La grande bugia

La promessa, l’illusione, la sparata, insomma la bugia, anche quella più piccola, è stata sempre un’arma efficacissima della politica nostrana. Democristiani e comunisti per decenni ne hanno fatto un uso industriale per garantirsi controllo e potere su un popolo semplice, volenteroso, disponibile e soprattutto ingenuo come il nostro, che abbaia molto ma non morde mai.

È questa la vera ragione per la quale siamo ridotti così; è questa la ragione per cui ci hanno fatto pagare i loro sbagli; è questa la ragione per la quale i sacrifici che ci chiedono non finiscono mai. Il cattocomunismo nasce così, dalla perfida lucidità di illuderci, tenderci una mano, dimostrarsi attento ai nostri problemi e farci credere che si risolveranno. Con la scusa della dottrina sociale della chiesa da una parte e la difesa delle ingiustizie e disuguaglianze dall’altra, hanno tirato su un albero storto e piegato proprio dai motivi del contrario.

In Italia, infatti, le ingiustizie non si contano, le disuguaglianze pure, e le aberrazioni di uno stato sociale che non tiene, anche. Con un deficit spending da paura, che avrebbe dovuto rendere il Paese il più moderno e avanzato d’Europa, si è formato un debito immenso e un sistema tra i più arretrati d’Occidente, con un welfare tra i più costosi del mondo che ha generato vergognose ingiustizie.

In buona sostanza, con i nostri sacrifici, hanno incassato oro per restituirci latta. La differenza fra i due metalli è, infatti, andata in sperperi, clientelismo ipocrita, scandali, tangenti, corruttele e spese inutili, un combinato disposto che avrebbe annichilito chiunque. Non a caso siamo sull’orlo del burrone e nella classifica delle libertà economiche, efficienze sociali, servizi civili, opportunità di sviluppo, equità fiscale, giustizia e sicurezza, siamo finiti ai margini del mondo. Alla faccia del volto umano del cattocomunismo, che alla resa dei conti, così come fa il diavolo, ci ha rubato l’anima e il futuro. Negli ultimi anni poi non ne parliamo, a partire dal governo di Mario Monti con la promessa di salvarci, ci hanno succhiato pure il sangue; inginocchiati alla Germania e ridotti sul lastrico. Eppure ci vengono in mente i titoli dei media che, appena cacciato Silvio Berlusconi e una volta insediato il genio a Palazzo Chigi, parlavano di successo, speranza, rivincita e futuro per tutti. Una farsa teatrale degna di Oscar Wilde. La stessa scena si era ripetuta con Enrico Letta, presentato come l’alfiere dalle larghe intese, l’uomo buono della riscossa, il punto di equilibrio fra necessità e virtù, ma, appena insediato, già si tramava alle sue spalle per farlo fuori. E così è stato. Dulcis in fundo, congregazioni, lobby, poteri forti e finanza cattocomunista, ci hanno regalato Matteo Renzi, il simbolo dei loro ideali, promesse, falsità, sorrisi e spregiudicatezze.

A partire dalle riforme, l’ex sindaco di Firenze ha imposto, infatti, il più pericoloso degli stili di governo, compreso l’utilizzo distorto dell’articolo 138 della Carta costituzionale. I padri costituenti posero quell’articolo, nella ragione autentica, non già per riscrivere, stravolgere e ribaltare la legge fondamentale, ma solo per consentire alcuni aggiustamenti vincolandoli peraltro a passaggi lunghi e complicati in sede parlamentare. Gli estensori della carta, infatti, davano per scontato che l’eventuale bisogno del Paese di dotarsi di una Costituzione nuova e più moderna sarebbe passato da una assemblea costituente. Nessuno a quei tempi immaginava che l’articolo 138 potesse diventare un grimaldello per rifare tutto, meno che mai a colpi di maggioranza e in aule deserte.

Eppure Renzi, tra una sparata e l’altra, sta proprio facendo così, cambia le regole fondanti a sua immagine e somiglianza, dichiarando però che è per il bene di tutti e della Patria. Se questa non è una bugia, allora cos’è? Cosa è lo Jobs act in un diritto del lavoro diventato un groviglio di interessi? Il precompilato in un sistema poliziesco di ossessione e dispute fiscali? Il bonus degli 80 euro per accaparrarsi voti sulla pelle dei disoccupati e dei poveracci? Se non sono queste illusioni di un futuro che non c’è, di uno sviluppo latitante, di una crescita nascosta, cosa sono? Come si fa a suonare la grancassa con il debito che abbiamo, il malessere che gira, un Mezzogiorno disastrato e un Nord avvelenato con Equitalia e con le tasse, per un insignificante zero virgola qualcosa di positivo?

Si tace sul Fiscal compact, sulla revisione della spesa, sullo stato vero dei conti, sullo stato delle banche, sulla bancarotta degli enti locali, sull’insostenibilità fiscale e previdenziale. Si tace sul vero e si specula sul falso, si trascura la trave e si osanna la pagliuzza, un trompe l’oeil gigantesco. E per finire, in tanta beatitudine, per evitare ostacoli si grida al pericolo fascista, si addita Salvini come fosse un eversore e si intorta Berlusconi per tenerlo fuori gioco; un alchimia diabolica sulla pelle di tutti. Peppone e Don Camillo, insomma, peccato però che quelle erano simpatiche satire di paese, giocose e ridanciane; mentre le nostre, quelle di oggi, sono realtà di un Paese stanco e stremato che prima o poi smetterà di farsi prendere in giro.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:51