Crescita? Balliamo intorno allo zero

Cori di giubilo dopo la pubblicazione dei dati Istat che descrivono il presunto ritorno dell’Italia alla crescita con un ritmo che - pur non essendo definibile vertiginoso - supera le attese. Nel primo trimestre del 2015 il Prodotto interno lordo, secondo la stima preliminare, è aumentato dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente (il dato atteso era 0,2 per cento). ”La crescita congiunturale - dice ancora l'Istat - è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dell’industria e di una sostanziale stazionarietà nei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) maggiore dell’apporto negativo della domanda estera netta”.

In sostanza, l’Italia, secondo l’informazione, sarebbe uscita dalla recessione ed il traino sarebbe rappresentato dalla domanda interna. A questo punto Pier Carlo Padoan, insieme ai maggiorenti del Partito democratico, ne ha approfittato per sbrodarsi di brutto. Messa così sembra una notizia “abbellita”, un facile slancio di entusiasmo ad uso elettorale, una supercazzola per mettere il cappello governativo sopra un dato che, pur ballando intorno allo zero (come ormai accade da molti anni), dovrebbe metterci di buon umore.

Premesso che stiamo parlando dello zerovirgola e che quindi sarebbe opportuno tenere a freno i tappi delle bottiglie di Champagne, volendo restituire la verità ai fatti bisognerebbe anche ammettere che, pur trattandosi di un +0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, la variazione del Pil risulta nulla rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Tra l’altro quella governativa potremmo quantomeno definirla “incauta euforia” visto che ci vogliono almeno due trimestri positivi per poter tecnicamente affermare di aver superato la recessione.

Non dovrebbe servire nemmeno ricordare che, trattandosi di una prima stima di variazione del Pil, non esistono disaggregazioni che consentono di comprendere la provenienza dei contributi alla crescita (a patto che 0,3 sia definibile crescita), quindi di cosa stiamo parlando? Sarebbe quindi auspicabile una logica prudenziale che eviti la fanfara e tenga conto delle condizioni eccezionali in cui stiamo vivendo: non serve infatti scomodare il fantomatico effetto positivo delle presunte riforme (come ha fatto Padoan) per spiegare la crescita, visto che ci sono una serie di evidenti fenomeni esogeni.

Basterebbe ad esempio ricordare che esistono delle circostanze favorevoli derivanti dalla simultanea presenza del Quantitative Easing, del basso costo del petrolio e di un euro molto debole. Al contrario, a patto che tale crescita esista e sia durevole nel tempo, bisognerebbe chiedersi come mai l’incremento del Pil sia così modesto nonostante l’impulso espansivo derivante dai fattori sopra richiamati. È un fuocherello di paglia quindi, tanto più che domani questa congiuntura positiva potrebbe non esserci mentre potrebbero verosimilmente sopraggiungere ulteriori elementi frenanti per la crescita, come gli effetti dei rimborsi imposti dalla Corte Costituzionale sul tema pensioni (che sicuramente saranno scaricati sull’economia reale) o la moltitudine di impegni in tema di politiche di bilancio presi con Bruxelles.

In quel momento saremo sicuramente lontani dalle tornate elettorali, ma non per questo l’attuale maggioranza non mostrerà la propria disonestà intellettuale unita alla malafede di qualche commentatore che agevola letture politiche dei dati ed all’accondiscendenza di qualche economista con la tessera in tasca. E che si tratti di una mera fluttuazione ciclica positiva (e non di una ripresa) lo si nota anche dall’impatto nullo che essa ha sulla dinamica dell’occupazione: l’effetto del Jobs act, messo a sistema con la mini-crescita, non traina l’occupazione. La disoccupazione infatti (un po’ come sta succedendo oggi con il Pil), dopo aver fatto gridare al miracolo nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio (anche in quel caso si esultava per decrementi dello zerovirgola), a marzo è tornata a crescere assestandosi al 13 per cento nonostante i pannicelli caldi fatti passare per cure da cavallo. Stessa storia per la dinamica dei prezzi: scendono dello 0,1 invece di salire come normalmente accade in presenza di un frangente espansivo dell’economia. Cresciamo quindi a cifre modeste e questo comporta un effetto neutro su occupazione e dinamica dei prezzi. Di cosa dovremmo gioire? Dovremmo forse gonfiare il petto di fronte ad un mini incremento del Pil strappato rocambolescamente per un solo trimestre? Balliamo intorno allo zero insomma e crediamo di essere virtuosi solo perché in questo trimestre abbiamo fatto come la Germania.

Non ci accorgiamo che è la Germania ad aver deluso e non noi ad aver fatto bene. C’è poco da fare gli orgogliosi visto che noi cresciamo dello 0,3 mentre la media Ue è dello 0,4, con picchi costituiti dalla Francia che cresce dello 0,6 e Spagna che cresce dello 0,9. Siamo sotto la media ed esultiamo sperticandoci a tessere l’elogio di un’economia che riesce ad essere rachitica anche quando è drogata da fattori esterni. Staremo a vedere nei prossimi mesi se si tratta di un evento spot o di una dinamica che riuscirà a consolidarsi. Nulla può essere affermato con certezza adesso, tantomeno esprimere soddisfazione per un rush di vitalità economica. Qualcuno potrebbe dire: ma una crescita di +0,3 per cento non è pur sempre un dato positivo?

Anche l’unguento per le emorroidi arreca sollievo, ma non fa certo giubilare colui il quale, medicamento o no, ne subisce comunque l’effetto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33