Bavaglio alle virgolette

Ha tutta l’aria di essere un altro provvedimento che cerca di mettere un ulteriore bavaglio ai giornalisti, e più in generale all’informazione, la sentenza della III sezione civile della Cassazione, in base alla quale non sarà possibile (o meglio sarà vietato) citare virgolettati tratti da atti giudiziari. Della vicenda si potrà però comunque scrivere (viviamo, non si sa ancora per quanto, in un paese libero e democratico!), ma il giornalista sarà costretto all’utilizzo di una perifrasi.

Il cronista dovrà quindi, proprio come gli scolari in erba, leggere il documento e poi fare un riassunto “a parole sue”. I dubbi che sorgono sono almeno due: non sarebbe più semplice e finanche più preciso, e rispettoso verso la persona citata, riportare testualmente, considerato anche che un atto giudiziario non è esattamente una favoletta? E se il giornalista nel riassumere desse una interpretazione fuorviante, travisante o comunque imprecisa? Resta il fatto che la perifrasi è d’ora in poi l’unica strada percorribile, mentre i virgolettati sono banditi. Altrimenti, chiunque sia citato – anche se correttamente – avrà la possibilità di chiedere un cospicuo risarcimento. L’aggravante è data dalle tempistiche stabilite: 5 anni… Le origini della vicenda vanno ricercate in una sentenza della Cassazione contro tre giornalisti del Corriere della Sera – Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella e Paolo Biondani – che, nel 2005, avevano scritto articoli giornalistici sull’inchiesta dei diritti televisivi Mediaset, riportando piccoli frammenti degli atti processuali.

La scelta dei cronisti incontrò il malcontento di Fedele Confalonieri, numero uno del Biscione di Cologno che intentò due cause, una civile e l’altra penale, perdendole entrambe sia in primo grado che in appello. Fu infatti stabilito che le notizie fossero vere, esposte con toni pacati, di chiaro interesse pubblico e per nulla diffamatorie. Peraltro gli atti dai quali avevano attinto i tre giornalisti non erano più segreti e quindi tali da poter essere oggetto di pubblicazione. Dal canto suo, Confalonieri richiese un risarcimento pari a 200mila euro per diffamazione, violazione della privacy, utilizzo di atti di un procedimento giudiziario penale, etc….

La Cassazione, pur respingendo i capi d’accusa, ha stabilito che ci sia stata comunque una “arbitraria pubblicazione degli atti”, in quanto, sulla base di due articoli – rispettivamente il 684 e il 114 – la pubblicazione degli atti di un procedimento è vietata e, per quanto concerne gli atti non più coperti da segreto, è autorizzato il racconto del contenuto ma non l’utilizzo della fonte sic et simpliciter. Riportare un testo viene quindi dichiarato “illegittimo”, anche qualora la citazione constasse di una sola riga.

La sentenza, è bene ribadirlo, non riguarda atti segreti, non pubblicabili per definizione, ma carte già depositate e quindi a diposizione delle parti. Il rischio è che d’ora in poi, i giornalisti vengano scoraggiati dall’occuparsi di così delicate vicende per le cause milionarie cui potrebbero andare incontro. Reprimere la cronaca giudiziaria, che molto spesso coinvolge personaggi di chiaro rilievo pubblico (imprenditori, politici…) sembra un evidente tentativo di censurare informazioni scomode e delicate. Ma un Paese che tenta – per quanto a piccoli passi – di stringere la cinghia della libertà di informazione, non è un Paese né gran che civile né particolarmente democratico.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:58