioni. La suggestione dell’annuncio di principi e diritti allontana dalla puntuale verifica dei fatti. Un dominio dell’ovvio, infecondo, che può produrre ingiustizia. Affermazioni di ideali lontani dalla realtà, mentre le vittime registrano nel loro barometro spirituale il trionfo dell’ingiustizia e nell’osservatorio del pensiero potranno annotare la conquista di sofferenze e dolori per il privilegio di essere state unite all’altro o per avere un padre indegno, destinate a vivere un futuro cupo e solitario. La fervida natura dell’oppressore, del persecutore, del crudele esecutore della traboccante passione dell’odio, la cui depravazione è grande quanto repentina nell’azione, gli permettono di adoperare l’indomabile incertezza dei saperi e la passione per l’annientamento e per la distruzione dell’altra/o da sé. La ferocia sordida oblitera lo spirito del male, sostituisce alle ragioni del vivere degli altri le ragioni di eccessi colpevoli, dell’ebbrezza dell’intensità dell’agire violento ed aggressivo, del piacere di infliggere sofferenze e privazioni a coloro che, secondo la sua valutazione, avrebbero tradito un patto mai scritto, un accordo affettivo mai stipulato nei termini stabiliti nel deposito del suo inconscio, irato per aver perduto il suo dominio, la sua proprietà, il suo possesso sulla vita degli altri. Il tiranno perde il suo potere ed attua la sua vendetta, come le quotidiane morti per femminicidio insegnano.

Ebbene Lei, la madre mite che difende il suo piccolo, ha sopportato per anni umiliazioni e offese; ha subito maltrattamenti, ingiurie, violenze e privazioni; ha perdonato le feroci intemperanze; ha evitato di esprimere le sue ragioni per il bene supremo della famiglia e dei figli; ha vinto la sfiducia nell’uomo con cui ha scelto di stare, sperando in un futuro migliore. Ha supplito alle carenze del padrone-compagno-marito-fidanzato, cercando di convincerlo con delicatezza che l’amore è donare e non imporre, concedere e non chiedere, offrire e non domandare, in libertà e non in dittatura. Ha sussurrato che il potere di decidere ė duale e non unilaterale, ma la propensione del suo uomo al comando assoluto in famiglia è scritta nella genetica dei maschi ed è dura a finire; dopo la separazione ha deciso di fargliela pagare “fino alla morte” ed è stato di parola. Oggi, dopo aver denunciato al tribunale per i minorenni la madre per abbandono di minore in un circolo privato, attraverso una operazione effettuata con investigatori privati tenta di sostenere, con denuncia e ricorso presentato al tribunale stesso, che la premurosa mamma sarebbe colpevole del reato di cui all’art. 591 abbandono di minore, chiedendo al tribunale di collocare il figlio presso una casa famiglia e toglierlo all’odiata moglie. Nel circolo privato il bambino è iscritto alla scuola tennis, alla scuola calcio e alla scuola di atletica, sempre vigilato e controllato, come hanno dichiarato duecentotrentasei madri e padri di suoi coetanei.

Ma l’aspetto più atroce e preoccupante è dato che anche il curatore speciale, nominato per rappresentare i diritti del minore scritti nelle leggi e raccomandazioni internazionale ha chiesto parimenti al giudice di collocare il minore in casa famiglia e la decadenza della responsabilità genitoriale della madre. Incredibile? No credibilissimo.

Gli autori delle morti delle donne sono il simbolo dell’irrinunciabilità al potere, della mancata abiura al dolore procurato; è l’uomo della pietra e della fionda, come dice il poeta. L’insufficiente agnizione del maligno genera la profondità del dolore, non di quello esistenziale, ma di quello causato dalla malvagità dell’altro, di colui che dichiara di aver amato. L’insubordinazione di coloro che per tradizione erano subordinati, rispettivamente la donna, i figli e i servi, reclamanti il diritto alla felicità, alla liberazione dalle catene dell’ipocrisia domestica, del quieto vivere, scatena l’odio e quella incontrollata violenza che appare alla coscienza senza ragione, ma che è scritta negli archetipi dell’uomo, quel cosiddetto male di cui parla Konrad Lorenz. L’insorgere dell’io femminile, l’abbandono della condizione di inferiorità ha generato non un’accettazione condivisa, una responsabile attenuazione del dominio sul genere femminile, ma una reazione aggressiva, spesso mascherata da eloquenti dichiarazioni di approvazione poco controllate, che tracimano in emorragie crudeli, efferati esiti nefasti, che dopo un primo clamore mediatico sono passivamente caduti di attenzione.

Una condizione primordiale legata alla natura, perenne, senza spazio e senza tempo, obbligata verso lo spirito universale ripete l’unione dell’uomo con la donna. Una condizione costretta a progredire verso l’ideale migliore, tendente all’assoluto, scritta nei libri sacri, nei principi e nelle regole dell’uomo. Esistono saperi per pochi, mentre i comportamenti di molti infrangono la legge naturale universale: il diritto a vivere. L’unione tra donna e uomo, breve o lunga nel tempo, è un fenomeno perennemente umano, posto nell’essenza stessa del vivere e nessuna legge può cancellarla, quanto può correggere le forme e le modalità dello stare insieme. Il rapporto primitivo e patriarcale della “femmina”, della donna di casa, quello della concezione biblica “ed egli sarà il tuo signore”, sembra appartenga al mondo di ieri, sostituito da non più annullabili conquiste, ma il sangue, la sofferenza di madri e bambini denunciano l’indistruttibilità dell’indebito comandamento, del devastante dominio del maschio, oggi surrettiziamente dissimulato da finti diritti di paternità, utilizzati quali armi improprie per offendere e torturare. Un triste e delittuoso orgoglio maschile, reietto e marchiato con il sangue dell’assurdo e dell’inane. Quando sono in gioco la natura e la vita, l’anatema, la maledizione grava innegabilmente sull’uomo colpevole di feroci violenze, come pure di misere illegittime ragioni, conquistate con favorevoli interpretazioni delle leggi. Un falso urlato amore infecondo e senza speranza, irresponsabile ed incoerente, che offende le parole del Signore “ama il prossimo tuo come te stesso”. L’unione tra una lei ed un lui è equiparabile all’arte; l’ispirazione soggettiva si sottomette ad una specie di patto etico, ossia un accordo temporaneo alla vita, un “sacramento” del rispetto dell’accoglimento e della difesa delle esigenze dell’altro che si fonda sulla carne e sul sangue, capace di rinunce e privazioni, così come la madre per i figli. Una virtù umana che nega precari diritti e genera la felicità del sacrificio. L’uomo senza la dignità del dovere, della felicità del sacrificio è un disertore della disciplina della moralità vitale, un baccante dell’odio e della morte.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:21