L’“erba” di Rita

Ripetutamente invocata, alla fine, la polizia è arrivata. Su mandato della Procura della Repubblica di Roma (Sostituto Procuratore, dottoressa Silvia Sereni), il 15 maggio scorso alle ore 9, la Squadra mobile della Capitale ha perquisito la mia abitazione e provveduto al sequestro della mia piantagione di cannabis (56 piante). Sono così indagata per il reato previsto dall’articolo 73 d.p.r. 309/90 (divieto di coltivazione di piante di marijuana).

Durante l’operazione – presenti anche funzionari della polizia scientifica che hanno effettuato il “narcotest” risultato positivo – ho reso dichiarazioni spontanee per spiegare le finalità della disobbedienza civile e per chiamare in correità Marco Pannella e Laura Arconti che da sempre condividono, collaborando direttamente, all’iniziativa volta alla legalizzazione dei derivati della cannabis e, in primo luogo e immediatamente, a consentire l’accesso ai farmaci cannabinoidi ai tanti malati gravi costretti a rivolgersi agli spacciatori oppure a coltivare con tutti i rischi del caso.

Tutto ciò – lo ricordo a chi ancora non lo sapesse – è ispirato alla lotta che stanno conducendo i combattivi malati del Cannabis Social Club “LapianTiamo” e, in particolare, il loro leader Andrea Trisciuoglio, un ragazzo che riesce letteralmente a smuovere le montagne (e i cuori). Con Marco Pannella e Laura Arconti ci chiediamo però il motivo per il quale non ci sia stato - oltre alla perquisizione e il sequestro - anche il mandato d’arresto: questo è, infatti, quel che sono costrette a fare le forze di polizia in ogni parte d’Italia nei confronti di tanti cittadini “incolpevoli”, molti dei quali scontano anni di galera per “coltivazioni” domestiche molto più modeste della mia. Che si tratti di omissione di atti d’ufficio per mettere tutto a tacere?

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:13