O di qua o di là, tertium non datur

La prima cosa che non condividiamo dell’editoriale sul Corriere della Sera di Ernesto Galli della Loggia è il titolo, noi avremmo scritto: “Tutto ciò che manca alla sinistra”. Non è vero, infatti, che la destra non sia legata all’attenzione sociale, alle politiche del welfare, al sostegno dei meno strutturati, tutt’altro. Anche storicamente, ma nessuno lo dice perché l’Italia è anche questa, dall’Inps alla tredicesima, dalla famiglia all’infanzia, dall’Inail alle case popolari, furono progetti e realizzazioni del Ventennio.

Sia chiaro, siamo in prima linea a condannare le tragedie vergognose e le indegnità di quel periodo, ma non possiamo però tacere su ciò che è vero, in un senso o nell’altro. Nel nostro Paese la rilettura della storia è stata sempre a senso unico e già questa, è una colpa grave della sinistra e lo è ancora di più se ci accorgiamo che molti testimoni, hanno a dir poco radici confuse e un passato non del tutto cristallino. Sia come sia, dal dopoguerra in poi, la vera capacità della sinistra è stata quella di appropriarsi, modificandone la realtà, di tante cose che sue non erano o lo erano solo in parte, nasce così la favola che, grazie agli eredi di Gramsci e di Togliatti, diritti e libertà abbiano vinto.

Se proprio la volessimo dire tutta, persino la Costituzione, nell’impostazione cattocomunista porta nel grembo alcune vacuità. Tralasciando comunque le analisi storiche, sulle quali ognuno può dire la sua, il problema italiano è proprio quello della sinistra o del centrosinistra, della sua smania di cambiare pelle, nome, sigle. Un trasformismo incredibile, ipocrita e malcelato, mirato solo alla conquista del potere e al suo mantenimento, piuttosto che alla soluzione dei problemi e allo sviluppo del Paese. I comunisti infatti, seppure cambiando nome, utilizzando quello via via più adatto, non hanno cambiato indole, testa e anima, anche perché per fare quello avrebbero dovuto ricorrere alla genetica. Proprio da qui nasce l’imbroglio italiano, dal tentativo becero di spacciare per socialdemocrazia, un precipitato nato solo per opportunismo elettorale, antagonismo a Silvio Berlusconi, imitazione degli altri.

E’ questo che manca alla sinistra e mancherà per molto ancora; ci vorranno almeno due generazioni prima che arrivi ad essere per così dire blairiana. Manca la modifica della mappa genetica, manca l’umiltà per considerarsi come tutti, manca il rispetto dialogico e ideologico, manca la consapevolezza di potersi sbagliare. Il Premier Matteo Renzi è la perfetta incarnazione di tutto ciò, lui riesce come pochi a dare la plastica rappresentazione di quel cattocomunismo che per un verso ha cresciuto l’Italia e per l’altro l’ha rovinata. Non c’è peggiore cosa in politica che essere un po’ di questo, un po’ di quello e un po’ di quell’altro ancora, un pataracchio informe che, per dare retta a tutti, non migliora nessuno, anzi. Proprio per questo con l’ingresso in campo di Berlusconi avevamo benedetto il bipolarismo, la scelta di campo, l’alternanza democratica, o di qua o di là, come succede nelle grandi democrazie occidentali. Con Renzi si è ribaltato tutto, siamo tornati indietro resuscitando il consociativismo, le politiche trasversali, connotate ma non troppo, insomma quelle di sinistra ma anche di destra ma anche di centro.

E allora tornando al titolo, quello che manca alla sinistra è quello che è mancato sempre, una origine chiara, la convinzione che un Paese sia fatto di imprese e di impiego, di diritti e ambizioni, di rischio e di scelte, di investimenti e di risparmi, per metterli tutti insieme e farli convivere nella giustizia, nell’equità e nella libertà, altro ci vuole che il partito della nazione. Del resto, se c’è una cosa che manca oggi è proprio il centrodestra. Piaccia oppure no, senza opposizione il vulnus democratico esiste eccome e il malessere della gente lo testimonia bene.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:22