
Il Sanremo a costo zero del 2013 è costato alla Rai un rosso di 700mila euro. Il festival della coppia radical-chic Fabio Fazio-Luciana Littizzetto, vinto da Marco Mengoni, è stato ancora una volta un pozzo di spese senza fine. Quelle totali hanno raggiunto 17,6 milioni di euro a fronte di ricavi per 16,9 milioni. Una produzione spropositata. Ne hanno beneficiato tutti: dirigenti di viale Mazzini (che si esaltano per lo share e gli indici d’ascolto), conduttori, collaboratori, direttori musicali (uno per ogni cantante), giornalisti interni ed esterni (5 giornate di chiacchiere ad argomento unico), operatori, programmisti, registi e anche il Comune della città dei fiori. Alla fine si può dire che è andata bene anche perché nell’ultimo triennio dal 2010 al 2012 la Rai ha perso per organizzare il Festival 20,1 milioni di euro.
L’inversione di tendenza è rappresentata dall’edizione 2015, grazie alla professionalità di Carlo Conti (che si è accontentato di un cachet di 500mila euro) e soprattutto alla mano ferma di Giancarlo Leone che ha detto basta alle perdite. Il costo complessivo è stato così ridotto a 15,7 milioni, a fronte di ricavi pubblicitari per 21 milioni netti a cui aggiungere 700mila euro d’incasso dalla vendita dei biglietti (le presenze gratis sono state drasticamente ridotte). Il saldo attivo così per viale Mazzini è stato di 6 milioni di euro, inclusi i 5 milioni e mezzo pagati al Comune di Sanremo sulla base della convenzione in esclusiva. Dopo gli anni delle spese folli e fuori bilancio, la Corte dei Conti ha preso in esame i dati dell’esercizio del 2013 soffermandosi su vari aspetti e lanciando un allarme su almeno due.
Nella relazione si sottolinea “l’esigenza di un contenimento dei costi, tenuto conto della riduzione delle entrate, soprattutto di quelli della produzione” e l’esposizione dei debiti dell’azienda del servizio pubblico verso le banche che già nel 2012 erano saliti a 90 milioni legati agli investimenti ai quali si sono aggiunti altri 50 per completare le operazioni del digitale. Il volume dei debiti finanziari verso gli istituti di credito è stato nel 2013 pari a 442,9 milioni di euro, contro i 371,6 del 2012. Un trend che preoccupa e che va tenuto sotto osservazione scrive la Corte, “in considerazione dell’aumento complessivo dei debiti e del loro valore elevato rispetto al patrimonio netto che ha raggiunto nel 2013 l’importo di 298,4 milioni”.
La gestione Gubitosi esce con le ossa rotte dalle analisi della Corte. Sul bilancio pesa anche il continuo calo della pubblicità, i cui ricavi hanno subìto un tracollo di 77,3 milioni, pari a meno 11,5 per cento rispetto al 2012. Le entrate totali così sono state di appena 597,6 milioni. Pochini anche in presenza di una crisi, generalizzata per tutti i media, degli introiti pubblicitari. I ricavi da spot erano 942 milioni nel 2010, sono scesi a 647 milioni nel 2012. I vertici di viale Mazzini non hanno saputo arrestare questa discesa. Pessima la gestione anche del canone, i cui ricavi sono aumentati di appena 7,9 milioni rispetto ai 1.813 miliardi precedenti a causa di un’enorme evasione stimata intorno al 26 per cento. Un terzo degli italiani non paga, a vario titolo, il balzello considerato tra le tasse più odiose secondo un’indagine della Doxa. Stimata una perdita di 550 milioni di euro, con picchi impressionanti in Campania, Sicilia e Calabria.
I vertici della Rai che stanno per raggiungere il fine mandato e con la prospettiva della riforma renziana devono tagliare i costi ma, scrive la Corte, “il contenuto è da coniugare con un adeguamento della proposta editoriale per il recupero degli ascolti delle reti generaliste e con un più penetrante ingresso in settori del mercato come il web al fine di generare nuove opportunità commerciali”. Vanno poi diminuite le società controllate tenuto conto che l’apporto risulta modesto, con la quasi totalità del fatturato verso la stessa Rai. E la riforma Renzi? Per ora ai conti non ci pensa.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19