
Fintantoché non si capirà che il male del Paese viene da lontano e nasce proprio dalla matrice culturale cattocomunista, nulla potrà mai essere cambiato e corretto per davvero. Per via di quella radice, l’Italia è cresciuta con il mito del posto fisso, con il mito di uno Stato onnipresente, con il mito di una cultura assistenziale, con il mito della spesa pubblica ed infine con il mito che le protezioni e le garanzie sociali su tutto e su tutti, potessero sostituirsi al concetto di uno sviluppo basato sulla responsabilizzazione individuale. In Italia, per via di quella radice, è venuta meno sin dall’origine la fondamentale opzione liberale, che pone lo Stato in una posizione attenta ma defilata rispetto a un normale processo di crescita e di incoraggiamento alle potenzialità dei singoli.
Solamente Einaudi e solamente in quei pochi, seppure importanti anni a cavallo tra la fine del 1940 e l’inizio del 1950, provò dall’alto della sua grande preparazione a spezzare la catena cattocomunista, per dare all’Italia un’impronta liberaldemocratica, in senso sociale, economico e statuale. Fu quello un significativo, ma purtroppo non risolutivo intervallo della storia del nostro Paese, che nonostante l’autorevolezza del personaggio, non riuscì a modificare l’impostazione delle Repubblica. Infatti, la pervasività distorta del cattocomunismo, nato con la costituzione e dentro la costituzione, ha sempre preso il sopravvento, riuscendo così a far crescere storto l’albero del nostro sistema paese.
Nascono per questo centinaia di leggi da socialismo reale, centinaia di provvedimenti di assistenzialismo dissennato, infiltrazioni ovunque dello Stato nella vita economica, deformazioni nelle acquisizioni del consenso democratico, ammortizzatori e garanzie insostenibili nella stragrande parte dei modelli di sviluppo e di crescita dell’economia. Oggi l’Italia paga tutto ciò a carissimo prezzo, paga un’architettura previdenziale assurda, paga per migliaia di aziende pubbliche inutili e dannose, paga per un impiego pubblico esorbitante e non necessario, paga per la proliferazione di una burocrazia di stato creata solo per dare stipendi e non servizi, paga infine per la nascita di livelli istituzionali costosissimi e cervellotici, realizzati ad hoc per il controllo del denaro pubblico e del consenso elettorale.
In buona sostanza la fusione cattocomunista, soverchiando e schiacciando ogni tentativo di liberare le iniziative, di liberalizzare le risorse e le potenzialità, di allontanare lo Stato da faccende che non gli spettano, di lasciare che il mercato dispiegasse autonomamente le sue energie, di puntare sulle individualità, incoraggiandole per questo, ha creato un mostro sociale ed economico tale da divorare, bruciare, devastare, i conti pubblici e ogni possibilità di una sana politica economica. Ecco perché l’Italia affonda, ecco perché il fisco azzanna, ecco perché il privato da noi chiude o muore. È proprio la mancanza di una cultura liberaldemocratica, liberalrepubblicana, che ha segnato mortalmente la storia del nostro Paese.
Per dirla tutta, anche Berlusconi nei suoi anni migliori tentò di inserire questo pensiero nella cultura di sistema, ma i suoi tentativi, sia per sbagli personali sia per interessi contrastanti e sia per l’accettazione dei peggiori consigli, è naufragato, tornando a lasciare il campo in mano al cattocomunismo di sempre. Renzi oggi, è la testimonianza più plastica di questa cultura, un po’ di chiesa, un po’ di pugno chiuso, un po’ di scudo crociato e un po’ di bandiera rossa, un mix di ipocrisia, demagogia, cerchiobottismo, che al massimo e molto ben che vada, può fare galleggiare l’Italia, ma certo non risollevarla ed emanciparla dalle sue catene. Per questo noi diciamo che la scommessa di un polo alternativo, di un’area liberaldemocratica di centrodestra, non può prescindere dalla volontà di imprimere all’Italia e agli italiani un nuovo progetto culturale, che ribalti il cattocomunismo a favore di un pensiero liberale e laico della società e dell’economia.
A partire dalla giustizia, dal fisco, dallo stato sociale, dall’ architettura costituzionale, dalle funzioni dello Stato, tutto deve essere cambiato in chiave liberalista, assicurando ai cittadini le garanzie che meritano ma non illudono, quelle che non pesano sul futuro degli altri e che lo Stato può permettersi senza ricorrere ai massacri fiscali. Uno Stato sovrano per davvero, dove l’assistenza è quella necessaria e non quella elettorale, la previdenza è quella effettiva e non dei privilegi, l’attenzione è per i meno strutturati e non per le lobby e i poteri forti. Uno Stato minimo ma vero, autonomo e non succube di un’Europa tedesca, uno Stato amico dei suoi cittadini e non aguzzino dei loro sacrifici, uno Stato dove la giustizia risolve e non rovina, il fisco sviluppa e non impoverisce, l’amministrazione aiuta e non ossessiona.
Insomma, uno Stato liberale, è da qui che il centrodestra deve ripartire, è questo il nodo che deve risolvere, senza ciò, il cattocomunismo che ha intriso, pervaso, impregnato ogni pertugio del Paese, informazione compresa, continuerà a farla franca, a sentirsi difensore dei diritti, ad arrogarsi il primato delle libertà, ad offrirsi come unico salvatore della patria. Il percorso non sarà né facile né privo di ostacoli e trappole, ma il 50 per cento di astensionismo dimostra che la gente si aspetta qualchecosa di veramente nuovo e rivoluzionario per tornare a crederci e votare. Il futuro, quello vero, sta lì che aspetta, saperlo interpretare e cogliere darà a tutti noi una nuova chance per tornare a crescere e lavorare.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:27