
A Napoli forse il 22 febbraio ci saranno le primarie PD. Forse. Sono state già rinviate tre volte, il 14 dicembre, l’11 gennaio ed il primo febbraio. Il rischio flop fa seguito allo scandaloso risultato delle primarie liguri dove il Pd si è spaccato fino in procura. Lo strumento, demagogicamente agitato per anni contro i listoni dei nominati delle segreterie, fa sempre più acqua. Soprattutto in presenza di riforme costituzionali, elettorali e regolatorie dei lavori parlamentari che rinforzano il peso dei premi di maggioranza, dei vertici di partito e dell’esecutivo.
La contraddizione è evidente e stride come il gesso sulla lavagna. E’ evidente che le uniche primarie buone sono quelle utili ai giovani neodemocristiani atei per imporre i propri candidati ad un popolo postcomunista cresciuto a piazze urlanti e contestazione dell’autorità. Anche quando i prescelti siano figure scialbe e di ben poco conto. D’altro lato, in genere, la tradizione centrista e moderata ha prodotto gran funamboli delle relazioni e del compromesso, ma raramente personaggi di spessore. Da qualche parte si ricorre al trasformismo di qualche ex grande dirigente comunista. Da altre parti, come in Campania, non si può. Qui gli ex grandi capi hanno governato un lungo passato indifendibile, costellato di collusioni e collaborazioni a loro insaputa con la camorra.
Questo dato di fondo, malgrado gli infingimenti generali dei media, diede la vittoria al centrodestra di Caldoro alle ultime elezioni regionali. E malgrado tutto, l’attuale giunta regionale, facendo poco e lesinando di firme, si ripresenta con dignità in una regione che è una mattanza istituzionale. In Campania, anche i giornalisti sono stati espulsi dalla rappresentanza delle proprie organizzazioni di categoria. Pompei è stata commissariata e messa sotto il controllo delle forze dell’ordine. I sindaci delle due città più importanti, Napoli e Salerno, sono stati condannati e destituiti e restano in bilico sulle decisioni contrastanti delle magistrature. In giro, nei comuni e luoghi meno noti della regione, commissariamenti, condanne, processi inficiano centinaia di elezioni.
Qualcuno scherzando ha proposto di assegnare al Csm la gestione amministrativa della regione. Il Pd l’avrebbe preso in parola proponendosi di far fare il governatore a Cantone, il magistrato anticorruzione. La cosa è caduta. Allora è venuta l’idea di catapultare a Napoli, Migliore, transfuga dall’estremismo postcomunista, recente acquisto Pd. Tanto per ribadire la strumentalità delle primarie. Il mezzogiorno d’Italia, però, sempre più escluso dalla produzione e dalla globalizzazione, si è abbarbicato in controtendenza alla rappresentanza locale sindacale e politica. Cerca di riportare nelle estranianti primarie, l’antico spirito dei congressi di partito. I contendenti che ne escono sono entrambi indigesti al Pd di governo, sia per il fumus camorri di Cozzolino, il Cosentino democratico, sia per la fresca condanna di De Luca, l’efficiente sindaco salernitano.
Su De Luca, vale la pena di accendere il riflettore. Ha la faccia storta e triste di un Totò senza più voglia di ridere. Messo a fianco del leader Lega Salvini, sembra il più leghista. Le sue argomentazioni contro la legge Severino che non ha impedito per mano dei tribunali la riammissione ai pubblici uffici di sindaci, parlamentari e consiglieri regionali (tutti tranne Berlusconi) suona di condanna contro la magistratura e contro uno Stato senza più diritto. Tuona per la deburocratizzazione, la decentralizzazione e la sicurezza. E’ uno sceriffo meridionale in armi contro l’esercito mediatico, politico e giuridico impegnato nella guerra razzista antimeridionale, dove il Sud è l’inferno di Bocca, un groviglio dove per essere perbene bisogna essere repressori, delatori o ridicole faccie di Pulcinella alla Picierno. De Luca ha governato Salerno per 4 mandati come un podestà.
Ha fatto il pieno di accuse e processi giudiziari da parte di una magistratura che a più riprese ne avrebbe voluto l’arresto. E’ stato accusato di organizzare squadracce. Ha vinto con liste proprie e quasi civiche. Nella regione principe dell’indecisione ha imposto l’unico inceneritore esistente. Appare il contrario dell’assemblearismo e della partecipazionismo vuoto a rendere. Il suo linguaggio politico puntualmente parla della concretezza dei problemi con nome e cognome e del nemico burocratico. La faccia da Totò di De Luca richiama le parole di Massimo Fini secondo il quale solo il fascismo combatté sul serio la camorra. Una tradizione, al Sud, nel dopoguerra fatta propria dal partito comunista locale, almeno in quel pezzo opposto alla tradizione Pci dei Napolitano cui interessava soprattutto lasciare Napoli. Per De Luca sembra che le istituzioni debbano essere più forti, su qualunque piano alla camorra ma non l’altra faccia della medaglia.
Oggi le sue parole collimano con le battaglie della destra. Ed allora, le primarie campane dovrebbero rispondere ad una domanda sola, quella vera. Perché mai De Luca non è di centrodestra?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34