
Metà dei francesi non ha votato nelle ultime amministrative. L’altra metà ha dato alla Le Pen il palmares di primo partito, votato dal 25% degli elettori. Eppure il vincitore è stato l'ex presidente Sarkozy, risorto anche dai guai giudiziari che raramente (o meglio mai) giungono oltralpe ai vertici politici. Il gollista ha conquistato 60 dipartimenti su 90 grazie alle alleanze di coalizione che assieme ai meccanismi premiali del maggioritario impongono alla rappresentanza, governabilità e semplificazione.
Qualcosa ne sa il M5S che ha già visto quanto sia stato inutile per essere il primo partito, se si è soli, in regime di premi di maggioranza. Dalla Francia non è dunque arrivato un messaggio in controtendenza. Semmai due conferme. La prima ribadisce che senza vaste inclusioni non si vince. La seconda che, al di là del voto, esiste una discriminazione ideologico-storica contro i conservatori, insuperabile senza un vasto lavoro culturale. Ora il messaggio francese si riverbera sulle prossime elezioni regionali. I sondaggi garantiscono la vittoria del Pd in Toscana, ma con metà elettorato che si astiene. Un sorprendente testa a testa in Liguria tra l’opaca candidatura Pd ed il portavoce di Berlusconi. Un vantaggio di tre punti per il postsocialista Caldoro al 42% sullo sceriffo De Luca in Campania. 10 punti di vantaggio per il Pd Emiliano, al 46%, su Schitulli in Puglia. Ed altrettanti 10 per il leghista Zaia sulla Pd Moretti. Dovunque si verifica la fine delle coalizioni di sinistra, anche in Toscana. In qualche regione addirittura la minoranza Pd propone una lista alternativa.
I contestatori, Tosi e Fitto, hanno spaccato ulteriormente una destra già divisa senza risultati apparentemente visibili. Dopo un lungo braccio di ferro, i fittiani hanno ottenuto di poter sostenere il candidato governatore pugliese, comunque scelto da Forza Italia e con scarse chances di vittoria a prescindere. Potrebbero, in Campania, spostandosi da una coalizione all’altra, far vincere De Luca, che peraltro sembra più a destra di Caldoro. La lezione francese chiederebbe coalizioni allargate, che non sono più tollerate nell’Italia uscita dagli ulivi e dal Pdl. Così il Pd scarica i postcomunisti di varia natura e a destra ci si la frantuma. Il partito di Renzi, dato al 36% può permetterselo. Malgrado che Tosi non sembri in grado di impedire la vittoria di Zaia, contro una candidata che appare più di destra elitaria del governatore in carica. Se alla fine Veneto e Campania confermeranno Zaia e Caldoro, sarà dura parlare di crollo a destra.
Che diverrebbe trionfo in caso di sorpresa Toti in Liguria. Anche con il controllo politico di larga parte del paese, il Pd resterebbe fuori dalle sue regioni più importanti. La lunga litania giornalistica di questi giorni accende i riflettori sulla fine di Forza Italia, identificandola con la scomparsa della destra. Una destra però c’è ed è la Lega. LN e FI si presentano oggi con gli stessi numeri, ca. il 12% a testa. Non sarà difficile scoprire all’indomani del voto, la prima sopra questo numero e la seconda sotto. Difficile però che cambi il risultato totale, che permetterebbe alle due formazioni di superare il terzo incomodo grillino. Cambia la leadership tra i due partiti, con la Lega in testa. Cambiamento analogo a quanto avvenuto nel Pd dove l’anima postdemocristiana s’è imposta su quella postcomunista.
La nuova Lega che si è caratterizzata per l’adesione al programma de La Pen non ne segue le scelte tattiche elettorali. Il blocco conservator-nazionalista, impossibile in Francia, si realizza in Italia. Il segreto di questa diversità nostrana sta in due ingredienti. Il primo è il morphing leghista, moderata amministratrice da un lato, estremista nei suoi obiettivi di lungo periodo. Il secondo è la discriminazione anticonservatori che in Italia, diversamente dall’Europa, non si limita ai soggetti politici strettamente eredi del nazifascismo o del colonialismo, ma che si allarga anche all’area anticomunista e persino a quella storicamente nonpostcomunista. Sarkozy, per quanto colpito, non è stato spinto dalla giustizia, ad allearsi con gli eredi del pouchadismo. Anzi la condanna storica del partito dei piedsnoir, gli ha portato molti voti oltre ai suoi meriti. E La Pen cerca oggi di tagliare i ponti con quel passato al punto da squalificare il padre, fondatore del partito di entrambi. In Italia la giustizia a lungo inseguì la destra; poi massacrò il largo centro di governo, poi si dedicò con alternanza a martellare i nuovi partiti di centrodestra. Solo oggi che il partito Fusinistra si è fatto centrista, risulta interessante all’azione giudiziaria.
Questa discriminazione giudiziaria, cui si devono probabilmente dai 40 ai 50 punti di Pil perso in 3 decenni, è il tratto comune che ogni volta induce LN, ma anche i postfascisti, a fare blocco con i forzisti. Come si vede dai candidati in lizza, che vedono un’ex di Forza Italia contro un moderato leghista, oppure un magistrato contro un grande chirurgo, un socialdemocratico (a destra) contro un sindaco sceriffo (a sinistra), la tenzone è ovunque di centro. Anzi per dirla tutta, di centrodestra. Proprio come in Francia dove la coalizione gollista ed i lepenisti sommano il 56% dei voti. La sinistra è ormai irriconoscibile, raccolta inerziale degli interessi raccoltisi attorno a commis e manager inarrivabili. E vale meno del 20% del voto di chi va a votare in Italia come in Francia. Il motivo è semplice. Il dibattito politico non si divide più attorno alla divisione della ricchezza tra chi ha e chi non ha.
Il dibattito è tra indipendenza nazionale (ed europea) e le scelte della globalizzazione. Con l’aggiunta per l’Italia della lotta dei sudditi contro la burocrazia statale e le grandi corporazioni a questa collegata, che si appoggiano a quella globalizzazione che teoricamente li avrebbe dovuti formattare. L’istintivo blocco conservatore ha il vulnus storico di non sapere denunciare la discriminazione ai suoi danni. Ad ogni attacco, ciascuna forza si difende isolatamente e senza convinzione accreditando le accuse. Invece ci vorrebbe un libro nero della discriminazione politica, anzi della discriminazione antitaliana.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30