
La battaglia delle torri televisive riparte su nuovi scenari. Lo stop della Consob e dell’Antitrust all’Opa lanciata dalla società EI Towers di Mediaset sul pacchetto di maggioranza di Rai Way ha indotto i vertici di Cologno Monzese a cambiare strategia. Non più pacchetto di maggioranza ma una partecipazione che vada dal 40 al 49 per cento. Un passo indietro? Gli analisti di mercato osservano che la questione della proprietà e della gestione delle torri di trasmissione dovrà essere risolta non a lungo termine. La Borsa crede nello sbocco.
La situazione italiana è, infatti, un’anomalia nello scenario europeo. Solo in Italia ci sono 2 operatori televisivi che hanno contemporaneamente la proprietà e la gestione dei mezzi di trasmissione del segnale televisivo. La Rai è stata la prima azienda ad avere la necessità di una rete di trasmissione del segnale per poter trasmettere informazione e programmi in diretta. All’epoca aveva il monopolio delle trasmissioni radio televisive e quindi era facile da parte del Governo e del Parlamento di accordarle tutto quelle che serviva per rendere moderno il nuovo media di massa. I ponti mobili sono stati una ricchezza e un patrimonio fondamentale per l’azienda del servizio pubblico.
Successivamente, negli anni Ottanta, dopo l’abolizione da parte della Corte Costituzionale del divieto di trasmettere in diretta anche per le tv private (con la battaglia dell’etere selvaggio, l’intervento del premier Bettino Craxi dopo l’oscuramento dei Pretori) le tv di Silvio Berlusconi hanno spinto l’acceleratore nella costruzione delle proprie reti di trasmissioni. Sono nate come funghi le torri del Biscione per le dirette superando il primitivo e costoso trasporto delle cassette. Da allora torri Rai e Mediaset si vedono appaiate sulle alture delle montagne, sulle colline e i punti strategici per far arrivare il segnale nelle case degli italiani: gratis per i canali delle tv private, con il canone per la Rai.
Le nuove tecnologie digitali e satellitari rendono obsolete le torri televisive che non rendono economicamente come quelle per la telefonia mobile. La pressione Mediaset su Rai Way punta evidentemente alla creazione di un unico operatore che non può essere costituito dalla fusione delle due strutture. Un intreccio tecnico-giuridico. Il Governo Renzi ha ribadito che la Rai non deve scendere sotto il 51 ma il sottosegretario all’editoria, Antonello Giacomelli, non ha chiuso completamente le porte alla soluzione di un operatore terzo, tipo Terna per l’energia o Snam per il gas.
La Rai otterrebbe un altro pacchetto di euro dopo quello della quotazione in Borsa che ha permesso di dare al governo i richiesti 150 milioni per solidarietà ai sacrifici di bilancio. Il vantaggio per Mediaset sarebbe quello di tagliare gli enormi costi di gestione, garantendosi la trasmissione del segnale pagando una quota di servizio. Il settore del segnale tv poggia su una tecnologia ormai matura e occorrerebbero molti miliardi d’investimenti per la ristrutturazione. Una bella differenza con gli operatori delle torri delle telecomunicazioni che viaggiano su multipli più elevati caratterizzati dalla quarta e quinta generazione.
Trovare una soluzione per mettere insieme le due società delle torri permetterebbe una razionalizzazione delle strutture e di ottenere sinergie; ma si creerebbe un sostanziale monopolio proibito dalle norme europee sulla concorrenza di mercato. L’ipotesi allora è quella di far entrare in campo la Cassa depositi e prestiti, guidata da Franco Bassanini, che costituirebbe una società (gestore unico) con la partecipazione per quote dello Stato, di Rai, di Mediaset (al comando da quasi vent’anni Fedele Confalonieri) e de La7 di Urbano Cairo.
Più futuribile l’ipotesi di mettere sotto lo stesso tetto le torri tv e telecomunicazioni dopo i vari movimenti di Telecom Italia, Wind ed Abertis, delle americane Crown Castle (a cui già Roberto Zaccaria allora presidente di viale Mazzini voleva cedere i ponti Rai, bloccato da Maurizio Gasparri) e American Tower.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:21