
Preliminarmente giova chiarire che la vicenda “Mafia Capitale” non ha colore: chi ruba è un disonesto e come tale va trattato. Giorgio Almirante diceva che “se un politico ruba deve andare in galera. Se il ladro è uno dei nostri deve avere l’ergastolo”. Quindi, d’accordo come siamo con questa tesi, non abbiamo alcuna pretesa di trovare esimenti o gettare la palla nel campo avversario dicendo che il marcio è dall’altra parte.
Manco a dirlo, sulla sponda Pd non sono dello stesso avviso e, agevolati come sono dalla corte dei miracoli della carta stampata, battono sulla tesi della pista nera volendo far passare la narrazione in base alla quale lo scandalo è attribuibile alla Giunta Alemanno, i fiancheggiatori sono tutti del centrodestra mentre alcune isolate mele marce del centrosinistra sarebbero inciampate per caso nel sistema ordito da altri. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole ma la solita superiorità morale secondo cui Ignazio Marino è il moralizzatore che, da implacabile sceriffo, avrebbe ripulito la politica romana inquinata dai soliti affaristi post-fascisti e neo-berlusconiani che saccheggiano le Istituzioni.
Ed a nulla servono le tante dimissioni in campo democratico, gli arresti o le intercettazioni (Buzzi: “Con Marino sindaco se magnamo Roma”) per placare la puzzetta sotto al naso tipica di certi sedicenti progressisti che pensano di avere sempre ragione. Questi ultimi, per bocca dello spocchiosetto Matteo Orfini, difendono l’indifendibile attribuendo al comprimario nero Massimo Carminati la regia dello scandalo (che è chiaramente di Buzzi), alla Giunta Alemanno ogni colpa e, a sporadici episodi residuali, il coinvolgimento non organico di singoli tesserati del Partito democratico. Ma lasciamo pure ad Orfini le sue ricostruzioni fantasiose e parliamo di cose serie: il sistema preesiste ad Alemanno (la cui colpa è di aver agito in perfetta continuità) ed esiste proprio perché esiste il sistema cooperativo, con le sue entrature nella politica e con la sua vocazione a trasformare certi temi tipicamente ideologici (ad esempio l’accoglienza dei migranti) in business lucrosi. Per anni ci sono venuti a raccontare che le cooperative assolvono ad una funzione sociale, mentre in realtà a volte sono vere e proprie banche che fanno scalate ed operazioni di alta finanza; per anni ci sono venuti a raccontare che l’accoglienza era un fatto doveroso e che i migranti sono una risorsa (adesso abbiamo capito di che risorsa si tratta); per anni ci sono venuti a raccontare che il sistema delle cooperative era totalmente distinto dalla politica e che le cooperative rosse erano un prodotto della mente ad uso e consumo dei soliti visionari faziosi.
Alla luce dell’accaduto ci sentiamo ancora di dire che va tutto bene madama la marchesa? Alla luce dei fatti è ancora possibile questa interpretazione estensiva del concetto di cooperativa, nata con fini mutualistici e straripata nel mercato? Poi scoppia il bubbone e fioccano le accuse altisonanti: quattro corruttori si trasformano in Mafia Capitale, i corrotti si trasformano in soggetti pericolosissimi e piovono i soliti accostamenti con Tangentopoli. I quali accostamenti risultano quantomeno inappropriati perché, fermo restando che una tangente è una tangente, il fine delle operazioni di finanziamento illecito scoperte negli Anni Novanta era quello di finanziare la politica, finanziare l’Olp, Solidarność, i cecoslovacchi piuttosto che tutta la dissidenza sovietica, mentre questi sono dei poveracci, dei buzzurri che sfruttano la loro influenza per fare la bella vita con i soldi di pantalone. Non stiamo cercando l’etica in una tangente, ma sicuramente i motivi che muovono i tangentari 2.0 sono veramente di bassissimo profilo (fare la festa coi maiali, fare i regali alla strappona di turno o condurre la vita dell’arricchito coi soldi degli altri comprandosi la catena d’oro da tamarro ed il Suv da coatto).
Anche l’estetica delle tangenti dei giorni nostri stride tanto con quelle della Prima Repubblica: prima la politica faceva gli affari con Raul Gardini mentre adesso si mischia “cor Cecato”, con la delinquenza comune, con quell’ormai famosissimo mondo di mezzo fatto di fasciolari, di violenti e di gentaccia. Questa non è commistione tra politica ed affari ma inciucio tra accattoni e poveracci, è il potere dato in mano a dei “vorrei ma non posso”. La cosa tragicamente simpatica? Molti di quelli che negli ultimi anni sono stati ingabbiati indegnamente con le dita ancora sporche di marmellata, durante Tangentopoli facevano la parte di “quelli de sinistra” impegnati nella “Pantera” che si scagliavano contro i ladroni o erano quelli “contro il sistema la Gioventù si scaglia”, che si dettero appuntamento all’Hotel Raphael, quel famoso 30 aprile del 1993, per lanciare le monetine a Craxi dandogli del maiale. Chissà quante risate si starà facendo il povero Bettino.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29