
La scelta del premier Matteo Renzi di chiamare la riforma della scuola “la buona scuola” non sembra aver riscosso un grande successo.
Anzi, diciamo pure che le ragioni di scontento sono tante e che le prospettive future per chi ha scelto in Italia il difficile sentiero dell’insegnamento sembrano addirittura peggiori di quelle finora vigenti. Altro che buona scuola, verrebbe da commentare…
Su al nord, invece – intendendo così riferirci al nord Europa – e più precisamente in Finlandia, sembrano davvero aver avuto apprezzabili idee per una riforma della scuola che ha messo al centro lo studente e che si prefigge di offrire agli allievi un percorso integrato a 360°. La Finlandia ha proposto una vera e propria rivoluzione copernicana dell’insegnamento. Non più materie scolastiche separate rigidamente l’una dall’altra dal suono di una campanella. Non più lezioni esclusivamente frontali che quasi inevitabilmente rendono le lezioni di scarso appeal. Non più questioni astratte la cui applicazione reale sfugge ai giovani allievi implicitamente demotivandoli. Abolire le materie e affrontare grandi temi in modo che l’insegnamento sia trasversale e pratico è il cuore della riforma finnica. La scuola pioniera di questo nuovo metodo è stata una elementare di Helsinki. I primi risultati dell’esperimento sembrano confortanti.
Quello che si prefiggono i finlandesi, con questo sistema, è offrire un nuovo punto di vista, coinvolgere gli studenti in un processo di continua interazione con gli insegnanti (che peraltro devono contare su solide e interdisciplinari basi). Certo non va dimenticato che la Finlandia vanta da molti lustri il primato per avere le migliori scuole del mondo, sia dal punto di vista della struttura che da quello dei contenuti. In questo contesto il mestiere dell’insegnante è considerato cruciale per la società, anche perché il “maestro” rappresenta una figura perno, un soggetto carico di responsabilità per l’avvenire delle giovani generazioni e quindi delle classi dirigenti future. Di conseguenza – come è giusto che sia – può contare su adeguata retribuzione, frequentare corsi di aggiornamento, migliorare le proprie performance attraverso lo scambio ed il dibattito. Rendere applicabile un progetto di questo tipo da noi rappresenta una missione pressochè impossibile.
Da una parte esiste una sacca di conservazione e resistenza all’innovazione (e chi scrive è anche una giovane madre, pertanto costretta a scontrarsi quotidianamente con i “curiosi” meccanismi della scuola italiana), dall’altra la preparazione non sempre eccellente degli insegnanti renderebbe difficile chieder loro un programma interdisciplinare. Infine, e non certo per importanza, gli insegnanti italiani avrebbero bisogno di motivazione e maggiore… tranquillità. Riteniamo che la leva economica potrebbe dimostrarsi un incentivo efficace. Diversamente da quanto accade in Finlandia, in Italia fare l’insegnante sembra esser diventato un “hobby” per benestanti alla stregua del golf, che ci si può permettere solo in presenza di un compagno benestante o di una famiglia solida alle spalle. Le retribuzioni di chi insegna nel nostro Paese sono ridicole ed inadeguate, ancor di più se si pensa all’importante compito che queste figure sono chiamate a svolgere.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30