
Doveva essere per l’editoria il gran giorno del tutti intorno al tavolo. La riunione è stata “annullata per impegni istituzionali del sottosegretario Luca Lotti”. La nuova data sarà comunicata agli interessati. La crisi, però, batte alle porte e non aspetta. L’allarme rosso Inpgi ha scosso il mondo dei media per il pericolo di vedere l’istituto di previdenza dei giornalisti finire nel calderone dell’Inps come altri fondi speciali con addio all’indipendenza e all’autonomia.
Le sfide dell’Istituto Giovanni Amendola riguardano la professione. Presenta, infatti, una crescita pesante del passivo determinato dal rapporto tra contributi versati e prestazioni pagate. Un percorso negativo che dura da 5 anni e che è sfociato nel 2014 a circa 90 milioni di rosso. Ai 450 milioni perduti nel periodo 2010-14 se ne aggiungeranno altri 100 nel 2015. Buco sanato ricorrendo allo spostamento di quote del patrimonio immobiliare. Per il presidente Andrea Camporese, però, l’Inpgi non vive uno stato di dissesto finanziario, la riserva non è stata intaccata (2,3 miliardi di euro per la gestione principale).
Governo, editori, giornalisti, edicolanti devono, quindi, tentare con il prossimo faccia a faccia un check-up di sistema per individuare i punti su cui intervenire. L’editoria è in profonda crisi da almeno 7 anni e questa crisi ha comportato la perdita di migliaia di posti di lavoro e prepensionamenti, la crescita dei costi per gli ammortizzatori sociali. Al tavolo di Palazzo Chigi non è produttivo cercare responsabilità di una crisi così profonda, più grave del passaggio tecnologico dalle linotype alle macchinette, dal piombo al computer degli anni Ottanta.
Ci sono comunque alcuni punti di partenza dell’involuzione: gli errori degli editori di non aver saputo affrontare il passaggio all’era del digitale e del web globalizzato (con il prevedibile calo dei lettori della carta stampata e della pubblicità); i danni e quindi le responsabilità del sindacato di aver consentito l’applicazione indiscriminata della legge 416 del 1981 che ha causato il proscioglimento dei finanziamenti statali mentre venivano mandati a casa migliaia di prepensionati. Ne è derivato anche un abbassamento della qualità dei quotidiani, dei settimanali e dei periodici mentre i tagli si abbattevano anche sulle piccole strutture radiotelevisive locali. I tagli sono stati fatti, così, prevalentemente sul personale dipendente senza puntare ad una maggiore e migliore produttività e organizzazione del lavoro.
Quali riforme si dovranno discutere a Palazzo Chigi? Dubbi e incertezze si sovrappongono alle lentezze legislative. Il sistema editoria italiana non si salva senza un complesso di misure e iniziative di largo respiro. Un pacchetto serio di proposte da approvare in tempi brevi. Si tratta di scelte politiche e legislative che vadano a rafforzare le imprese e a non colpire i professionisti dell’informazione come sta avvenendo invece con la riforma della legge sulla diffamazione a mezzo stampa (al contentino di eliminare il carcere vengono aggiunte sanzioni economiche molto elevate che assomigliano ad un vero bavaglio) e sulle intercettazioni.
L’aspetto da cui ripartire riguarda soprattutto un’impostazione di fondo per tutta l’informazione italiana: la qualità e l’identità delle testate. La strada del risanamento e dello sviluppo non è quella della scorciatoia dei tagli, ha evidenziato il componente del Cdr del “Corriere della Sera” all’assemblea Rcs, e neppure quella delle iniziative di commercializzazione dei prodotti di vario genere. La sfida è quella d’investire nell’informazione di qualità. In tutto il mondo si è capito che in futuro (fatto di web, Youtube, smartphone, Skype, tablet, telefonini di quinta generazione) solo l’informazione di qualità e di eccellenza sarà in grado di produrre utili.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30