Cedu, l’adesione Ue   respinta dalla Corte

Il suddetto articolo pone l’accento sulle divergenze d’opinioni determinate dal parere, reso il 18 dicembre 2014, con cui la Corte di Lussemburgo ha affermato che tale proposta di adesione dell’Unione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali non sia conforme ai trattati dell’UE, ovvero al Trattato sull’Unione Europea (TUE) e al Trattato sul il funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Per comprendere le ragioni di una simile soluzione e le relative conseguenze bisogna soffermarsi su tre punti fondamentali: il fatto che la proposta di adesione dell’Unione alla CEDU rappresenti un progetto di lunga durata, le argomentazioni fornite dalla Corte di Giustizia e infine le conseguenze derivanti da tale parere.

La questione della adesione dell’UE alla CEDU è tutt’altro che nuova, poiché la Corte di Lussemburgo aveva già fornito un parere sulla questione, reso il 28 marzo 1996, in cui la suddetta Corte aveva risposto che, alla luce del diritto comunitario allora in vigore, la Comunità europea non era competente a aderire alla CEDU. Con l’entrata in vigore del Protocollo n 0 14, il 1 ° giugno 2010, è stato modificato l’articolo 59, paragrafo 2 della Convenzione, il quale afferma: "L'Unione europea può aderire alla presente Convenzione", finendo per rappresentare la base giuridica per l’adesione. Il 4 giugno 2010 è stato avviato un lungo processo di negoziazione al fine di giungere ad un accordo di adesione, il quale ha condotto ad un progetto di accordo in data 5 aprile 2013. Poi, il 4 luglio 2013, la Commissione ha rinviato la questione alla Corte di giustizia, chiedendo di fornire un parere sulla compatibilità del progetto di accordo con il diritto comunitario, in conformità con le disposizioni di cui all'articolo 218, (11), del TFUE.

La Corte di Lussemburgo dopo essersi pronunciata favorevolmente in merito alla richiesta della Commissione ha reso il proprio parere lo scorso 18 dicembre 2014, esprimendosi in maniera negativa sulla conformità di un simile accordo di adesione rispetto al TUE e al TFUE. Quindi la Corte di Giustizia ha giustificato il proprio diniego in base a cinque motivazioni addotte a sostegno del proprio parere. In primo luogo, la Corte di Giustizia ha sottolineato come una simile proposta di accordo sia suscettibile di attentare alle caratteristiche specifiche e all’autonomia del diritto dell’UE. In caso di adesione dell’UE alla CEDU, essa vincolerebbe le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri e formerebbe parte del diritto dell’Unione. L’Unione sarebbe sottoposta, dunque, ad un controllo esterno avente ad oggetto il rispetto dei diritti e delle libertà previsti dalla CEDU. In particolare, la Corte ha evidenziato come una simile ingerenza nel campo di applicazione materiale del diritto comunitario sia illegittimo per tre ragioni fondamentali: l’assenza all’interno delle disposizioni contenute nel progetto di accordo di un meccanismo di coordinamento fra la CEDU e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, l’equiparazione dell’Unione ad uno Stato e il rapporto tra Stati membri ai fini del controllo reciproco e il mancato coordinamento tra il Protocollo 16 alla CEDU e il rinvio pregiudiziale.

Per quanto riguarda il mancato coordinamento fra la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la CEDU, la Corte pone l’accento sull’articolo 53 della Carta di Nizza, che stabilisce che nessuna disposizione di quest’ultima debba essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla CEDU, nonché dalle costituzioni degli Stati membri. Dunque, secondo la Corte, occorrerebbe coordinare l’art. 53 della Carta con l’art. 53 della CEDU, norma che prevede la possibilità per gli Stati di prevedere standard di tutela più elevati rispetto alla CEDU, “affinché la facoltà concessa dall’articolo 53 della CEDU agli Stati membri resti limitata, per quanto riguarda i diritti riconosciuti dalla Carta corrispondenti a diritti garantiti dalla citata convenzione, a quanto è necessario per evitare di compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta medesima, nonché il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione”.

Tale argomentazione è stato oggetto di critiche da parte della dottrina, poiché se da un lato il ragionamento della Corte di Lussemburgo appare il linea con il principio del primato del diritto comunitario, dall’altra contraddice quel principio largamente diffuso nei trattati internazionali di protezione dei diritti umani, secondo cui le Parti contraenti devono garantire standard più elevati di tutela rispetto a quanto previsto dagli stessi. La seconda censura con riferimento alle caratteristiche specifiche e all’autonomia del diritto dell’Unione viene introdotta dalla Corte mediante il riferimento al principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In virtù di tale principio, gli Stati sono tenuti a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, sicché da un lato non possono esigere l’applicazione di uno standard più elevato, dall’altro devono astenersi dal verificare se un altro Stato rispetta i diritti fondamentali. A questo proposito, la Corte censura «l’approccio adottato nell’ambito dell’accordo previsto, consistente nell’equiparare l’Unione ad uno Stato e nel riservare ad essa un ruolo del tutto identico a quello di qualsiasi altra Parte contraente». Secondo la Corte, infatti, una tale equiparazione e la possibilità di un ricorso interstatale ai sensi della CEDU anche in ipotesi di rilevanza comunitaria, eliminerebbe la fiducia reciproca tra gli Stati membri e sarebbe, dunque, incompatibile con il sistema dell’Unione.

Anche tale critica non è scevra di dubbi. Innanzitutto, dato che gli Stati dell’Unione sono già tutti parte del sistema CEDU, una tale situazione è già suscettibile di verificarsi. Già ora, infatti, uno Stato membro potrebbe esperire un ricorso interstatale nei confronti di uno Stato membro, anche in un ambito di rilevanza comunitaria, basandosi il sistema CEDU sul ricorso individuale ex art. 34 CEDU e su quello interstatale ex art. 33 CEDU. La terza censura con riferimento alle caratteristiche specifiche e all’autonomia del diritto dell’Unione riguarda la possibilità che l’applicazione del Protocollo 16, che stabilisce che ”I tribunali più alti di una Parte contraente (...) possono applicare alle richieste della Corte di pareri consultivi su questioni di principio concernenti l'interpretazione o l'applicazione dei diritti e le libertà definiti nella Convenzione o dei suoi Protocolli, possa creare una sorta di concorrenza tra tale procedura e il rinvio pregiudiziale ex art.276 per cui i giudici nazionali hanno la facoltà di richiedere alla Corte di Strasburgo l’interpretazione del diritto comunitario nel caso in cui sorgano dei dubbi sull’applicazione dello stesso”.

Secondo la Corte di giustizia, il Progetto di accordo deve essere censurato anche in ragione del contrasto con l’art. 344 TFUE, che stabilisce il monopolio d’interpretazione della Corte di Lussemburgo sul diritto comunitario. In particolare, in tale parere la CGUE ribadisce la propria costante giurisprudenza in materia, affermano che “un accordo internazionale non può non può pregiudicare il sistema delle competenze fissato dai trattati e, di conseguenza, l’autonomia del sistema giuridico dell’Unione di cui la Corte garantisce il rispetto”. Ora se l'UE decide di aderire alla CEDU, la CEDU diviene parte del diritto dell'Unione e ne consegue, in conformità a quanto sopra, che “la Corte [di giustizia dell'Unione europea] è competente per qualsiasi controversia tra gli Stati membri nonché tra questi e l'Unione in merito al rispetto della CEDU”.

Tuttavia, a proposito dei ricorsi interstatali, l’art. 33 della CEDU stabilisce che “Ogni Alta Parte contraente può deferire alla Corte (di Strasburgo) qualunque inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli che essa ritenga possa essere imputata a un’altra Alta Parte contraente”. Secondo il parere della Corte è evidente come una simile procedura sia in contrasto con l’art. 344 TFUE, essendo suscettibile di applicazione alle controversie fra gli Stati membri e tra quest’ultimi e l’UE, anche concernenti il diritto dell’Ue (caso che si verifica quando un diritto tutelato dalla CEDU è lo stesso garantito dal diritto comunitario). Date tali circostanze, la Corte di Lussemburgo evidenzia che il progetto di accordo potrebbe essere compatibile con il Trattato FUE soltanto nel caso in cui la competenza della Corte EDU fosse esplicitamente esclusa per le controversie che oppongono gli Stati membri tra loro ovvero gli Stati membri e l’Unione in merito all’applicazione della CEDU nel quadro del diritto dell’Unione. Un altro elemento sottolineato dalla CJUE nel parere per escludere l’adesione dell’Ue riguarda il meccanismo del convenuto della Corte EDU, previsto dall’art. 3 della proposta di accordo, ritenuto in contrasto con il diritto comunitario e con il diritto pubblico internazionale. Secondo quanto previsto dall’art. 3, par. 2, del progetto di accordo, quando un ricorso è proposto contro uno o più Stati membri, l’Unione europea può partecipare al procedimento in qualità di convenuto aggiunto se appare che la violazione contestata metta in discussione la compatibilità con la CEDU di una norma del diritto dell’Unione europea, comprese le decisioni adottate ai sensi del TUE e del TFUE, soprattutto quando detta violazione avrebbe potuto essere evitata dai sistemi nazionali unicamente mediante l’inosservanza della norma dell’Unione.

Specularmente, il successivo par. 3 dell’art. 3 prevede che, quando un ricorso è proposto nei confronti dell’Unione europea, gli Stati membri possono intervenire in qualità di convenuto aggiunto, se appare che la violazione contestata metta in discussione una norma del TUE, del TFUE o di ogni altra disposizione con il medesimo valore giuridico, soprattutto quando detta violazione avrebbe potuto essere evitata unicamente mediante l’inosservanza di tali disposizioni. Quando l’Unione o gli Stati membri chiedono di intervenire quali convenuti aggiunti in una causa dinanzi alla Corte EDU, devono provare che i presupposti per la loro partecipazione al procedimento sono soddisfatti e la Corte EDU statuisce su tale richiesta con riferimento alla plausibilità degli argomenti forniti. Mediante tale controllo, la Corte EDU sarebbe indotta a valutare le norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i suoi Stati membri, nonché i criteri di imputazione degli atti o delle omissioni di questi ultimi. A questo proposito, la Corte EDU potrebbe adottare una decisione definitiva che si imporrebbe sia agli Stati membri sia all’Unione. Dunque, secondo la Corte di Lussemburgo, permettere alla Corte EDU di adottare una decisione siffatta rischierebbe di pregiudicare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.

Del pari, la Corte si pronuncia sulla procedura di previo coinvolgimento della Corte stessa, che definisce “incompleta”. Infatti, secondo la CGUE “la necessità di implicare preliminarmente la Corte di Giustizia dell’UE, in un caso in cui è stata adita la Corte EDU e nel quale è in causa il diritto dell’Ue risponde all’esigenza di preservare le competenze dell’Unione e le attribuzioni delle sue istituzioni, in particolare della CGUE, come previsto dall’art. 2 del Protocollo n. 8 dell’UE. Ne consegue che una volta che sia adita la CEDU, sarà necessario che la CGUE sia messa nelle condizioni di dire se essa si sia già pronunciata sulla questione oggetto dell’istanza, la cui sentenza dovrà vincolare la Corte EDU, al fine di evitare che la suddetta Corte interpreti la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE. Tuttavia, secondo la CGUE, tale procedura, così come prevista dall’art. 3 della proposta di accordo esclude l’accordo stesso: per la CGUE, in primo luogo, la suddetta procedura dovrebbe essere configurata in modo tale che, in qualsiasi causa pendente dinanzi alla Corte EDU, venga trasmessa un’informazione completa e sistematica all’Unione, affinché l’istituzione competente venga messa in condizione di valutare se la Corte si sia già pronunciata sulla questione di cui trattasi e, in caso negativo, di ottenere l’attuazione di detta procedura.

In secondo luogo, la procedura di previo coinvolgimento, così come prevista dall’accordo, non comprende l’interpretazione del diritto derivato in relazione ai diritti garantiti dalla CEDU. Quindi la Corte di Lussemburgo evidenzia che se la Corte EDU, chiamata ad esaminare la conformità del diritto derivato alla CEDU, debba fornire essa stessa un’interpretazione, il principio della competenza esclusiva della CGUE in merito all’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione sarebbe assolutamente messo in discussione. Tale motivazione, fornita dalla Corte di Lussemburgo per negare la possibilità per l’UE di aderire alla CEDU, è stata messa in discussione dalla maggior parte dottrina comunitaria, secondo cui il principio della competenza esclusiva della CGUE in merito all’interpretazione del diritto comunitario sarebbe comunque garantito attraverso l’art. 267 del TFUE, relativo alla procedura del rinvio pregiudiziale: la giurisdizione nazionale ha facoltà di adire la Corte di Lussemburgo ogni qualvolta abbia dei dubbi sulla conformità di una regola dell’Unione con la CEDU. Nel suo parere , la Corte ha anche concluso che “l'accordo proposto non tiene conto delle caratteristiche specifiche del diritto dell'Unione in materia giurisdizionale degli atti, azioni o omissioni di PESC dell'Unione”.

In particolare, La CGUE sottolinea che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, taluni atti adottati nell’ambito della PESC sfuggono al controllo giurisdizionale della CGUE. Una simile situazione inerisce alla configurazione delle competenze della Corte prevista dai Trattati e, in quanto tale, non può giustificarsi se non in virtù del solo diritto dell’Unione. Tuttavia, per effetto dell’adesione nei termini contemplati dal progetto di accordo, la Corte EDU sarebbe legittimata a pronunciarsi sulla conformità alla CEDU di determinati atti, azioni od omissioni posti in essere nell’ambito della PESC, e in particolare di quelli per i quali la CGUE non ha competenza a verificare la loro legittimità in rapporto ai diritti fondamentali. Una simile situazione equivarrebbe ad affidare, per quanto riguarda il rispetto dei diritti garantiti dalla CEDU, il controllo giurisdizionale esclusivo degli atti, delle azioni o delle omissioni dell’Unione sopra citati ad un organo esterno all’Unione. Di conseguenza, la Corte conclude evidenziando come il progetto di accordo leda le caratteristiche specifiche del diritto dell’Unione riguardo al controllo giurisdizionale degli atti, delle azioni o delle omissioni dell’Unione nel settore della PESC. Per quanto riguarda un’eventuale esclusione della PESC dall’accordo di adesione dell’unione europea alla CEDU, la maggioranza della dottrina concorda con J.P. Jacqué, Direttore onorario del Servizio Giuridico del Consiglio dell'Unione Europea, il quale ha espresso perplessità riguardo la possibilità di escludere la PESC dalla giurisdizione della Corte EDU, poiché la politica estera e la sicurezza europea costituiscono settori in cui esiste un rischio concreto di violazioni dei diritti fondamentali.

Dall’analisi delle motivazioni espresse dalla Corte di Giustizia nel proprio parere sull’accordo di adesione dell’Unione Europea alla CEDU, emerge chiaramente sia il carattere eterogeneo e il più delle volte infondato di quest’ultime. Di qui l’impressione, ampiamente condivisa, che tali argomentazioni siano il mero risultato sulla volontà della Corte di Giustizia di difendere a tutti i costi le proprie prerogative giurisdizionali, al fine di non perdere la propria supremazia sul sistema giuridico europeo.

Infine, per quanto concerne gli scenari futuri derivanti dal parere della Corte di Giustizia, Si può prevedere che la Commissione, cercherà prima o poi di far ripartire il negoziato, perché così prescrive il Trattato di Lisbona (La Commissione potrebbe in caso contrario essere citata in carenza da qualche Stato membro), ma sembra comunque difficile che gli Stati terzi siano disposti ad accettare tutte le modifiche che questo parere imporrebbe. Ma anche ammesso che si riuscisse ad imporre agli altri contraenti un insieme di condizioni e riserve che soddisfacessero le condizioni imposte da questo parere, verrebbe da chiedersi quale beneficio gli individui potrebbero trarre in ordine alla protezione dei propri diritti fondamentali dall’adesione ad una Convenzione così depotenziata e sempre più lontana dallo spirito del Trattato di Lisbona e, soprattutto, dal suo disegno complessivo di rendere l’Unione una comunità di valori e diritti più vicina ai propri cittadini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34