
Non riuscite a capire i giochi proibiti della “polis” d’oggigiorno? Non vi raccapezzate nella matassa pugliese, fra cambi e scambi di ruoli come in una commedia di Carlo Goldoni? Non perdete più tempo a seguire questi sentieri di guerra di cartapesta. È peggio. Leggete, piuttosto, un bel libro; per esempio, uno della bravissima Luciana D’Aleo che proprio della sua regione, anzi della sua Lecce, tratteggia percorsi di persone dentro un andirivieni storico che le rende simboli di una parte del Paese e, al tempo stesso, individua nelle donne - che sono le interpreti assolute del libro “Via delle Bombarde” - il surplus necessario, il tocco magico, ovvero l’eterno femminino. Un consiglio ai politici che si stanno scornando nel “campo di Agramante” salentino e altrove. Leggetevi questo libro, chissà. Forse ne intuisce qualcosa lo stesso Silvio Berlusconi.
Quando, infatti, al Cavaliere è sfuggita l’ennesima bordata, signorile intendiamoci, contro Giorgia Meloni, ovvero “la Pulce” che pizzica forte le sconclusionate pattuglie pugliesi berlusconiane, s’è capito che la questione, seppure politica come sempre, è più complessa, più ampia, più articolata, come si dice, insomma, è questione di donne. Sì, perché l’inserimento di Adriana Poli Bortone (nella foto) da Lecce (Lecce è importante assai, come vedrete) nel contesto elettorale pugliese ha ulteriormente scompaginato le carte politiche (si fa per dire) e riportato il loro gioco agli schemi che Matteo Renzi bolla a fuoco relegandoli nel detestato gioco del “Monopoli” col suo eterno ritorno al sempre uguale. Il deprecabile ritorno al punto di partenza.
In realtà la partita pugliese ha più di un attore in proscenio, ed è fuori d’ogni dubbio che il fomite centrale è quel Raffaele Fitto che ha deciso di condurre un assedio alla fortezza, invero periclitante, del suo partito con l’asprezza che qualcuno definisce da “parricidio”, altri, più semplicemente, da sopravvivenza. E già questa parola la dice lunga sullo stato delle cose - e della salute - del centrodestra. Ma è quel nomignolo scagliato dalla reggia arcoriana contro la Meloni in crescita nei sondaggi che ci aiuta a decrittare uno scenario politico in cui l’oggetto del contendere, ovvero il potere in una regione, e che regione, è bensì ridotto a scontro interno ma, ed è qui il bello della faccenda, tale scontro è condotto dalle donne. I cui disegni sono tutti da decifrare. Scomparsi i Toti e gli Alfano nazionali, appannati i comprimari regionali, primeggia ancora, per inerzia, il buon Fitto; ma si scorge, sul fondale variopinto, una trama intricata, un gioco di luci e di ombre, un gioco di dame.
Noi non sappiamo come stanno davvero le faccende e, ad essere sinceri, non ci interessa più di tanto, salvo che per una riflessione sull’incombente tempesta, ché la questione di fondo, come si diceva una volta, non è né nominalistica né di piccolo cabotaggio regionale, è una questione di linea politica laddove per “politica” s’intende una visione delle cose, un progetto per il futuro, un percorso da affrontare, una “weltanschauung”, direbbero i tedeschi: una visione del mondo. Dopo il “Nazareno”, che era non tanto o soltanto un accordo, ma una politica vera e propria, si è finiti nella terra di nessuno, in una specie di Campo di Marte i cui riflessi si riverberano all’interno di quel centro destra nel quale l’obbligo di alleanze elettorali - ora regionali, domani nazionali - si scontra con le contraddizioni reciproche e le contrapposizioni di schieramento logorando i contendenti. Ma non tutti. Non le donne, non le dame, le pulci, la professoressa, la sindaca o la capolista intorno cui ruotano gli stanchi pavoni dell’esausta “civitas centrodestrista”.
E veniamo al libro e alla necessaria lettura, soprattutto da parte dei giocatori politici in campo. È una storia del Sud, delle Puglie, di Lecce “la bella addormentata”, in un arco lungo di tempo, dalla prima guerra agli anni Settanta, passando per il fascismo cui Lecce, tanto pigra quanto sarcasticamente imperturbata, riserva ironie pungenti persino al quasi concittadino Achille Starace facendo arrabbiare, negli anni, il missino Giuseppe Caradonna che bollava la città come menefreghista, assorta in altri mondi, dedita al bridge, al baccarà, alla musica e alle donne, alle corna. Le donne, insomma. Ma, attenzione, l’intimismo che sorregge la trama del libro rischia di ingannare, salvo costringerci a completare il quadro e il contesto, come a farne una metafora, un paradigma, una chiave di lettura. Certo, la sottomissione della donna al machismo dominante è una linea conduttrice e pure dal fatalismo della sonnolenza meridionale derivano considerazioni a loro volta pessimiste.
Ma la chiave, come si diceva, è un’altra, ed è suggerita dall’andare e venire nel tempo delle storie personali che rispecchiano passivamente il corso degli avvenimenti, dallo sbarco sulla luna all’assassinio di Kennedy. Essa è racchiusa nello scrigno segreto della capacità della donna, qui ritratta con sagace costruzione stilistica, sia essa pragmatica o sognatrice o scalatrice, di autoriscattarsi, di ritrovare il bandolo della matassa almeno per il tempo e lo spazio di una vita, di un sogno, di una speranza. Sicché, il senso della constatazione “si è capovolto il mondo e non ce ne siamo accorte” è solo apparentemente una lapide degna comunque di “Spoon River”, ma l’alba di una consapevolezza. Di un nuovo inizio. Cose che una certa politica stenta a capire. Perché non legge.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35