L’osservazione del nostro direttore a proposito della suprema qualità di Silvio Berlusconi di essere un autentico lottatore non è solo sacrosanta ma serve a porci un quesito sempre più attuale su chi è leader (politico) e chi non lo è. Posto in tali termini, il problema della leadership offre ipotesi, suggestioni, soluzioni personali, ambigue e strumentali. Ma tutte servono a spiegare l’arcana dimensione in cui si aggira, o dovrebbe aggirarsi, un leader politico. Sopratutto, in quale territorio irto di pericoli è costretto a muoversi un capo politico oggi. Indipendentemente dall’anagrafe, che pure conta, e senza togliere nulla alle sconfitte, al declino di una parabola e all’accanimento giudiziario col circo mediatico collaborante; è fuori da ogni dubbio che Berlusconi era leader nel 1994 e seguenti, e leader lo continua ad essere dopo Cesano Boscone e all’indomani dell’assoluzione in Cassazione.
La leadership non si compra né si vende, si ha: nelle vittorie e nelle sconfitte. Il punto vero e dolente è un altro, e cioè, che le cose cambiano. Quando per esempio si dice che il Cavaliere è pronto a scendere in campo il problema non è lui ma il campo, il terreno di lotta, i nuovi soggetti politici e le nuovissime realtà sociali, economiche e comunicative. L’alleato decisivo di Forza Italia, la Lega, che fu di Umberto Bossi padano, è oggi in mano e in crescita a Matteo Salvini lepenista, il che modifica radicalmente il quadro soprattutto dopo la scissione-espulsione di Flavio Tosi il moderato. Si aggiunga che il partito del Cavaliere non è esattamente un soggetto unito, compatto, organizzato, obbediente e “pronto alla pugna”; al contrario, Fi è quella che tutti conosciamo.
Ritorniamo al campo dove deve ridiscendere Berlusconi. È, a dir poco, un “Campo di Marte” e di macerie sparse, un luogo di guerra ma, soprattutto, uno spazio su cui questi ultimi venti e passa anni (dal 1994) hanno prodotto mutamenti radicali accentuatisi con l’avvento di Matteo Renzi. Il quale avvento non ha tutta l’aria di autoarchiviarsi ma, anzi, intende continuare con la marcia del caterpillar, sia che sia sepolto il Nazareno sia che, com’è prevedibile, sopravviva sotto altre forme.
Il leader toscano affermatosi con lo stridore di un carro armato deve qualcosina proprio all’altro contraente del “Nazareno” (e viceversa, beninteso), e non voglio neppure inoltrarmi in quella sorta di quarto mistero di Fatima che è stato lo strappo con l’elezione di Sergio Mattarella che ha riportato le cose, ma solo apparentemente, al punto di partenza. Solo apparentemente perché, in realtà, i termini della questione riformistico-istituzionale sono sempre quelli, i voti necessari pure e l’“hic Rhodus hic salta” rimane intatto, per Renzi ma anche per il Cavaliere. Con una differenza, che Renzi, ancorché intenzionato a durare fino al 2018, conserva il potere politico di mandare a monte baracca e burattini se venisse meno la maggioranza per quelle riforme e si tornerebbe così al voto anticipato. Col proporzionale puro, dicono in tanti, col risultato di uno spappolamento finale di un Paese travolto dal ridicolo internazionale.
Scommettiamo che invece del proporzionale puro sarà predisposta in un paio di mesi prima del voto anticipato una riedizione del Mattarellum? L’onorevole Roberto Giachetti, se ben ricordiamo, ne ha una del genere nel cassetto e trattandosi di una legge normale, i tempi stretti di un’approvazione non mancherebbero. Lascio a voi sbizzarrissi sull’eventuale risultato, date le condizioni di fatto dei malandati partiti, all’infuori di quello di Renzi, chiamato, “et pour cause”, Partito della Nazione perché si allarga al centro, come la vecchia Democrazia Cristiana, sfruttando le radicalizzazioni di un Salvini, che infatti non dispiacciono all’altro Matteo, anzi, le incoraggia.
L’altra leadership in marcia sembra dunque quella di Salvini. Sembra, specialmente con la ripresa miracolosa di una Lega data per spacciata due anni fa. Salvini cresce nei sondaggi e supera Fi su cui aveva lanciato un’Opa durante gli impicci di Berlusconi. Ma ora il Cavaliere è tornato e la sua discesa in campo pure. È tuttavia doveroso chiedersi se quella di Salvini sia una leadership in grado di affermare un centro destra che non sia solo di lotta ma soprattutto di Governo. Altrimenti, a che serve il centro destra? Fuori dall’Euro? Fornero vaffa? Respingiamo in Libia i profughi? Il nero Muntari a casa? E a casa pure un Tosi che, se costretto, farà la sua lista in Veneto mettendo a rischio il troppo sicuro Zaia? Che costava a Salvini chiamare i due e costringerli ad andare d’accordo sul Veneto, invece di pensare solo alla figura “leggendaria” dell’uomo solo al comando? È in una simile occasione che un vero leader si manifesta, quando cioè rende funzionale al suo comando la necessaria compattezza del suo esercito componendo i dissensi interni, magari con qualche piccolissimo sacrificio di umiltà. Il leader, quello vero, non sa parlare solo alla pancia della gente. Ma sa come riempirla. Non parla al presente. Pensa al dopo.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:00
