
Quando, secondo “Dagospia” che la sa lunga, l’onorevole Daniela Santanchè ha replicato all’onorevole Barbara Pollastrini, fulminandola maliziosamente, che all’eventuale proposta piddina di un candidato sindaco di Milano come Ferruccio De Bortoli l’opposizione avrebbe contrapposto Alessandro Sallusti, ebbene, in quel preciso momento, in quel sulfureo scambio di minacce elettorali, capeggiate dai due più rappresentativi direttori di giornali ambrosiani, s’è almeno capito che a Milano è iniziata una nuova stagione politica, una caccia al candidato in un città aperta. Che, peraltro, è il titolo del libro appena uscito di Giuliano Pisapia; del sindaco che secondo taluni avrebbe ricalcato le orme del Papa Bonifacio che “fece il gran rifiuto”, secondo tal altri, invece, avrebbe semplicemente annunciato una stanchezza di fondo, una solitudine crescente, un’aria politica intorno avvelenata dal Co2, la velenosa miscela di uno speciale smog che a Milano c’era, e, a volte, c’è ancora.
Lo smog politico è ritornato a Milano in un giro di anni o di decenni come se il ritorno al punto di partenza, mettiamo il 1993, fosse la “de escalation” obbligatoria in una città che proprio la rinuncia a candidarsi di Pisapia ha gettato il quadro politico meneghino in una sorta di standby, di palude, di sabbie mobili. E poco importa che fra qualche settimana si apra quell’Expo che, comunque vada, sarà un successo, come dicono soprattutto gli stranieri dai padiglioni in rapida via di finiture. Anzi, è semmai l’evento in arrivo che spinge pensieri intricati a proposito della scelta di Pisapia che avrebbe ottenuto dall’Expo un’opportunità in più di ripresentarsi alla città nel 2016, uscendone e rientrandone alla grande - “to go out (and in) with a bang”, come direbbero a Hollywood.
L’Expo, dunque. Il punto è che fu Letizia Moratti che riuscì con tenacia a fare di Milano, e non di Smirne, la città scelta dal Bureau International des Expositions per l’esposizione universale, e fu sempre lei ad inventare la sigla, il marchio, il simbolo di e per “Nutrire il Pianeta” sommando l’esigenza mondiale di nutrimento col sigillo della qualità dei “masterchef” italiani, intrecciando le carenze planetarie con l’evoluzione del gusto che ha trovato nel “made in Italy”, negli stili di vita nostrani, l’eccellenza invidiataci “all over the world”.
L’altro punto è che la Moratti, nonostante la vittoria dell’Expo, ha perso le elezioni nelle quali non era riuscita a rapportarsi con la complessità milanese sullo sfondo della valanga antiberlusconiana innescata dalla vicenda Ruby e relative intercettazioni “olgettiniane”, con ricadute pesanti sul mondo cattolico che, infatti, scelse Pisapia a sua volta agevolato dall’onda dei sindaci arancioni contrapposti e vincenti rispetto ai concorrenti di un Pd in crisi. Ma la crisi è stata soprattutto nel centrodestra, giacché in una specie di conto alla rovescia, sono scomparsi dalla scena politica locale dapprima il Governatore Roberto Formigoni, poi il presidente della Provincia, Guido Podestà, e via via tutti gli altri amministratori, come si dice agli arrivi della Sanremo.
Infine, è l’intero centrodestra a patire una crisi che definire esistenziale è persino riduttivo, sol che si pensi che nel giro di quattro-cinque anni, quello che fu il partito della ripresa - dopo l’illusione leghista del 1993 - espressione di una vigorosa accensione dei motori innescata dalla gestione di Gabriele Albertini con alle spalle l’ombra del Cavaliere vincente, è alle strette, vaga alla ricerca del tempo perduto, è, insomma, conciato per le feste.
Intanto Inter e Milan (che non sono squadre dell’Oratorio) sono state vendute agli stranieri, come pure i quattro grattacieli più “cool”, rischio dell’avanzata di Matteo Salvini; avanzata, si badi bene, dentro le carni dell’elettorato di centrodestra peraltro non del tutto e non sempre convinto che la radicalizzazione del salvinismo giovi a replicare i successi d’antan, ché l’elettorato moderato all’ombra della Madonnina è, per l’appunto, moderato e non radicale.
E ritorniamo ai due direttori dei nostrani “giornaloni” per ora ipotizzati l’uno contro l’altro. Il fatto vero è che manca un anno e più alla scadenza, e con la novità di un Pd che è ora guidato da Matteo Renzi e che punterà molto su Milano, alla ricerca di una risposta “renziana” alla sedia vuota lasciata da Pisapia. È una scommessa che il Premier vorrà giocare a tutto campo, com’è sua abitudine, ipotizzando per la città un sindaco non solo di stampo politico, ma soprattutto amico. Non guarda più alla società civile che ha fallito e neppure all’ondata arancione, in pieno riflusso nelle varie città dove aveva vinto. Punta a riempire un vuoto nella Milano città aperta. Un vuoto che, tuttavia, non sempre e non tutta la sinistra è riuscita a riempire ed a rappresentare. C’è un’altra città, la Milano laica, che attende messaggi e interpreti. Arriveranno?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35